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 2008  giugno 02 Lunedì calendario

L’inflazione

• L’inflazione è quella cosa che toglie valore ai soldi che abbiamo in mano. Nella sua definizione più raffinata è l’eccesso di carta che circola nel Paese. Più carta c’è, più è bugiardo il numero stampato sul biglietto. Nello Zimbabwe, quindici giorni fa, hanno messo in circolazione agro-assegni riservati ai contadini da 5, 25 e 50 miliardi di dollari locali e una banconota da 500 milioni buona per tutti con cui si potranno comprare due pagnotte. L’inflazione è al 165 mila per cento, il che significa che i prezzi cambiano più o meno ogni secondo.
Nella definizione più popolare, invece, l’inflazione è semplicemente l’aumento dei prezzi. Se il nostro stipendio resta lo stesso e i prezzi aumentano, la nostra busta paga vale meno. Ecco perché l’inflazione viene considerata un nemico molto pericoloso da banche e governi, e combattuta con ogni mezzo.

• La nostra inflazione – in base ai dati resi noti la settimana scorsa – è a maggio del 3,6%, il che ci colloca a una distanza siderale dallo Zimbabwe. Però ad aprile era al 3,3 e al livello del 3,6 non arrivavamo dall’agosto del 1996. Che cosa sta succedendo? Quello che tutti vediamo: i prezzi aumentano a un ritmo insolito, specialmente quelli del petrolio che hanno superato i 127 dollari a barile e quelli dei generi alimentari. Il rincaro del petrolio ha dato origine all’inaudito soprasso del gasolio sulla benzina (1,509 contro 1,504 della verde), fatto che ha indotto il Codancons ad annunciare una class action contro le case automobilistiche che hanno ingannato gli acquirenti di auto diesel promettendo risparmi. Quanto agli alimentari, fermo restando il ruolo della speculazione (il riso, dopo essere arrivato a 25 dollari ogni 50 chili è ridisceso ai livelli normali di 20 dollari), è un fatto che il benessere dell’ex Terzo Mondo e in particolare di India e Cina ha messo quei popoli nella condizione di consumare almeno un pasto completo al giorno. Questo, spingendo la richiesta di cereali, ha portato i prezzi verso l’alto.

• La Fao ha detto che questa febbre inflattiva sarà lunga: «Si prevede che nei prossimi dieci anni i prezzi nominali medi dei cereali, del riso e dei semi oleiferi siano più alti del 35%-65% rispetto alla media dei precedenti dieci anni. In termini reali, i prezzi saranno dal 10 al 35% più elevati». Secondo l’Economist i due terzi della popolazione mondiale (quattro miliardi di persone) dovranno presto fare i conti con un’inflazione a due cifre. Il senso di queste affermazioni è che noi europei soffriamo di inflazione importata: non possiamo farci niente. E c’è una corrente di pensiero che accusa per questo anche il governatore della Banca Centrale, Trichet: se l’inflazione viene dal resto del mondo, a che scopo insistere nel tenere il tasso di sconto – cioè il costo del denaro – al 4 per cento? Come abbiamo già scritto molte volte, la politica monetaria europea stride con quella americana dove, con un’inflazione al 4% (ma più probabilemte al 7) il tasso di sconto sta appena al 2,25: le banche americane il denaro praticamente lo regalano.

• L’andamento dell’inflazione è ancora più preoccupante perché le buste paga degli italiani non riescono a starle dietro: da gennaio ad aprile – secondo gli ultimi dati dell’Istat – gli stipendi degli italiani sono aumentati mediamente del 2,8 per cento. Con l’inflazione in quel momento al 3,3 significa che il potere d’acquisto dei nostri soldi ha perso in quattro mesi un altro mezzo punto.

• In questo scenario che il governatore della Banca d’Italia Mario Draghi ha pronunciato il suo discorso di fine anno (anno finanziario), intitolato per tradizione “Considerazioni finali”. Draghi stima prudentemente che le difficoltà dureranno ancora un anno e che intanto bisogna cominciare a diminuire le tasse (un punto all’anno fino a portarle al 40% del Pil dall’attuale 46) e far salire la produttività del Paese al Nord, ma soprattutto al Sud, dove imperano immobilismo e arretratezza. Il Mezzogiorno – ha detto il Governatore – produce il 40 per cento meno del Nord ed è devastato dal lavoro nero. Bisogna poi innalzare l’età pensionabile e riformare la pubblica amministrazione: «Da più voci sale, ormai da tempo, la richiesta [...] di abbattere la rendita improduttiva». Draghi è pienamente d’accordo col federalismo fiscale: «Il sistema dei trasferimenti agli enti decentrati» deve abbandonare «il criterio della spesa storica». [Giorgio Dell’Arti]