vanity, 31 gennaio 2011
L’Egitto è in fiamme
• L’Egitto è in fiamme e, a quanto pare, il regime di Mubarak ha i giorni contati. Il popolo è in piazza da una settimana, la polizia ha tentato di fermarlo sparando, i morti sono fino a questo momento 150, ma la rivoluzione non si ferma, folle che gridano «Vattene, vattene» hanno invaso le strade del Cairo, di Alessandria, di Suez, di Porto Said, di Mansura, tenute a bada da ultimo dall’esercito, che per il momento ha rinunciato all’uso delle armi. Ma domenica la piazza Tahrir era presidiata da sedici carri armati e altri tank percorrevano lenti le vie della città, mentre caccia militari sorvolavano a bassa quota i luoghi dei comizi e delle manifestazioni. Mancando anche una guida alla rivolta, sciacalli e banditi hanno devastato e saccheggiato case e musei, due mummie sono state fatte a pezzi, una quantità impressionante di reperti è stata ridotta in frantumi, memorie millenarie sono adesso polvere. Essendo sparita la polizia, i cittadini si sono necessariamente organizzati in comitati di auto-difesa e questo ha ulteriormente aumentato, se possibile, il caos. A lunedì mattina si contavano migliaia di evasi, andati a ingrossare in gran parte la turba dei razziatori. L’aeroporto è paralizzato e invano masse di stranieri hanno tentato di tornare a casa: lo scalo del Cairo è pieno di famiglie con i bambini in lacrime, madri e padri si aggirano disperati in quegli spazi inutilmente moderni alla ricerca di un volo qualsiasi che li porti altrove. Il governo americano ha ridotto il personale e invitato i suoi a rientrare, l’Arabia Saudita è riuscita a mandare otto aerei di soccorso, ponti che rendano possibile il rientro in patria sono stati organizzati – non si sa ancora con quale esito – da Libia, Turchia, Emirati, Libano, Giordania, Qatar, Kuwait. Non ci sono vittime tra gli italiani, che hanno in Egitto una forte presenza. Escluso che chi ha prenotato qualche vacanza, per esempio a Sharm-el-Sheik, possa effettivamente partire. Il nostro ministero consiglia caldamente di rinunciare.
• La rivoluzione è nata spontaneamente, per imitazione di quella tunisina e quasi con lo stesso innesco: tre o quattro infelici, afflitti dalla miseria e senza speranze per il futuro, che si sono dati pubblicamente fuoco. Mubarak ha risposto all’impressionante crescendo della protesta mandando in piazza la polizia, ma poi ritirandola su pressione degli americani. La situazione è al momento in mano all’esercito e sarà l’esercito – d’accordo con Obama – a governare il passaggio. Con o senza il rais? Molto probabilmente senza: al Jazeera ha fatto sapere che la moglie Suzanne e i due figli Alaa e Gamal sono fuggiti a Londra, circostanza smentita dalla tv egiziana. Il pomeriggio di domenica Mubarak, per far sapere di essere rimasto al suo posto, s’è fatto vedere in tv, senza pronunciare discorsi. Ma il suo vecchio progetto, restare presidente nelle elezioni di settembre oppure portare a quella carica il figlio Gamal (47 anni), deve ritenenrsi tramontato per sempre.
• Il rais ha dovuto licenziare il governo in carica, affidare la formazione di un nuovo governo al responsabile dell’aviazione civile Ahmed Shafik e soprattutto nominare per la prima volta un vice presidente, il capo dei servizi segreti Omar Suleiman, 75 anni. Sarà Suleiman – ottimo amico degli americani – a gestire questo momento di passaggio? Non è detto: i vari gruppi dell’opposizione hanno chiesto a Muhammad El Baradei di farsi carico della transizione e domenica in piazza costui ha arringato la folla. Muhammad El Baradei è un diplomatico di 69 anni, rientrato in Egitto per l’occasione, già direttore per un decennio dell’Agenzia Internazionale per l’Energia Atomica e ambasciatore dell’Onu per il suo paese (si oppose con forza all’intervento di Bush in Iraq sostenendo a ragione che in quel paese non v’erano armi di distruzione di massa). E un “americano” anche lui, dato che ha studiato e soggiornato a lungo negli Stati Uniti. Agli egiziani riuniti nella piazza Tahir ha detto: «Quel che abbiamo cominciato non può tornare indietro. Io mi inchino in segno di rispetto al popolo. E vi chiedo pazienza: il cambiamento arriverà a breve nei prossimi giorni». Questo cambiamento dovrebbe consistere nell’uscita di scena morbida di Mubarak e nella creazione di un governo o di una presidenza di transizione che porti il paese alle elezioni e a un inizio di vita effettivamente democratica. L’Egitto ha una costituzione, di fatto ignorata da sempre grazie alle norme speciali contenute nella cosiddetta Legge dell’Emergenza. Fino a oggi nessun partito politico poteva presentarsi senza l’approvazione del Parlamento, controllato al 95% dallo stesso Mubarak.
• Il terrore dell’Occidente è che il bandolo sfugga agli elementi moderati, finisca nelle mani dei Fratelli Musulmani e per questa via renda l’Egitto un altro stato dominato dall’ideologia islamista e in definitiva da al Qaeda. Il paese è decisivo nello scacchiere arabo-israeliano, si passa facilmente dall’Egitto in Palestina attraverso il valico di Rafah (adesso chiuso) e, insomma, il rischio è che la rivoluzione finisca per rafforzare gli estremisti di Hamas. Gli osservatori ritengono tuttavia questo sbocco meno probabile, specialmente per le divisioni interne ai Fratelli, che hanno infatti sottoscritto il mandato fiduciario a El Baradei. Un rischio più concreto riguarda il petrolio, il cui prezzo sta già a cento dollari. La chiusura prolungata del canale di Suez potrebbe avere sui traffici internazionali un effetto devastante. [Giorgio Dell’Arti]