vanity, 10 gennaio 2009
La nuova Alitalia
• Alitalia, cioè la nuova Alitalia, vola da questa settimana e al 99,99 per cento il partner straniero è Air France. Monsieur Spinetta è pronto a pagare 300 milioni per il 25 per cento delle azioni, il che dà una valutazione dell’azienda di 1 miliardo e 200 milioni. Più di quello che hanno pagato i 21 soci italiani (nessuno dei quali ha quote superiori all’11,8), ma molto meno di quello che aveva messo sul tavolo lo scorso aprile. Il vero problema però è Malpensa: esattamente come ad aprile, Air France vuole far perno su Fiumicino e soprattutto non vuole fastidi per il suo hub, che resta Parigi. Sono previsti 99 voli al giorno, da Roma e da Milano, verso la capitale francese, il che significa che tutto il traffico internazionale italiano passerà per la Francia. Anche se una percentuale sui biglietti sarà riconosciuta ad Alitalia, la faccenda ha apparentemente mandato su tutte le furie Bossi che dice di non poter accettare il declassamento di Malpensa con relativa perdita grave di posti di lavoro. Sulle stesse posizioni la Moratti e Formigoni, che attaccano senza remore il loro capo Berlusconi. La soluzione puramente teorica sarebbe quella di far entrare in Alitalia Lufthansa, che farebbe perno proprio su Malpensa. Senonché i tedeschi si sono fatti intervistare, hanno dichiarato che Alitalia è molto interessante, ma non hanno presentato nessuna offerta. Il finale della vicenda non è ancora sicuro. Si potrebbero vendere gli slot che Alitalia possiede a Malpensa e non utilizza (la parola slot indica lo spazio di tempo all’interno del quale un aereo può decollare). Ma è affare complicato e che impone accordi mondiali bilaterali, cioè una diplomazia lunga e complessa. E invece le perdite di soldi e di posti di lavoro sono già cominciate.
• Le inquietudini della Lega su Alitalia vanno inserite in un quadro politico di nuovo in movimento. Prima di tutto, il Pd ha fatto sapere d’esser pronto a far asse con i leghisti sulla faccenda Malpensa. I democratici potrebbero anche non tirarsi indietro se ci fosse da aiutare Bossi sul federalismo, magari a discapito della riforma della Giustizia. Questo tramestio nemmeno troppo nascosto ha riportato in auge l’espressione ”elezioni anticipate”: improbabilissime, ma non più impossibili se per caso la Lega si stancasse del PdL. A questi movimenti molto eventuali si accompagnano le mosse con cui Fini si tiene pronto per un’improbabile successione, se Berlusconi fosse costretto a dimettersi per via del referendum di Di Pietro sul lodo Alfano che ha raccolto – dice lui - un milione di firme. Di questi disagi, ancora molto vaghi, il centrosinistra non può però godere troppo. In Sardegna Soru si candida a guida dell’antiberlusconismo cioè a successore di Verltroni. Casini fa la corte a Enrico Letta, proponendogli («senza fretta») di mollare il Pd e di far da segretario al partito dei cattolici costruito con una fusione di Udc ed ex Margherita. Intanto anche Rifondazione è sul punto di scindersi: la rimozione di Sansonetti dalla direzione del quotidiano del partito, Liberazione, potrebbe precipitare il dissidio tra i seguaci di Nicky Vendola e quelli del segretario Ferrero. [Giorgio Dell’Arti]