La Gazzetta dello Sport, 22 aprile 2011
Marchione va a razzo nella conquista di Chrisler. Quindici giorni fa aveva annunciato che Fiat sarebbe «salita al 30%», ieri ha detto di esser pronto a comprare un altro 16%

Marchione va a razzo nella conquista di Chrisler. Quindici giorni fa aveva annunciato che Fiat sarebbe «salita al 30%», ieri ha detto di esser pronto a comprare un altro 16%. A fine giugno il Lingotto dovrebbe essere cioè al 46% di Chrysler.
• Cioè, lei vuol dire che a fine giugno la Fiat avrà il 46% delle azioni Chrysler. Quanto le costerà questo? E chi sono i soci che le venderanno le azioni?
Per un meccanismo che sarebbe troppo lungo spiegare, la Fiat, se si sbriga, pagherà meno la Chrysler. Quanto alle azioni, finora non sono state pagate. È stata solo restituita una parte del prestito erogato nel 2009 dal Tesoro americano. Sei miliardi di dollari. Gli altri azionisti sono, appunto, il Tesoro Usa (in questo momento all’8,6%), il governo canadese (al 2,2%) e soprattutto il fondo Veba gestito dal sindacato che è al 59,2%. Bisogna ricordare per sommi capi la situazione del 2009 e il relativo accordo per salvare la casa americana: la Chrysler era tecnicamente fallita e questo sarebbe costato 30 mila posti di lavoro. Il presidente Obama individuò nella Fiat l’angelo salvatore. Marchionne entrò alla Casa Bianca, l’azienda di Torino venne coperta di elogi. Barack voleva che si cominciassero a costruire anche in America automobili piccole e poco inquinanti. Il Lingotto sembrava l’azienda giusta e, per come stanno andando le cose, si direbbe proprio che è l’azienda giusta. Vennero prestati sei miliardi e i pacchetti azionari suddivisi tra soggetti di garanzia, come il sindacato e il ministero. Fiat, che entrava con un 20%, portando in cambio tecnologie e know how, era autorizzata a salire fino al 51 man mano che restituiva i soldi allo Stato. Entro il 2015. In base a quello che ha detto ieri l’amministratore delegato, l’ultimo 6% verrà incamerato prima della fine dell’anno. Segno che il debito sarà stato completamente restituito.
• E come hanno fatto a restituire i soldi se il mercato dell’auto va sempre più giù?
Va giù il mercato europeo e in particolare quello italiano (che non è più così importante). Tiene bene il mercato americano e si fanno buoni profitti in Brasile. Ieri Marchionne ha anche presentato i conti Chrysler: Fiat Industrial ha chiuso il primo trimestre dopo la scissione con un utile netto pari a 114 milioni di euro rispetto alla perdita di 34 milioni di euro dello stesso periodo 2010. In crescita decisa rispetto a un anno fa (+19,3%) anche i ricavi, pari a 5,3 miliardi di euro. L’utile della gestione ordinaria, inoltre, è più che raddoppiato, a 277 milioni di euro dai 122 milioni nello stesso periodo 2010. L’annuncio sulla Chrysler ha fatto schizzare il titolo in Borsa, che è poi andato giù perché i numeri buoni di Marchionne non erano così buoni come si aspettavano gli operatori. In ogni caso, per rispondere alla sua domanda, per restituire i soldi allo stato americano la Fiat s’è evidentemente indebitata con le banche.
• Questo va bene?
Gli analisti sostengono che il gruppo ha tutti i mezzi per sopportare questo indebitamento. L’unico problema è che i concorrenti hanno meno debiti dei torinesi.
• È giusto continuare a chiamarli “torinesi”?
Forse no. È altamente probabile che l’anno prossimo la Fiat, quando avrà il 51% di Chrysler, proceda a una fusione, quoti l’azienda a Wall Street e metta la sede legale a Detroit. La quotazione (su cui però ieri Marchionne ha espresso dubbi) porterebbe denaro fresco e diminuirebbe l’esposizione verso le banche. L’americanizzazione del Lingotto è vissuta male dagli italiani, specialmente dai rappresentanti sindacali. Landini, capo dei metalmeccanici Cgil, s’è già lamentato la scorsa settimana per il primo balzo Fiat in Chrysler. Ieri la Camusso ha parlato di «una conferma»: la Fiat, secondo il segretario Cgil, si sta spostando in America. «Invece della presentazione di un piano compiuto su Fabbrica Italia c’è il suo annuncio pezzetto per pezzetto, probabilmente subordinato a quanto mano a mano avviene negli Stati Uniti».
• È vero?
Il bello è che il comportamento italiano di Marchionne è stato determinato fortemente dall’atteggiamento dei sindacati americani, i quali si sono opposti ad accordi che privilegiassero un’area del gruppo. Landini e Camusso dovrebbe fare un volo negli Usa e incontrare i loro colleghi, i quali hanno accettato, per far sopravvivere l’azienda, tagli di salario e di assicurazione sanitaria, impegnandosi persino a non scioperare fino al 2015. In Italia, invece, la Fiom ha denunciato al giudice il patto Mirafiori/Pomigliano, approvato con un referendum. Vedremo come finirà il caso Bertone, un’azienda in cassa da sei anni, su cui Marchionne vuole investire mezzo miliardo, purché le regole siano quelle già stabilite per gli altri due stabilimenti italiani. Gli operai di quella fabbrica sono tesserati Fiom al 70%. È probabile che al referendum che li riguarda dicano di no e che Marchionne – forse persino con sollievo – vada a fabbricare la Maserati da un’altra parte. [Giorgio Dell’Arti, Gazzetta dello Sport 22/4/2011]