vanity, 16 novembre 2009
Prescrizione breve
• L’ultimo guaio di Berlusconi si chiama “prescrizione breve”. Una legge voluta da lui, studiata da Ghedini, formalmente di iniziativa parlamentare (l’hanno firmata l’ex An Gasparri, l’ex Forza Italia Quagliarello, il leghista Federico Bricolo e da ultimo anche Cossiga), fatta di tre soli articoli in cui si stabilisce che per ogni grado di giudizio bisogna sbrigarsela in due anni e se i due anni passano senza che si sia arrivati a sentenza il processo svanisce e tutti tornano a casa. In sé non sarebbe un provvedimento assurdo. Ma stabilisce delle eccezioni e qui il diavolo ci mette la coda. Prima eccezione: bisogna che le condanne massime previste nel procedimento a prescrizione breve siano inferiori a dieci anni. Seconda eccezione: la prescrizione breve vale solo per gli incensurati, per chi è recidivo le prescrizioni continuano a essere quelle di prima. Terza eccezione: per una lunga lista di reati, meticolosamente stampata nel secondo articolo, la prescrizione resta in ogni caso quella di prima. Per esempio nel delitto per associazione per delinquere, nel delitto di sequestro di persona, in certi tipi di furto, nella circonvenzione d’incapace, e così via. Tra questi reati gravissimi c’è però anche l’immigrazione clandestina, che Ghedini ha dovuto inserire per guadagnarsi la firma e il sostegno della Lega.
• Problemi Il testo ha suscitato un vespaio di polemiche, un “assolutamente no” di Bersani, l’annuncio di un referendum da parte di Di Pietro (che deve recuperare una grossa fronda interna capitanata da De Magistris), ma anche obiezioni dall’interno della stessa maggioranza e un sottinteso pollice verso di Fini, che raccoglierebbe a questo punto il frutto di un contrasto lungamente coltivato. Giulia Bongiorno, l’avvocato di Andreotti e fedele al presidente della Camera, s’è detta stupita per la faccenda dell’immigrazione clandestina, messa alla pari, per esempio, del sequestro di persona, quando si tratta di «una semplice contravvenzione peraltro punita con una banale ammenda». Il presidente emerito della Corte costituzionale e già presidente della Rai, Antonio Baldassarre, finiano pure lui, ha sostenuto che si tratta di un provvedimento «imbarazzante» e chiaramente «incostituzionale». Sull’incostituzionalità c’è un largo accordo, a destra e a sinistra: imputati dello stesso processo e degli stessi reati potrebbero godere di prescrizioni diverse, brevi se incensurati, lunghe negli altri casi. Questo confliggerebbe con l’articolo 3 della Costituzione che ci vuole tutti uguali davanti alla legge e che è già servito per divellere il lodo Alfano. E poi: è giusto che una norma «trasformata in legge al massimo entro gennaio» (come pretende il presidente del Consiglio) valga anche per i processi in corso? Dubbi, dubbi e dubbi, che mandano in bestia il Cavaliere, il quale ha voglia di riconsacrarsi con un nuovo voto, ma non osa, e i cui giornali scrivono che Fini, visto che fa il capo di una fazione politica invece che il presidente super partes di Montecitorio, potrebbe/dovrebbe lasciare il vertice della Camera e rimettersi a far politica smettendola di farsi forte di una rendita di posizione di cui deve esser grato solo a Silvio. Intanto il processo sui diritti tv Mediaset, in cui Berlusconi è accusato di aver organizzato un gigantesco giro estero su estero per evadere il fisco, è ricominciato e il presidente del Consiglio ha chiesto il rinvio della seduta sostenendo che deve presiedere il vertice mondiale sulla fame nel mondo, al che il pm De Pasquale ha ribattuto che può benissimo presiedere il vertice nel pomeriggio e intanto farsi interrogare la mattina, eccetera eccetera, uno spettacolo che ci tormenterà per molte settimane a partire da ora, e e di cui nessuno conosce l’esito. Ma lo sbocco caduta del governo/elezioni anticipate è più probabile di dieci giorni fa. [Giorgio Dell’Arti]