vanity, 1 settembre 2004
La strage di Beslan
• La strage di Beslan (almeno 330 morti, di cui 156 bambini) è durata tre giorni: da mercoledì 1° settembre a venerdì 3 settembre.
• Mercoledì. A Beslan, piccolo centro di 30 mila abitanti dell’Ossezia settentrionale (siamo nel Caucaso), è il primo giorno di scuola. Bambini in festa, maestre in attesa, genitori con mazzi di fiori. Ci troviamo nella scuola numero 1 della città, una media. Nel corso dell’estate l’edificio è stata ristrutturata, adesso appare come nuovo con i suoi mattoni rossi. Proprio durante i lavori di ristrutturazione estivi, degli uomini - forse provenienti dalla vicina Inguscezia - hanno dato mance agli operai e ai capi-cantiere per portar dentro e nascondere in vari locali fucili, mitra e bombe. Questi uomini avevano prima saggiato la possibilità di portar le armi in una scuola della capitale Vladikavkaz: ma a Vladivakvaz la corruzione costa molto di più. Dunque, Beslan, più economica. Ora che genitori, bambini e maestre sono riuniti per la festa del primo giorno e stanno un po’ fuori e un po’ dentro, questi uomini – barbe lunghe o passamontagna neri – arrivano a bordo di due camion Ural. Sparano immediatamente, gridano alla folla di entrare a scuola, scendono dai camion e per far capire che la cosa è seria ammazzano a fucilate una vecchia e un uomo che cercano di fermarli. Una folla di 1200 persone si precipita nelle aule. I terroristi dietro. In pochi minuti, si formano gli schieramenti dei due giorni successivi: all’esterno una folla a cui si aggiungeranno via via forze dell’ordine della città, reparti speciali russi, gente armata di tutti i tipi, parenti in ansia, giornalisti e telecamere provenienti da tutto il mondo, curiosi; all’interno, i terroristi e i loro ostaggi.
• Giovedì. I terroristi sono una trentina, gli ostaggi più di mille. Il 70 per cento di questi ostaggi è costituito da bambini e ragazzi. Un altro nucleo importante sono le madri. Spesso avevano accompagnato i figli a scuola portando con sé altri figli, che non avevano voluto lasciare a casa incustoditi. I sequestratori sono andati a prendere le armi che avevano nascosto durante l’estate e, soprattutto, le bombe, che appiccicano sulle pareti della scuola con dello scotch. Mostrano ai sequetrati una tastiera di computer, spiegano che premendo i tasti sono in grado di far saltare tutto in aria. Tra i terroristi ci sono almeno quattro donne. Queste quattro donne fanno vedere di essersi vestite di tritolo e dichiarano di essere pronte a farsi saltare in aria in qualunque momento. Gli ostaggi sono ammassati nella palestra, dove c’è un rubinetto dell’acqua. Per un po’ è possibile bere. Ma, da un certo momento in poi, i terroristi proibiscono di avvicinarsi al rubinetto e non vogliono che si vada in bagno, per paura che qualche ragazzino non sia capace di zigzagare tra i numerosi fili che corrono sul pavimento e tengono collegate le bombe. Madri, maestre, bambini e i pochi uomini sono costretti a fare i loro bisogni nella palestra e si dissetano bevendo ciascuno la propria pipì. Fa un caldo infernale. I terroristi cercano di formare dei gruppi, di qua gli uomini, di là le madri con i figli più piccoli, eccetera, Liberano qualche madre con bambini lattanti, perché sono infastiditi dal loro continuo frignare. Ma a chi ha due figli in ballo, concedono la libertà solo se accettano di lasciargliene uno in ostaggio. Lasciano che siano le madri a decidere quale.
• Venerdì. Verso le 13 i terroristi concedono ai reparti speciali che stanno fuori di recuperare qualche cadavere che da tre giorni è in cortile. Cinque uomini si avvicinano con le barelle a questi corpi morti e, proprio mentre stanno facendo questa operazione, una delle bombe appese alle pareti della scuola cade per terra ed esplode. Si apre una breccia nel muro e gli ostaggi si precipitano disperati verso quel buco, cercando di salvarsi. I terroristi gli sparano immediatamente e, da fuori, certi che sia cominciata la carneficina, sparano a loro volta. Crolla il soffitto della palestra, esplodono altre bombe, le donne kamikaze si fanno saltare in aria, alcuni terroristi rubano i vestiti ai cadaveri e cercano di fuggire facendosi passare per vittime. Molti ci riescono, qualcuno viene scoperto e linciato. Un altro gruppetto di terroristi sta asserragliato nella palestra e combatte. A sera, è più o meno tutto finito. I morti dichiarati sono 330, i dispersi 260, i terroristi ammazzati 26. Nessuno crede a questi numeri, che si suppongono molto più alti. I commentatori di tutto il mondo giudicano la vicenda un colpo grave alla leadership di Putin. Beslan e l’Ossezia fanno parte di un intreccio caucasico che guerreggia con Mosca da novant’anni. Le autorità russe proclamano che dieci terroristi erano arabi, i testimoni dicono che avevano tutti l’accento ceceno. Vi sono contatti con Al Qaeda? Forse. Nel mondo islamico – a cui fanno riferimento gli attentatori – vi sarà un sussulto di orrore, un proclama forte che dica senza lasciar dubbi: questo non è l’Islam? Chi sa. Sulle televisioni di tutto il mondo passano, nella giornata di sabato 4 settembre, ore e ore di filmati che mostrano sacchi neri, bambini insaguinati, facce di donne in lacrime, ragazzini che raccontano il loro terrore e hanno indosso la maglietta Milan o Cirio. Si vede anche Putin, alla fine, con un girocollo nero, che promette: “Nulla sarà perdonato, i terroristi saranno distrutti”.
• La condotta dei russi è stata generalmente assai criticata: il primo giorno Putin aveva promesso che non si sarebbe ripetuto il caso del teatro Dubrovka di Mosca, dove tanti ostaggi erano morti. Invece i testimoni riferiscono che non c’è stata praticamente mai trattativa con sequestratori e che al momento cruciale i russi – reparti speciali e milizie locali – sono intervenuti alla cieca, come in preda all’orgasmo e, in sostanza, senza mostrare di essere in possesso di un piano freddamente preordinato. Bernard Bot, olandese e presidente di turno della Ue, ha chiesto a Mosca spiegazioni e Mosca ha giudicato questa richiesta “blasfema”. Nonostante la solidarietà e la comprensione mostrata verso Putin da Bush e da Berlusconi, c’è tensione, dopo i fatti di Beslan, tra Russia e Occidente.
• Georges Malbrunot e Christian Chesnot, i due reporter francesi, non sono ancora stati liberati. Chirac ha dispiegato tutta la sua diplomazia, il rilascio sembra imminente, ma ogni volta che sembra arrivato il momento qualcosa – che nessuno capisce – lo fa rinviare di qualche ora. Così è passata una settimana. C’è anche il problema, naturalmente, che tutti i mediatori devono essere pagati. [Giorgio Dell’Arti]