vanity, 27 dicembre 2008
Gli israeliani bombardano Gaza
• Gli israeliani stanno bombardando Gaza e non si vede la fine del massacro. I morti sono fino ad ora 430 (150 nei primi cinque minuti), i feriti più di duemila. Ufficialmente, si tratta della reazione alle provocazioni di Hamas che, a partire dal 19 dicembre – giorno in cui è finito il cosiddetto semestre di calma concordata–, ha ripreso a sparare razzi contro Israele, seminando panico, ma senza far morti. Naturalmente, dall’inizio delle incursioni israeliane, questo bombardamento è stato intensificato, al ritmo di circa trenta proiettili al giorno. Il raffronto dei morti tra le due parti è di per sé eloquente: 400 uccisi tra i palestinesi, appena 4 tra gli israeliani. Un rapporto di uno a cento.
• Hamas è quella formazione terroristica, nata nel 1987, costola dei fondamentalisti Fratelli musulmani, che nel gennaio 2006 ha vinto le elezioni in Palestina con la maggioranza assoluta dei voti. Abbiamo scritto ormai molte volte che quella vittoria equivaleva alla conquista del governo, in Italia, da parte delle Brigate rosse, e sia pure per una via legittima. Cessarono allora quasi del tutto gli aiuti internazionali e la stessa Israele mise in pratica un assedio anche economico-finanziario, tenendo chiusi per molti giorni al mese i valichi che mettevano Gaza in comunicazione col Paese, sequestrando i denari delle tasse e insomma riducendo un milione e mezzo di persone già in condizioni disperate alla fame: da un reddito pro capite dichiarato in tutte le statistiche di due dollari al giorno a un reddito odierno (presunto) di mezzo dollaro. Hamas nel frattempo, oltre a bombardare Israele (su cui sono stati scaraventati dal 2001 ad oggi ottomila proiettili), cacciava da Gaza gli esponenti del partito avverso, al Fatah, costringendoli a rifugiarsi in Cisgiordania, territorio palestinese anche quello, ma non confinante con la Striscia. Tel Aviv s’è trovata così di fronte alla possibilità di giocare una partita con due interlocutori, i palestinesi cattivi della Striscia, guidati da Hamas, e i palestinesi buoni di Cisgiordania, al comando del presidente Abu Mazen. Con Abu Mazen le trattative sono continuate e sarebbero a ottimo punto (bisogna solo definire la situazione di Gerusalemme) se non ci fossero di mezzo gli estremisti dei territori, con i quali adesso Abu Mazen è costretto a solidarizzare. in questo contesto di rapporti che va prima di tutto inquadrato l’attacco.
• Vi è poi la freddezza sempre maggiore verso Hamas dei governi arabi circostanti e prima di tutto quella del governo egiziano. I palestinesi, quando possono, scappano in Egitto attraverso le decine di tunnel scavati nella sabbia e l’Egitto ha sempre fatto finta di non vedere che, attraverso gli stessi tunnel, arrivano gli ordigni con cui Hamas bombarda Israele, costruiti in genere dai russi e regalati dagli iraniani. Mubarak ha infatti il problema delle piazze musulmane, che simpatizzano preferibilmente per Hamas e non vanno quindi troppo contrastate. Ma un ridimensionamento di Hamas sarebbe salutato – da lui e dagli altri leader arabi – come una liberazione: per il solo fatto di esistere, Hamas dà forza a una quantità di movimenti fondamentalisti che infastidiscono non poco sovrani e sceicchi di quell’area geografica. Non si deve dunque credere troppo alle grida di indignazione che si sollevano da ogni parte e specialmente dal mondo arabo. Israele, stavolta, è molto meno isolata di quel che sembra e infatti ha respinto ogni pressione per una tregua con queste due sole parole: «Sarebbe inutile».
• L’intenzione sembra quella di andare avanti il più possibile, per piegare Hamas o almeno per disarmarla: a Gaza avrebbero ancora a disposizione i Grad, micidiali missili russi con 40 chilometri di gittata, capaci cioè di raggiungere città come Ashdod o Bersheeba. Mentre scriviamo si attende l’inizio di un’invasione da terra, annunciata da più giorni e confermata dalla mobilitazione di 6.500 uomini. Gli israeliani sarebbero ancora trattenuti dal fatto che i carri armati non sono adatti a una battaglia in città (Gaza può essere considerata, da questo punto di vista, una metropoli) e dalla certezza che i combattimenti casa per casa provocherebbero un alto numero di vittime anche tra di loro. Il 10 febbraio si vota e i sondaggi mostrano due cose: che il Paese approva l’attacco quasi al cento per cento e che il voto sarà determinato dall’idea che ciascuno si sarà fatto sul comportamento dei leader politici nel corso della guerra. [Giorgio Dell’Arti]