13 giugno 1981
Alfredino Rampi è morto
Ore
0.15. Angelo
Licheri appeso a testa in giù arriva fino ad Alfredo, a 63 metri e 20
centimetri. Gli toglie la terra dalla faccia, lo prende per le mani viscide di
fango che scivolano. Prova a imbracarlo, ma Alfredo è incastrato da tutte le
parti, ha le gambe ripiegate sotto il corpo; lo tira tenendolo sotto le ascelle
ma il bimbo scivola, lo lega con una cinghia, ma la corda per tirarlo su si
spezza. Tenta di nuovo con la cinghia, annoda alla meglio la corda, si spezza
ancora. Lo tira per la canottiera, non si muove. Chiede di risalire, lo devono
portare all’ospedale perché ha escoriazioni fino all’osso. Si fanno avanti
altri volontari magrissimi: un contorsionista francese, il sardo Angelo Cossu,
uno di nome Salvatore Li Causi, perfino due ragazzini di 15 e 16 anni
(rimandati a casa dal magistrato).
Ore 6. Si prepara a scendere l’avezzanese
Donato Caruso, di anni 25, cineoperatore e speleologo volontario. Si porta
delle manette per agganciare Alfredo.
Ore
6.30. Donato Caruso
tocca il bambino: ha il braccio sinistro in alto, l’altro nascosto dietro la
spalla, è freddo, non parla, la testa è reclinata. Lo lega ai polsi, scivola.
Deve risalire per farsi sistemare le legature alle caviglie, scende ancora, gli
prende tutte e due le braccia, lo ammanetta sopra al gomito, il bambino si
affloscia, scivola ancora, va più giù.
Ore
6.40. Caruso: «Non
respira, adesso è incastrato con la testa reclinata». Si capisce che Alfredino
è morto.
I
soccorritori si allontanano, si spengono i gruppi elettrogeni e le telecamere,
resta abbandonata la geosonda. A terra cavi, funi, pali, tavole, lampade,
trivelle. Qualcuno tira sassi ai fotografi. Pertini se ne va, se ne va
l’ambulanza.
Serata.
Arrivano circa quindicimila curiosi per vedere il luogo, servono i rinforzi per
allontanarli. I vigili del fuoco mandano nel pozzo una sonda con telecamera:
appare il viso di Alfredino coperto di fango. Ha gli occhi chiusi.