vanity, 16 marzo 2009
Rapimento in Darfur
• Il rapimento nel Darfur meridionale di tre operatori di Medici Senza Frontiere (tra cui il medico vicentino Mauro D’Ascanio, 34 anni) non è il solito episodio di banditismo terzomondista. Il Darfur sta in Sudan e contro il presidente del Sudan, Omar al-Bashir, il tribunale internazionale dell’Aja ha spiccato, quindici giorni fa, un mandato d’arresto, accusandolo di crimini di guerra e contro l’umanità. Si è trattato in realtà di un atto puramente propagandistico: per le regole che s’è dato lo stesso tribunale, solo i sudanesi possono arrestare il loro presidente e consegnarlo, eventualità evidentemente remotissima. Ma il mandato d’arresto ha dato a Bashir il pretesto per organizzare imponenti manifestazioni popolari in favore di se stesso e soprattutto per espellere 13 ong che nel Paese aiutavano disinteressatamente le popolazioni. Ora, al posto delle ong occidentali cacciate perché sospette di aver passato all’Aja le informazioni che giustificano il mandato d’arresto, Bashir intende far arrivare in Darfur associazioni provenienti da Arabia Saudita, Kuwait, Emirati ecc., tutte organizzazioni che rappresentano la punta di diamante della predicazione islamica fondamentalista, wahabiti nemici dichiarati dell’Occidente. Così il Darfur (e il Sudan) si preparano ad allargare ulteriormente l’area degli islamisti con cui non c’è speranza di dialogo. In questo quadro il sequestro di D’Ascanio e dei suoi due compagni sarebbe stato un errore di seguaci troppo zelanti, adepti di Bashir che intendevano scambiare le tre vite in loro possesso con il ritiro da parte dell’Aja del mandato d’arresto. Lo stesso presidente, interessato a un progetto di più ampio respiro e pericolosità, sarebbe intervenuto per far liberare i tre ostaggi, restituiti infatti al mondo dopo appena 72 ore di prigionia e senza alcun riscatto. [Giorgio Dell’Arti]