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 2011  gennaio 12 Mercoledì calendario

Ieri l’asta dei bot italiani è andata bene, sette miliardi di titoli a un anno piazzati, e richieste per 11 miliardi

Ieri l’asta dei bot italiani è andata bene, sette miliardi di titoli a un anno piazzati, e richieste per 11 miliardi. Il Tesoro dovrà però pagare un interesse un po’ più alto di quello spuntato il mese scorso, il 2,067% contro il 2,014 di dicembre. Nonostante questo, lo spread tra Btp italiani e Bund tedeschi a dieci anni è diminuto: stava di poco oltre i 200 e ieri era a 194.

Dobbiamo parlare per forza di questo, eh? Questa pioggia di numeri…
Il momento è molto delicato. Oggi il Portogallo… Ma no, primo le faccio un breve ripasso. Noi abbiamo un debito di 1800 miliardi di euro, questo debito è fatto anche di Bot – sa che cos’è un bot, vero? – questi Bot a un certo punto scadono e bisogna rimborsarli. Non è che ci sono soldi in cassa per questi rimborsi. Allora si restituisce il vecchio debito con un nuovo debito. Questa operazione si perfeziona attraverso un’asta, a cui partecipano di massima le banche. Ieri per esempio erano all’opera, per questi 7 miliardi italiani, 26 operatori. Costoro comprano un titolo che vale cento a un valore inferiore (ieri 97,93) e lucrano naturalmente sulla differenza. Intanto però vendono al pubblico questi bot oppure li dànno in garanzia per finanziarsi. Il raffronto con i Bund tedeschi è puramente indicativo: serve a capire se, quanto a tassi, stiamo andando meglio o peggio. Chiaro?

Che cosa stava dicendo del Portogallo?
Lo scorso 5 gennaio, per convincere gli investitori ad acquistare titoli per 500 milioni a sei mesi, il Portogallo ha dovuto concedere un tasso del 7,15%. È un interesse non sopportabile per quel paese e la Merkel è subito intervenuta esortandolo a chiedere l’aiuto dell’Europa. Il primo ministro José Socrates ha risposto ancora ieri che il suo paese non ha bisogno di aiuti, i tagli stanno producendo gli effetti risanatori previsti, certo ci vuole tempo, però… Oggi Lisbona deve piazzare titoli per 1,5 miliardi di euro. Se sarà nuovamente costretta a pagare più del 7% saranno guai. Il Portogallo spera di arrivare fino ad aprile, quando dovrà chiedere ai mercati 5 miliardi. A quell’epoca, dicono, i risparmi messi in cantiere avranno ottenuto i loro effetti, «saremo più credibili».

Che male c’è a indebitarsi con l’Europa?
È di fatto una cessione di sovranità. Ispettori di Bruxelles e del Fondo monetario (che partecipa al fondo europeo con una quota) ti impongono un certo comportamento finanziario e vengono a controllare se righi dritto. I politici, chiaramente, cercano sempre di resistere. Lisbona avrebbe bisogno di una cifra non troppo diversa da quella prestata all’Irlanda, 50-100 miliardi di euro. Solo che, con questo esborso, i denari messi nel Fondo sarebbero finiti. Bisognerebbe rifinanziarlo. Cioè tirar fuori altri soldi. Anche noi.

Di che cifre si parla?
Il pericolo è che la crisi portoghese inneschi una crisi in Spagna. Grecia, Irlanda e Portogallo sono piccoli paesi, ce la siamo cavata con un 200 miliardi liquidi e un tot di garanzie (l’insieme dà il numero 720 miliardi, ma non sono 720 miliardi cash). Se entrasse in crisi la Spagna, si ipotizza sottovoce un soccorso da 2000 (duemila) miliardi. Lei capisce che il rischio di una crisi generale, con queste cifre, sarebbe molto alto.

Speranze?
Pechino e, da ieri, anche Tokyo. Si sono messi in testa di comprare debito pubblico europeo, cioè di sottoscrivere un po’ di nostre emissioni. I giapponesi proprio ieri hanno messo sul tavolo due miliardi di euro per comprare bond europei. Poco prima della fine dell’anno il ministro delle finanze cinese e il capo della loro Banca popolare sono stati a Lisbona e hanno promesso di investire sei miliardi sui titoli portoghesi in questo primo trimestre. In questo primo scorcio d’anno è andato in giro anche il loro vicepremier Li Keqiang. A Madrid ha promesso altri sei miliardi di acquisti nei loro titoli. L’intervento in Grecia è stato massiccio, specie per assicurarsi il controllo del porto (qui siamo però nel campo dell’investimento industriale, non finanziario). Il “Financial Times” ha calcolato che Pechino ha in portafoglio titoli europei per 630 miliardi di euro. In definitiva, non è tantissimo. Per loro si tratta naturalmente di diversificazioni ad alto rischio, possibili solo in presenza di grande liquidità. Ma c’è anche un motivo più sottile: un default europeo rimetterebbe in auge il dollaro, come moneta unica per le transazioni internazionali. Evento che Pechino avversa tenacemente. Il presidente Hu Jintao ha detto e ripetuto un mucchio di volte che bisogna riformare il sistema finanziario internazionale. Se l’euro muore e si ritorna al dollaro, che riforma è? [Giorgio Dell’Arti, Gazzetta dello Sport 12/1/2011]