vanity, 16 novembre 2009
La fame nel mondo
• A proposito di fame nel mondo, problema grazie al quale a Roma s’è per la prima volta esibita in un discorso pubblico la moglie di Ahmadinejad, il direttore generale Jacques Diouf chiede 44 miliardi di dollari per aiutare il miliardo e passa di affamati, una somma che pare enorme ma che è pari ad appena il 2% degli aiuti che lo stato americano ha versato a Citigroup per farla stare in piedi e ad appena un quarto dei finanziamenti, chiaramente a fondo perduto, di cui ha goduto, sempre in America, Aig. Le notizie del fine settimana sulla fame si sono intrecciate con quelle dei vertice di Singapore dove i paesi asiatici hanno discusso di clima e inquinamento e dove i due padroni del mondo – i cinesi capeggiati da Hu Jintao e gli americani capeggiati da Obama – hanno fatto sapere che di accordo sul clima e sul taglio di emissioni tossiche per ora non si parla e che il prossimo vertice di Copenhagen sulla materia, previsto per dicembre, dovrà accontentarsi di qualche preambolo foriero – forse – di accordi futuri. D’altronde, su tutti e due i problemi: una forte corrente di pensiero, ancorché minoritaria, è convinta che l’Africa e il Terzo mondo si svilupperebbero meglio senza aiuti e che quindi la Fao sia da chiudere. E un’altra forte corrente di pensiero, ugualmente minoritaria, non crede che il riscaldamento globale sia di origine antropica, cioè che dipenda dalle attività umane. Per costoro tagliare le emissioni sarebbe magari una buona cosa, però inutile. [Giorgio Dell’Arti]