30 luglio 1981
Tags : Roberto Peci
Le Br annunciano l’esecuzione di Peci
• Antonietta
e Ida Peci a Roma, nella redazione di Mondoperaio, parlano ai giornalisti:
«Siamo venute a Roma da San Benedetto, dove ci trovavamo abbandonate da
qualsiasi assistenza delle pubbliche autorità, perché fra tutti i sequestrati
Roberto è la persona più debole». I deputati radicali Boato e Pinto riportano
quanto saputo dai brigatisti detenuti a Rebibbia: «Non ci è stato possibile
prendere contatto con loro anche a causa del particolare regime di massima
sicurezza». Indirettamente, è emerso che la posizione dei carcerati a proposito
del sequestro Peci è la seguente: «Non gli interessa niente della mediazione
dei radicali». Mentre le due donne stanno ritornando a San Benedetto del
Tronto, a Roma e Napoli viene trovato il comunicato numero 7: «Eseguiamo la
sentenza di condanna a morte emessa nei confronti di Roberto Peci perché è un
traditore e i traditori vanno annientati. Oggi Roberto Peci paga tutte le sue
colpe e rende conto al proletariato dell’assassinio di Antonio, di Cecilia, di
Pasquale e di Roberto, comunisti caduti in via Fracchia». Nel documento si
annunciano azioni nei confronti di «giornalisti Fiat, craxiani e
berlingueriani»; la busta contiene anche una foto dell’ostaggio. In serata le
redazioni ricevono uno scritto di Patrizio Peci dal carcere, che smentisce la
teoria del doppio arresto, rifiuta l’etichetta di infiltrato dei carabinieri,
rivendica la spontaneità della sua scelta di pentimento e dice al fratello di
non temere la verità: «Pare ormai certo che non ti serviranno per la tua salvezza
le enormi responsabilità che non ti competono e che hai voluto assumerti».
All’Ansa di Firenze giunge una lettera firmata dai terroristi rinchiusi nel
supercarcere di Palmi (dov’è Renato Curcio): «Il più alto atto di umanità verso
i traditori in genere significa annientamento».