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 2011  marzo 11 Venerdì calendario

Un consiglio dei ministri straordinario ha varato ieri, all’unanimità, un disegno costituzionale di riforma della giustizia, diciotto articoli che, se e quando saranno approvati, cambieranno profondamente il nostro sistema. Con due disegni, Berlusconi ha spiegato che prima il piatto della bilancia pendeva dalla parte del duo giudice-pubblico ministero. Adesso, il giudice fa da perno e accusa e difesa si equilibrano, stando ognuna su un piatto. Berlusconi ha ribadito che la riforma è nell’interesse di tutti, non è stata varata per uscir vivo dai processi («sono comunque stato assolto 24 volte su 30»), ce l’aveva in mente dal 1994 e persino la sinistra, aveva presentato in passato, proposte simili a quelle contenute in questo testo. Da parte delle opposizioni e delle organizzazioni che rappresentano i magistrati, è invece un solo coro: la riforma è un colpo di mano che vuole mettere i pubblici ministeri sotto il controllo dei politici.

Perché due anni?
Perché si tratta di un disegno di legge costituzionale. Il consiglio dei ministri lo ha approvato, ma adesso deve passare alla Camera, poi al Senato, poi di nuovo alla Camera e poi ancora al Senato. Tra un’approvazione e l’altra devono trascorrere tre mesi. Se il testo non verrà approvato con una maggioranza di almeno due terzi, gli oppositori potranno ricorrere a un referendum per abrogarla (è già successo con la prima riforma del federalismo). Alfano ieri s’è detto sicuro che, in caso di referendum, i “sì” arriveranno in massa. Il guaio è che, anche in quel caso, un possibile esame spassionato del testo sarà reso impossibile dal fatto che si voterà come sempre pro o contro Berlusconi. C’è poi l’incognita della fine della legislatura: mancano poco più di due anni alle prossime elezioni ed è piuttosto probabile che, per i quattro passaggi, non si farà in tempo. Quanto ai contenuti, in molti punti il testo fa riferimento a leggi successive, che il Parlamento quindi, dovrà emanare. Berlusconi dice che saranno dieci e che la più importante gli pare quella che regolerà l’impossibilità di presentare appello contro un’assoluzione in primo grado (articolo 14: «…le sentenze di proscioglimento sono appellabili solo nei casi previsti dalla legge…»). Una legge così l’aveva fatta approvare Pecorella nel 2006, ma il presidente Ciampi non l’aveva firmata giudicandola incostituzionale.

Non può essere questo il punto più importante, se magistrati e opposizione si arrabbiano tanto.
La riforma prevede la separazione rigorosa delle carriere tra giudici giudicanti e pubblici ministeri. Ci saranno due Consigli superiori della magistratura, uno per gli uni e l’altro per gli altri. In questi consigli, la componente eletta dai cosiddetti “togati” sarà uguale a quella dei membri eletti dal Parlamento. Allo stesso modo: la Corte di disciplina si divide in due sezioni, una per i giudici, l’altra per i pubblici ministeri. Altro punto caldo, anzi caldissimo, riguarda la responsabilità dei pubblici ministeri: «I magistrati sono direttamente responsabili degli atti compiuti in violazione di diritti al pari degli altri funzionati dello Stato. La legge espressamente disciplina la responsabilità civile deio magistrati per i casi di ingiusta detenzione e di altra indebita limitazione della libertà personale. La responsabilità civile dei magistrati si estende allo Stato».

E come si punisce un magistrato? E chi giudicherà i magistrati?
Le modalità sono tutte rinviate a una legge da scrivere e approvare. Nel 1987 si svolse un referendum sulla responsabilità civile dei magistrati, promosso dai radicali e ampiamente vittorioso, con quorum raggiunto: l’80% sì, il 20% no. Non se ne è mai tenuto conto.

È vero che i giudici non saranno più indipendenti dal potere politico?
Bisognerà vedere come saranno scritte le dieci leggi. L’articolo 5 assicura «l’autonomia e l’indipenza» del pubblico ministero, l’articolo 3 proclama: «I giudici costituiscono un ordine autonomo e indipendente da ogni potere e sono soggetti alla legge». Però l’obbligatorietà dell’azione penale, priva di qualunque limitazione fino ad ora (anche se in concreto irrealizzabile) è ora da esercitarsi «secondo i criteri stabiliti dalla legge» (ancora da scrivere). È limitante anche l’articolo 11, che intacca l’inamovibilità del giudice: «In caso di eccezionali esigenze, individuate dalla legge, attinenti all’organizzazione e al funzionamento dei servizi relativi alla giustizia, i Consigli superiori possono destinare i magistrati ad altre sedi».

È una riforma pensata per mettere in salvo il premier?
Direi di no. L’articolo 17 dice così: «I principi contenuti nella presente legge costituzionale non si applicano ai procedimenti penali in corso alla data della entrata in vigore». [Giorgio Dell’Arti, Gazzetta dello Sport 11/3/2011]