3 agosto 1981
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Undici spari: Roberto Peci è morto
• Alle 4 e 35 nel covo di via della Stazione di Tor Sapienza, i carcerieri svegliano Roberto Peci: ha la barba lunga, la camicia a scacchi, gli zoccoli e i pantaloni corti di jeans del giorno del sequestro. Lo avvolgono in coperte e lo imbavagliano, gli mettono tamponi di cotone sugli occhi tenuti da nastro adesivo, altri tamponi nelle orecchie. Gli dicono che lo trasferiscono in un’altra casa, lui chiede di portare con sé una foto della moglie ritagliata da un giornale. Salgono tutti sulla 127 rossa. Arrivano a Torricola, in via di Casal Rotondo, poco distante dalla via Appia Nuova. C’è un casolare abbandonato e senza tetto, le pareti sudicie. Tutto intorno solo prati secchi e mucchi d’immondizia. Ci vanno le prostitute coi clienti e i drogati per bucarsi, talvolta le coppiette. Trascinano l’ostaggio lì dentro: ha le mani bloccate da una catena chiusa a lucchetto. Lo mettono davanti al muro, accanto a un cartello con la scritta «Morte ai traditori».
Gli scattano una foto così, mentre uno di loro incappucciato gli punta una pistola dotata di silenziatore. Sono in due a sparare: 11 proiettili a bruciapelo (una calibro 34 e la Beretta 7,65) lo colpiscono al petto, alla tempia, alla bocca, agli zigomi. Circa un’ora dopo due telefonate dal Fronte delle carceri alle redazioni romane di Paese Sera e del Messaggero annunciano la morte di Roberto Peci e il luogo per il ritrovamento del corpo.
Roberto Peci è mezzo avvolto da un drappo rosso coperto di slogan, accanto a lui copie del comunicato numero 7 e di una «risoluzione strategica numero 16». In tasca ha il ritaglio del giornale con la foto della moglie. Il volto completamente sfigurato, le mani incrociate sul petto ancora legate dalla catena. Nel vederlo, il procuratore della Repubblica di Roma, Macchia, ha un malore.
• «Non sono ancora le 7 e Antonio Peci, padre di Roberto, si prepara ad andare al lavoro. Ha bevuto il caffè che si è preparato da solo perché la moglie, Amelia, non riesce più ad alzarsi dal letto. Sente squillare il telefono. “Pronto?”, “È l’Ansa: hanno trovato Roberto…”, “Come?”, “Purtoppo morto…”, “Dove?”, “A Roma”, “Grazie”. Riattacca. Mormora: “Bastardi, me l’hanno assassinato”. Piange». [Il Resto del Carlino 4/8/1981]