vanity, 29 agosto 2005
Antonio Fazio e la Banca d’Italia
• Il governatore della Banca d’Italia, Antonio Fazio, resterà in carica fino al 2006, quando a sostituirlo provvederà il prossimo, probabile governo di centrosinistra, o sarà obbligato ad andarsene nelle prossime settimane, per un’iniziativa – magari concordata con l’opposizione – del governo Berlusconi? Venerdì 26 agosto il governatore si è presentato al Cicr – sigla che significa “Comitato Interministeriale per il Credito e il Risparmio – e ha dato la sua versione dei fatti relativamente alle scalate Antonveneta e Bnl. Ci si aspettava qualcosa dal governatore anche relativamente alle intercettazioni telefoniche. Come giustificava, il dottor Fazio, l’intimità sua e della moglie con Gianpiero Fiorani, uno dei due aspiranti al possesso di Antonveneta? Non era questa intimità in contrasto con l’equidistanza che il governatore deve avere tra i soggetti che concorrono per un’Opa? Non metteva a repentaglio, questa sua ipotetica non-neutralità, la credibilità dello stesso governatore, e quindi dell’Italia intera, di fronte alla comunità europea dato che, oltre tutto, l’altro contendente era l’importante banca olandese Abn Amro? A queste domande Fazio non ha dedicato che una frase: ”le intercettazioni telefoniche fuoriescono dall’ambito istituzionale nel quale ci troviamo”. Sul resto ha dimostrato di essersi mosso in perfetta coerenza con le leggi esistenti. Ci si deve soffermare sull’espressione “leggi esistenti”: dal 1° gennaio entreranno in vigore regole europee (le cosiddette norme di Basilea) in base alle quali mai e poi mai una piccola banca come la Lodi (adesso Popolare Italiana) potrebbe mangiarsi un istituto molto più grande come Antonveneta. E quasi certamente neanche Unipol potrebbe scalare, col patrimonio che ha, la Bnl. Ma Fazio ha argomentato sulla base delle regole in vigore in questo momento e ha dimostrato che non c’era ragione per non dare le autorizzazioni a Fiorani e a Consorte (il patron della Unipol). Non ha egli favorito, giocando abilmente sui tempi, la Banca Popolare Italiana su Abn Amro? Non si è egli accorto che la Popolare Italiana ha venduto certe sue partecipazioni ad acquirenti finti, che avevano la garanzia di rivendere tra qualche mese alla stessa Popolare, ma a prezzo molto più alto? Non ha egli orchestrato tutto in modo che avessero la loro soddisfazione sia la destra (Fiorani-Antonveneta) che la sinistra (Consorte-Bnl) e che vi fosse una copertura completa, politicamente parlando, di tutto l’affaire? Risposte, esplicite o implicite, di Fazio davanti al Cicr: no, no e no.
• C’è adesso uno schieramento, formato da non-fassiniani e da non-berlusconiani di centro, che vuole la pelle del governatore subito. Questo gruppone, al quale aderiscono esponenti del centro-destra e del centro-sinistra, è capeggiato dal duo Prodi-Rutelli, una volta tanto concordi. La Bnl, oltre tutto, presieduta da Luigi Abete, era finora considerata di area Margherita. E l’operazione Fazio la trasferisce invece in area diessina (meglio: dalemian-fassiniana). Come si può pensare che le tribù politiche italiane facciano passare una cosa come questa in silenzio? Dunque, il governatore vada via. Si oppongono a questa offensiva i berlusconiani, la cui punta di diamante è costituita in questo caso dai leghisti. I leghisti vedono la storia dell’attacco a Fazio come un tentativo dei romani di impedire la nascita di un forte polo bancario lombardo (sarebbe la Popolare italiana dopo la digestione dell’Antonveneta). Perciò, dicono, potremmo anche acconsentire al licenziamento di Fazio se si desse il via libera a Fiorani. Non si deve dimenticare che Fazio e Fiorani, a suo tempo, salvarono dalla bancarotta la banca che la Lega aveva tentato di costruirsi al Nord.
• Su questo sfondo che vanno letti i continui interventi dell’ex commissario europeo Mario Monti, autore da ultimo anche di un editoriale sul Corriere della Sera di domenica 28, a favore della nascita di un Grande Centro, che sappia adottare una politica economica capace di far uscire l’Italia dalla stagnazione o addirittura dal declino (Ronchey) in cui si trova. Per dirla con le parole dello stesso Monti: “Come si può riuscire a mettere in campo tutta la determinazione che occorre per superare le resistenze corporative di ogni tipo, se non si può coinvolgere l’appoggio dei ’simili dell’altro’ e si devono fare i conti con ’i diversi del proprio Polo’?”. In altri termini: Udc e Margherita (Follini/Casini e Rutelli/Prodi) la pensano in modo molto più simile che non l’Udc e, mettiamo, la Lega sul lato destro, Prodi e Bertinotti su quello sinistro. Questo ragionamento, che è stato fatto a questo punto tre volte, suscitando reazioni sempre più vistose, prepara probabilmente la frattura definitva tra Udc e Forza Italia: Casini e Follini – con discorsi, interviste e soffiate varie ai giornali – hanno fatto ormai capire chiaramente che non intendono andare alle elezioni restando sotto la coda di Berlusconi. Perciò: o Berlusconi si fa da parte e la Casa delle Libertà mette contro Prodi un altro candidato (per esempio, lo stesso Casini). Oppure l’Udc è pronta ad andare al voto da sola. Berlusconi s’è fatto fare un sondaggio da cui si vede che la batosta, senza l’Udc, sarebbe ancora più tremenda di quello che si teme: il centrosinistra avrebbe la maggioranza senza nemmeno bisogno dei voti di Rifondazione. E anche per questo non molla: il candidato sono io – dice – e resterò io. [Giorgio Dell’Arti]