vanity, 31 gennaio 2005
Otto milioni di iracheni a votare
• Otto milioni di iracheni sono andati a votare per eleggere i 275 rappresentanti che all’assemblea nazionale dovranno redigere la Costituzione, i 41 membri dei 17 consigli provinciali, i 51 del consiglio di Bagdad. Si tratta delle prime elezioni nel Paese dal 1954 e le prime in assoluto in cui hanno votato le donne. L’affluenza (oltre il 60 per cento) è stata superiore ad ogni previsione nonostante l’assalto ai seggi degli uomini di Al Zarqawi che hanno ucciso 36 persone (30 civili e 6 poliziotti) facendo oltre 90 feriti: la strage più grave è avvenuta nella zona est di Bagdad, dove un kamikaze si è fatto esplodere in mezzo alla gente che faceva la fila (6 morti), un altro l’hanno scovato gli elettori prima che si facesse saltare in aria. Quando le misure approntate dalla sicurezza si sono rivelate insormontabili, i ribelli si sono sfogati bombardando i seggi a colpi di mortaio. Nonostante il capo della locale filiale di Al Qaeda abbia mostrato soddisfazione con proclami tipo “abbiamo rovinato le loro nozze”, è opinione comune che abbia perso la battaglia (la guerra?). Riguardo all’affluenza, va precisato che se le cose sono andate molto bene nelle città curde (Kirkuk) e sciite (Bassora, Nassiriya) non si può dire lo stesso di quelle sunnite (Fallujah, Tikrit, Mosul), dove i seggi sono rimasti pressoché deserti. Pur ammettendo che “c’è ancora molto da fare”, Bush ha comunque parlato di “chiaro successo” (secondo alcuni commentatori è la seconda elezione che vince in tre mesi): “Oggi il popolo iracheno ha parlato al mondo, e il mondo sta ascoltando la voce della libertà che si leva dal centro del Medio Oriente”. Il premier britannico Tony Blair ha detto che “l’affermazione della democrazia in Iraq è un colpo al cuore del terrorismo globale che minaccia distruzione, non solo in quel paese, ma anche in Gran Bretagna e ovunque nel mondo”. Quanto ai risultati, bisognerà attendere la prossima settimana, ma è certo il successo (schiacciante) dell’Alleanza irachena unita guidata dall’ayatollah al Sistani, una coalizione di partiti religiosi sciiti. Si tratta di una buona notizia per l’Iran, meno per il mondo arabo dominato dai sunniti, cioè la vicina Giordania e soprattutto l’Arabia Saudita, dove i rigorosi, dogmatici wahabiti (alla base della monarchia) considerano eretici gli sciiti. Nella migliore delle ipotesi, le truppe alleate non potranno lasciare il Paese prima di 18 mesi. [Giorgio Dell’Arti]