10 luglio 1981
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Roberto Peci condannato a morte
• Comunicato
numero 5, in un cestino dei rifiuti a Roma. Lo trova, dopo una telefonata, un
giornalista della Repubblica. È il messaggio di condanna a morte di Roberto
Peci: «Il processo al traditore Roberto Peci è concluso, la condanna a morte è
la giusta sentenza che emettono le forze rivoluzionarie che lo hanno
processato. Da sempre la sorte che spetta ai traditori della rivoluzione
proletaria è l’annientamento». In allegato tre lettere del sequestrato per
madre, moglie e fratello. A quest’ultimo scrive: «Non ti interessa proprio la mia
sorte? Oso ancora sperare che confermerai la mia storia, altrimenti prenderai
le tue responsabilità, e io le mie». Alla madre: «Confermate la mia versione,
perché non vi siete ancora espressi sui verbali. Vi dico che non è giusto che a
distanza di una settimana ancora non abbiate riconosciuto tali verbali come
verità: se continuate a negare ancora, a me non servirà di certo». Alla moglie:
«Pensa al bambino che deve nascere, riguardati, per me non ti devi
assolutamente preoccupare, non te lo dico per farti star bene, ma non sono
assolutamente trattato male, lo puoi vedere anche dalle foto». Infatti allegano
una polaroid. Ieri a Napoli i brigatisti hanno annunciato la morte di un altro
ostaggio, l’assessore napoletano Ciro Cirillo.
• «Il
10 giugno di due anni fa ci siamo sposati, il 10 giugno di quest’anno Roberto è
stato rapito. E il 10 luglio è arrivata la condanna a morte. Adesso quanto
tempo ci lasceranno prima di torturarci di nuovo, dicendo che se non facciamo
questo e quello eseguiranno la condanna?». [Antonietta, moglie di Roberto Peci,
a Ezio Mauro, Sta. 12/7/1981]