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 1981  giugno 11 Giovedì calendario

Un tunnel per salvare Alfredino

Ore 1. Calano una lampada fluorescente legata a una corda per capire dove sta il bambino, ma dentro si vede solo buio: «Alfredo tu ci vedi?». «No». Piange ma per fortuna è a testa in su. Si capisce che si è incastrato. Si dovrebbe trovare a 36 metri di profondità, dove il budello si stringe: sotto i suoi piedi altri 44 metri di vuoto. La Rai porta un’elettrosonda con microfono ultrasensibile per sentire le sue parole. Il padre, inginocchiato davanti alla buca: «Stai tranquillo, stiamo venendo a prenderti». La mamma: «Io sono qua, non mi muovo. Ma tu fai il bravo». Fanno scendere una tavoletta di legno: «Così ci si siede e poi lo tiriamo fuori». Il pezzo di legno s’incastra a 24 metri e per tirarlo su spezzano la corda: adesso tra l’aria aperta e Alfredo c’è un tappo. Impossibile mandargli cose da mangiare e bere più grandi di una fiala. Gli operatori Rai piazzano una telecamera, i pompieri le lampade.



Ore 5. Si cerca un nano che possa entrare nel foro e scendere fino ad Alfredo. Si trova invece Tullio Bernabei, di anni 22, speleologo del soccorso alpino, che si fa calare a testa in giù. L’hanno scelto perché è magro, ma a 20 metri strattona la fune: vuole risalire. Ci prova un altro: risale anche lui quasi subito. Il pozzo è troppo stretto. I pompieri poggiano sull’orlo del foro bombole da sommozzatore che, tramite un tubo, soffiano ossigeno nel tunnel.

Ore 6. Il comandante dei vigili del fuoco, Elveno Pastorelli, dopo aver telefonato a mezza Roma è riuscito a trovare una trivella. La presta la ditta Tecnopali. Arriva scortata dalla polizia. Il piano: scavare un tunnel parallelo a quello dov’è Alfredino, scendere fino a 38 metri, fare una galleria tra i due pozzi e recuperare il bambino. Grida: «Mamma, tirami fuori mi fa male un braccio e una gamba. Sono stanco». Pastorelli, al megafono: «Sono il comandante dei vigili del fuoco». Alfredo: «Ti conosco, ti ho visto in televisione per il terremoto. Quanti uomini hai?». Pastorelli: «Cento uomini. Ti prometto che ti tiro fuori».



Ore 8.30. La trivella comincia a scavare: tufo morbido, scende di 2 metri in 2 ore. Ottimismo. Finché tocca uno strato di tufo granitico, chiamato “cappellaccio”. Molto duro, si scalfisce a malapena. Qualcuno nota: «Sarebbe meglio aver trovato la roccia, almeno si sarebbe spezzata». La trivella continua, il bambino è spaventato dal rumore, ogni tanto crolla sfinito nel sonno, poi si sveglia. Chiede da bere.

Ore 10.30.
Per non disturbare le comunicazioni di Alfredino, la Rai e le radio private del Lazio sospendono le trasmissioni sulle onde medie.

Ore 12.30.
Arriva una nuova geosonda, enorme e potente. Per montare il braccio meccanico ci vorrebbero 12 ore, ma gli operai sotto il sole ci danno talmente dentro che per fare tutto il lavoro ne bastano 3. Alfredo: «Voglio papà perché mi scappa la pipì e ho paura che mi sgridi. Ho sete». Le reti Rai cominciano a trasmettere un’unica diretta. Tutt’intorno ormai è arrivata talmente tanta gente che qualcuno mette in piedi bancarelle per vendere cibo e bevande.

La folla assiste alle operazioni di salvataggio del piccolo Alfredino (l’Unità)

Ore 15.43. Misurano il tunnel scavato: 20 metri e 50 centimetri. Disappunto, perché si pensava di aver raggiunto almeno i 25. Entra in funzione la geosonda.

Ore 18.22.
Nuova misurazione: 21 metri e 4 centimetri. La sonda ha scavato poco: mezzo metro in 2 ore. Elvezio Fava, primario di rianimazione all’ospedale San Giovanni, controlla le condizioni di salute del bambino: «Per il momento non si riscontrano disturbi di alcun genere».

Ore 20.
Si tenta con una nuova trivella, più agile delle precedenti. I medici mandano una fiala di acqua e zucchero ad Alfredino, che si lamenta: «Voglio acqua, non whisky». Riprendono le trasmissioni radio nel Lazio.

Ore 22.
La trivella continua a scavare ma guadagna centimetri con molta fatica. «Con duecento uomini, le pale meccaniche, i congegni più sofisticati sopra la testa, Alfredo è ancora lì: troppo lontano». [Cesare De Simone e Gian Antonio Stella, Corriere della Sera 12/6/1981]

Ore 23.
Un manovale che abita in zona si fa calare nel pozzo artesiano a testa in giù. Scende parecchio, ma deve desistere. Alto poco più di un metro e mezzo, 52 anni e un fisico da bambino, il suo nome è Isidoro Mirabella, ma ormai i giornalisti lo chiamano «uomo ragno». La geosonda continua a picchiare.