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 2010  maggio 05 Mercoledì calendario

Ieri mattina il ministro dello Sviluppo economico Claudio Scajola ha convocato una conferenza stampa e, dopo un breve discorso in cui ha tra l’altro ripetuto di essere vittima di una campagna mediatica, ha annunciato di essersi dimesso, evitando poi le domande dei giornalisti

Ieri mattina il ministro dello Sviluppo economico Claudio Scajola ha convocato una conferenza stampa e, dopo un breve discorso in cui ha tra l’altro ripetuto di essere vittima di una campagna mediatica, ha annunciato di essersi dimesso, evitando poi le domande dei giornalisti. Nel pomeriggio, lo ha ricevuto Berlusconi a Palazzo Chigi: le dimissioni non sono state respinte e, politicamente almeno, il caso risulta chiuso.

Sul serio? I commenti prevalenti che ho sentito sono questi: «Chi sa quante altre ne avrà combinate» e «Ne hanno beccato uno per caso, sai quanti altri ce ne sarebbero da prendere...»
E’ la ragione per cui lunedì mattina Gianni Letta ha insistito con il premier che la gestione politica del caso, da prolungare oltre tutto fino al 14 maggio, rischiava di essere troppo costosa. Scajola era andato a Tunisi, per chiudere importanti accordi con quel Paese. Sarebbe dovuto rimanere laggiù due giorni. stato fatto rientrare dopo due ore. Diciamo che la sua sorte era segnata fin da lunedì sera. Controprova? Le prese di posizione dei suoi amici del Giornale. Nicola Porro, che lo aveva intervistato domenica e si era sentito dire: «Non è vero niente», aveva poi scritto sul blog: «Dico subito che non credo al ministro». Seguivano considerazioni severe sulla pretesa che giornalisti e pubblico credessero a un prezzo di 610 mila euro per 180 metri quadri in pieno centro storico a Roma. E la chiusa: «Se avesse detto: "L’ho pagata 610 mila euro e il resto li ho dati in nero", sarebbe stato ammettere un’evasione fiscale che in molti fanno. Non un bel gesto da parte di un ministro della Repubblica. Ma prenderci per i fondelli è peggio». Feltri ieri ha brutalmente titolato: «Scajola chiarisca o si dimetta». Quindi, fuori.

Ho sentito un sacco di parole di solidarietà.
Tutte frasi dovute. Scajola ha tentato di evitare i giudici e si è poi concesso per il 14 maggio. Troppo tardi. Ieri ha provato a mettere in piedi una nuova versione della faccenda: «Se dovessi acclarare che la mia abitazione fosse stata pagata da altri senza saperne io il motivo, il tornaconto e l’interesse, i miei legali eserciterebbero le azioni necessarie per l’annullamento del contratto». Cioè si prepara a sostenere che se per caso esistono le prove di un pagamento dei 900 mila euro del saldo in nero e dei 200 mila dell’anticipo da parte del costruttore Diego Anemone (il quale nega tutto), in carcere per l’inchiesta sul G8 a La Maddalena, si tratta di un complotto: qualcuno avrebbe dato a sua insaputa alle sorelle Papa quegli assegni per incastrarlo. Nel 2004 e oggi.

Ma le prove ci sono? O si tratta solo di parola contro parola?
L’architetto Zampolini, che i giudici vogliono mettere in carcere, ha dichiarato: «Almomento del rogito erano presenti varie persone, compreso un funzionario della Deutsche Bank. Sono rimasto per tutto il tempo all’interno di quella stanza del ministero in via della Mercede e conmec’era il funzionario Luca Trentini. Diedi gli assegni al ministro che a sua volta li consegnò alle venditrici, come pattuito». Le venditrici confermano. Ci sono le tracce dei versamenti dei 200 mila euro (100 mila Beatrice Papa, 100 mila sua sorella Barbara) e dei versamenti, sui rispettivi conti, dei 450 mila euro a testa del saldo in nero, in una data compatibile con quella della vendita, 6 luglio 2004. Può darsi che da qualche parte ci sia un inghippo. Maper Scajola sarà dura dimostrarlo.

E lui che deve dimostrare la propria innocenza?
Al punto a cui sono arrivate le cose e con la quantità di elementi messi sul tavolo dalla magistratura, sì. D’altra parte i giudici non l’hanno messo sotto accusa: lo trattano fino a questo momento da testimone. Manca infatti l’elemento probante della corruzione, cioè non si sa in cambio di che cosa Scajola avrebbe ricevuto i 900 mila euro. Non si deve dimenticare infine che ha un suo qualche peso anche la recidiva.

Perché, che cos’altro ha fatto l’ex ministro?
Non ricorda? Nel 2002, quando era ministro dell’Interno, diede del rompicoglioni a Marco Biagi, il giuslavorista ammazzato dalle Br. La reazione generale lo costrinse a dimettersi, e Berlusconi lo reimbarcò poi nel governo qualche mese dopo come ministro per l’Attuazione del programma. C’era un altro precedente, del 1983: era sindaco di Imperia e venne arrestato per concussione. Maquella volta fu prosciolto del tutto, con tante scuse. [Giorgio Dell’Arti, Gazzetta dello Sport 5/5/2010]