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 2011  febbraio 25 Venerdì calendario

Una voce che potrebbe anche essere quella di Gheddafi ha parlato ieri al telefono con la televisione di stato libica, sostenendo che gli insorti sono stati drogati da al Qaeda, che la rivoluzione è una farsa e che gli americani fomentano la rivolta perché abbia uno sbocco fondamentalista e gli dia la scusa per intervenire, come è accaduto in Iraq e in Afghanistan

Una voce che potrebbe anche essere quella di Gheddafi ha parlato ieri al telefono con la televisione di stato libica, sostenendo che gli insorti sono stati drogati da al Qaeda, che la rivoluzione è una farsa e che gli americani fomentano la rivolta perché abbia uno sbocco fondamentalista e gli dia la scusa per intervenire, come è accaduto in Iraq e in Afghanistan. Il discorso ha suscitato meno impressione del precedente, perché l’attenzione mondiale è ora concentrata sulle vicende della guerra civile e soprattutto sull’incognita petrolifera.

Cominciamo dal bollettino della guerra.
È in corso, a quanto pare, una battaglia a Zawia, trenta chilometri dalla capitale. I mercenari di Gheddafi bombardano, i rivoltosi resistono. I rivoltosi controllano molti centri non lontani da Tripoli, mentre il colonnello è asserragliato nella sua residenza di Bab-al-Aziziya. La partita a questo punto sembra consistere in questo: i rivoluzionari, per liberarsi definitivamente di Gheddafi, devono prenderlo o farlo scappare all’estero. Hanno finora conquistato, ed è un risultato importante per loro, la parte orientale del Paese e, se si deve credere ai mille dispacci di ieri, hanno anche il controllo di tutti o quasi tutti gli impianti petroliferi.

Questo è il punto, no? La crisi libica può innescare una crisi del petrolio e a quel punto, per il resto del mondo…
Bisogna un po’ allargare la prospettiva. Chi si occupa di queste cose non si limita a considerare le forniture libiche, ma valuta la situazione in generale di tutti i paesi produttori. Intanto: è possibile che la Libia cessi di produrre? Chiunque andrà al potere si rimetterà subito a vendere greggio, perché quella è la fonte di ricchezza principale del Paese. Il peggio è la situazione di incertezza attuale: se nessuno vince, se tutti si combattono, la produzione scemerà e alla fine cesserà. Su questo aspetto del problema la domanda dunque è: quanto durerà la guerra? quanto ci vorrà per avere di nuovo a Tripoli un qualche governo? A questo nessuno sa evidentemente rispondere, oggi.

Quanto petrolio ci dava Gheddafi?
Un terzo della nostra importazione di petrolio viene dalla Libia. Ieri l’amministrazione delegato dell’Eni è andato a riferire al Copasir (la Commissione parlamentare, presieduta da D’Alema, che vigila sui nostri servizi di sicurezza). Ha pronunciato parole tranquillizzanti, e del resto non avrebbe potuto fare diversamente: «L’effetto della crisi libica si vede sul prezzo. Stamattina (cioè ieri mattina) il Brent andava verso i 120 dollari. La Libia gioca un ruolo, ma questo non ha nulla a che vedere con la sicurezza degli approvvigionamenti, anche se dalla Libia importiamo molto petrolio. È vero che ci sono un milione e duecentomila barili in meno. Non si tratta però di un gran numero, anche se è qualcosa. È piuttosto l’incertezza generale nella regione a influenzare il mercato, è come un grilletto che fa partire la speculazione». Bisogna aggiungere che i prezzi a cui ha fatto riferimento Scaroni sono quelli del mattino. Nel corso del giornata le quotazioni sono scese. Scaroni stesso ha aggiunto che, se la situazione si tranquillizzasse, il prezzo del barile scenderebbe sotto i cento dollari.

Quello che vorrei sapere è dove prenderemo quel 30 per cento di fornitura che ci verrà a mancare.
Scaroni ha detto che sarà facile trovare altri fornitori. Un alto funzionario saudita, rimasto anonimo, lo ha indirettamente confermato: «I sauditi sono attualmente in trattative con compagnie europee per valutare i bisogni di ciascuno, in termini di qualità e quantità». Secondo lui la Saudi Arabian Oil Co (Saudi Aramco) è in grado di rimpiazzare tutta la fornitura libica.

E il prezzo?
È il tema più delicato. In astratto, i paesi produttori hanno interesse a vendere al prezzo più alto possibile. In concreto, però, gli effetti inflazionistici del prezzo del petrolio sono tali che un barile troppo caro può mandare in crisi le economie del mondo e determinare perciò una caduta della domanda. In altri termini: il mercato del petrolio è fiorente se ci sono paesi che lo comprano, e i paesi comprano tanto più petrolio quanto più sono in salute. Il quadro è ulteriormente complicato dal fatto che a giocare la partita non sono solo venditori e compratori, ma anche gli speculatori che scommettono sull’andamento del prezzo e contribuiscono quindi a formarlo. Se gli speculatori pensano che il prezzo del petrolio salirà, tenderanno a comprare adesso certificati da incassare in futuro. E viceversa.[Giorgio Dell’Arti, Gazzetta dello Sport 25/2/2011]