vanity, 24 maggio 2010
La legge sulle intercettazioni
• Maggioranza e opposizione, governo e mondo della carta stampata sono ai ferri corti per la legge sulle intercettazioni, già approvata dalla Camera l’anno scorso, poi accantonata per i mugugni di Napolitano e le elezioni regionali, adesso rimessa in pista al Senato dove, superati a tappe forzate gli ostacoli delle Commissioni (sedute notturne, eccetera), sta per andare in aula. Si tratta di un provvedimento con due obiettivi dichiarati: limitare per quanto possibile il potere dei pubblici ministeri di indagare intercettando e impedire ai giornali di dar notizie delle inchieste in corso. Sul primo punto: i pm dovranno essere autorizzati a mettere sotto controllo il telefono di chicchessia da una commissione di tre giudici e non potranno in nessun caso spiare gli inquisiti per più di 75 giorni. Sul secondo punto: gli editori di giornali saranno sanzionati con multe fin quasi a mezzo milione di euro se pubblicheranno alcunché intorno a inchieste giudiziarie che non siano ancora giunte alla fase del rinvio a giudizio; i giornalisti colpevoli di aver scritto articoli in deroga alla legge potranno anche andare in carcere.
• Le critiche alla legge sono le seguenti. Relativamente alla magistratura: non si capisce perché un’intercettazione debba essere per forza interrotta al settantacinquesimo giorno, quando la storia del crimine è piena di operazioni portate a termine con successo dopo controlli durati mesi e mesi (Fbi e mafia americana, per esempio). Relativamente ai giornali: l’articolo 21 della Costituzione stabilisce che «la stampa non può essere soggetta ad autorizzazioni o censure», parole che non trovano eccezioni nei commi successivi, dove si ammette solo che la magistratura possa disporre sequestri in edicola o libreria dopo la pubblicazione. Altro punto: prevedere una sanzione (fortissima) per gli editori significa intaccare l’autonomia delle redazioni, del cui lavoro risponde, per legge, il direttore e non l’editore. Fino ad oggi gli editori non avevano formalmente il potere di intervenire sulla fattura di giornali e tg, ma solo quello di licenziare, eventualmente, il direttore. Surrettiziamente la legge tenta di introdurre, nel lavoro quotidiano di chi fa informazione, un elemento di divisione molto grave.
• Contro la legge si sono mobilitati i giornalisti, che dovrebbero inizialmente scioperare due giorni, e gli editori, che hanno sottoscritto un appello preparato da Stefano Mauri e Giuseppe Laterza: «Con una classe politica che fa quadrato attorno agli indagati immaginate un mondo dove non si possano conoscere i motivi delle indagini in corso». Mondadori ed Einaudi, proprietà di Berlusconi, non hanno sottoscritto, insinuando anzi che questa mobilitazione nasconde la volontà di sottrarre firme alle case editrici del Cavaliere (Saviano in testa). In un altro appello, preparato da Stefano Rodotà (l’inventore della legge sulla privacy) e forte di 120 mila firme, si legge: «Se quel testo diverrà legge della Repubblica, in un colpo solo verranno pregiudicati la libertà di manifestazione del pensiero, il diritto di sapere dei cittadini, il controllo diffuso sull’esercizio dei poteri, le possibilità d’indagine della magistratura». Ricordando che Berlusconi aveva detto, non molti giorni fa, che in Italia «c’è troppa libertà di strampa», Rodotà definisce la legge «sostanzialmente eversiva» e propone, per tutelare la privacy di chi viene intercettato senza aver nulla a che fare con le indagini, un’udienza anticipata «nella quale si seleziona il materiale emerso dalle intercettazioni e ciò che non ha rilevanza penale viene immediatamente distrutto». [Giorgio Dell’Arti]