12 giugno 1981
Pertini conforta Alfredino
Ore
9.17. Finalmente la
trivella rompe lo strato duro di tufo granitico. Gli operai mettono una punta a
elica; s’inabissa e scava con facilità, riportando in superficie masse di
terriccio bruno: è argilla. Il pompiere Nando Broglio, che non lascia mai
l’argine del foro e parla con Alfredo urlando in un megafono, gli comunica la
bella notizia: «Mazinga uomo d’acciaio ce l’ha fatta! Le lame rotanti hanno
distrutto la roccia che ci impediva di venire giù a prenderti! Ancora un po’ di
pazienza che arriviamo». Alfredo: «Fate presto, sono stanco».
Ore
10.10. Buttano una
sonda per misurare la profondità dello scavo: 30 metri e 5 centimetri.
L’ingegner Faggioli dei vigili del fuoco rifà i conti per calcolare dove sta
Alfredo: «Non è a 36 metri, ma a 32 e 50». È una fortuna perché a 32 metri
riaffiora il tufo granitico. Breve consulto: perdere chissà quante ore per
cercare di sfondarlo, oppure scavare da subito la galleria verso il pozzo
artesiano e recuperare dall’alto Alfredo?
Ore 11. Una nuova scavatrice arancione.
Spiegano i tecnici: «L’altra perforava grazie alla forza di gravità e alla
rotazione, mentre questa è a pressione. Una bomba!». Contro il tufo si blocca
appena l’accendono. Tre vigili del fuoco si preparano a scendere per scavare la
galleria di collegamento. Alfredo non risponde più alle parole del pompiere. I
medici del San Giovanni, che ascoltano il respiro del bambino tramite delle
sonde, dicono che sta peggiorando: 48 respiri al minuto.
Ore
11.40. In un
gabbiotto rotondo viene calato da una gru il pompiere Maurizio Bonardo, tramite
un serpentone di gomma grigia soffiano ossigeno nel foro. Comincia a creare un
cunicolo col martello pneumatico. Alfredo ha una terribile sete.
Ore
13.35. Risale
Bonardo: ha fatto un ingresso largo 80 centimetri per il cunicolo e ha scavato
per un metro. Il terreno è duro, ma non troppo. Scendono i pompieri Manlio
Buffardi e Mario Gonini. Nando Broglio chiede ad Alfredo di gridare forte il
nome di Mario, per dare l’orientamento ai due vigili che scavano.
Ore
15.50. Buffardi,
sdraiato nel cunicolo, il martello pneumatico che lo scuote e la faccia nera di
terra: «Credo di esserci vicino. Sento il vuoto». Lui e Gonini risalgono, si
calano Luciano Termini e Beppe De Santis.
Ore
16.30. Il sole è
fortissimo. Arriva il presidente della Repubblica Pertini, non se lo aspettava
nessuno, la gente intorno gli fa l’applauso. Consola la mamma e il papà, va
all’imboccatura del pozzo, prende il microfono e scambia qualche parola con
Alfredino. Decide di non muoversi finché il bambino non sarà stato salvato.
Piange.
Ore
17.48. Forano la
parete del pozzo artesiano che tiene Alfredo prigioniero. De Santis allarga il
buco scavando con le mani per non far cadere la terra sul bambino. Infila la
testa: «Dove sei, Alfredino? Mi senti?». «Sì, sei sopra di me», per vederlo
calano una lampada: niente. Risalgono e scende uno speleologo. Silenzio. Lo
speleologo torna su: Alfredo è scivolato nel pozzo per altri 29 metri. Adesso è
a 60 metri di profondità.
Ore
22.20. A testa in
giù per cercare di afferrarlo si cala lo speleologo Claudio Aprile, abruzzese.
Niente da fare. A mezzanotte si prepara a scendere un altro volontario, di nome
Angelo Licheri, 37 anni.