La Gazzetta dello Sport, 26 gennaio 2011
L’Egitto è in rivolta. Venticinquemila persone, convocate quasi tutte tramite Internet, hanno percorso la città gridando, lanciando sassi e quasi cercando lo scontro con la polizia, avvenuto quando è stato tentato l’assalto al Parlamento e anche nella piazza Taharir, centro della città

L’Egitto è in rivolta. Venticinquemila persone, convocate quasi tutte tramite Internet, hanno percorso la città gridando, lanciando sassi e quasi cercando lo scontro con la polizia, avvenuto quando è stato tentato l’assalto al Parlamento e anche nella piazza Taharir, centro della città. In una di queste battaglie è morto un poliziotto. Particolarmente devastato il quartiere Mohandessin. Grida di «Fuori, fuori», «Vattene» rivolte al presidente Mubarak, il cui figlio Gamal sarebbe scappato a Londra dopo aver imbarcato sul suo aereo 97 valigie. Notizia carica di significati: Gamal, 47 anni, è il successore designato alla guida del paese (il secondo fratello, Alaa’, si dedica agli affari). Degli altri membri della famiglia, incluso il presidente, non si hanno notizie, ma starebbero ancora in città. Anche se nessun potente in questo momento si fa vedere.
• Effetto Tunisia?
Anche, ma non solo. Nella rivolta tunisina non c’è nessuna componente religiosa, mentre in Egitto esiste dal 1951 una forte presenza dei Fratelli Musulmani, un movimento nello stesso tempo moderato e fondamentalista, che, se gli fosse permesso, parteciperebbe alle elezioni e prenderebbe un mucchio di voti. Ma la regola egiziana è che qualunque formazione politica deve chiedere il permesso prima di presentarsi alle elezioni e questo permesso viene concesso da un Parlamento controllato al 95% dal partito di Mubarak. Il quale lascia vivacchiare formazioni minori, create la maggior parte delle volte apposta per dare all’Occidente l’impressione che nel Paese vi sia un minimo di democrazia.
• Ma il paese avrebbe accettato una successione del genere senza fiatare? È roba da monarchia o da dittatura.
Si voterà a settembre, proprio per eleggere il nuovo presidente. Mubarak non aveva ancora fatto sapere se si sarebbe presentato lui o se avrebbe lasciato il posto al figlio. Ha infatti 82 ed è molto malandato. Il figlio però non è un militare, e questo gli ha messo contro l’esercito, molto potente in Egitto. Nasser e Sadat erano militari e l’Egitto non può essere considerato una democrazia perché il principio del potere è lo stesso che nel 1952 provocò la caduta di re Faruk. La successione è sempre avvenuta per colpi di stato, messi a segno subito dopo che il presidente in carica era stato ammazzato. Così siamo arrivati al gennaio 2011, che potrebbe essere una data-chiave.
• La rivolta è scoppiata per questo?
C’è di mezzo il nuovo rincaro dei prezzi del pane e degli altri alimentari, e in questo la rivolta del Cairo e del resto del paese (sono in lotta anche i beduini del Sinai, decisi, a quanto pare, a bloccare l’aeroporto di al-Gorah, dove si trovano forze di pace multinazionali) ha la stessa motivazione di quella tunisina. Il governo non riesce a sfamare il suo popolo. Il pane costa troppo ed è stato necessario razionarlo. In un posto non privo di risorse e in cui gli uomini di Mubarak pronunciano di continuo la parola “modernizzazione” si tratta di un fallimento grave. Proprio questo ha provocato il successo dei Fratelli Musulmani, che hanno sempre più adepti. Gli egiziani sono 77 milioni, la percentuale di analfabeti è del 35%. Mubarak adopera il pericolo Fratelli Musulmani per giustificare il suo regime e farsi aiutare dall’Occidente. L’appoggio americano è massiccio (gli finanziano soprattutto l’esercito), con gli israeliani vanno d’accordo.
• Ma, per esempio, siamo di fronte a un paese mezzo socialista, dove vige l’economia di stato, o a un paese liberista, dove ognuno può fare affari come crede?
La liberalizzazione degli scambi economici voluta da Mubarak ha avuto come principale conseguenza una ancora più ampia differenza dei redditi. Il rincaro dei prezzi porta a puntuali rivolte: la più recente e la più grave, prima di quella che si sta verificando adesso, è avvenuta nel 2008.
• Come è cominciata la rivolta?
Il 18 gennaio, dopo ore di agonia, è morto un 25enne di Alessandria che si era dato fuoco per protestare contro la mancanza di lavoro. Questo era il terzo tentativo di bruciarsi e la prima vittima egiziana collegabile all’onda della rivolta tunisina, scatenata dall’ambulante che il 17 dicembre scorso si era dato fuoco innescando le proteste. Il morto si chiama Ahmed Hasim al Sayed. La mattina del 18 gennaio era salito sul tetto della sua casa, si era cosparso di kerosene e si era dato fuoco, riportando gravi ustioni sul 95% del corpo. La famiglia ha spiegato che il ragazzo era depresso da tempo per la mancanza di lavoro. Più o meno nelle stesse ore al Cairo Mohammed Faruk Hassan, avvocato 50enne, si era cosparso di benzina vicino al Parlamento, riportando ustioni leggere a una gamba. Il giorno prima un 40enne, nello stesso posto, si era dato fuoco per protestare contro le razioni di pane. In seguito a questi avvenimenti Al Azhar, il più importante centro teologico del mondo sunnita, ha ricordato che «per l’Islam il suicidio è inaccettabile». Ieri poi, attraverso Internet e Twitter, la gente s’è data appuntamento in strada. Un dramma, a quel che si capisce, che è appena agli inizi. [Giorgio Dell’Arti, Gazzetta dello Sport 26/1/2011]