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 2016  dicembre 14 Mercoledì calendario

LE MIE VERTIGINI– [Ettore Bassi] Arriva in metropolitana e giubbotto, una barba corta dove i peli bianchi cominciano ad affiorare

LE MIE VERTIGINI– [Ettore Bassi] Arriva in metropolitana e giubbotto, una barba corta dove i peli bianchi cominciano ad affiorare. Ettore Bassi, che Carabinieri e Rex hanno reso molto popolare, ma che ha lavorato anche con Pupi Avati e Ricky Tognazzi, ha 46 anni e un’aria ancora da ragazzo. Bel ragazzo. Come Kevin Costner ai tempi di The Bodyguard, con Whitney Houston. Lo stesso personaggio che, in un musical che debutta il 23 febbraio al Teatro Nazionale di Milano, oggi interpreta Bassi. Canterà in scena? «Ho solo una scena di karaoke dove, alticcio, faccio un’esibizione abbastanza scadente». Ma sarebbe bravo? «Non lo so, ho preso lezioni però non ho messo in pratica». Un attore deve saper cantare? «Dipende dalla formazione. Io non ho fatto accademia o scuole, ho imparato da solo». Sente la mancanza di una scuola? «Mi sarebbe piaciuto respirare quell’aria, però alcune scuole di recitazione ti danno impostazioni troppo rigide, rischi di essere omologato». Pensa di essere in difetto rispetto a chi ha studiato? «No, ma so di dover sempre dimostrare ciò che valgo. A me stesso più che agli altri: è il mio giudizio quello che pesa». A lei pesa molto? «Vado a fasi alterne. Adesso sto lavorando per liberarmi da questo peso». Liberarsene per fare cosa? «Per sentirmi libero di fare qualunque cosa, scrivere un libro, dirigere un film, arrampicarmi sul palazzetto dello sport...». Paure fisiche ne ha? «Un po’ l’altezza, soffro di vertigini». In The Bodyguard ci sarà molta azione? «Ci sarà una grande scenografia, con molti cambi e diverse situazioni». Il film l’aveva visto? «Sì, e Kevin Costner, eroe romantico suo malgrado, mi aveva affascinato». Nel musical, al posto della Houston canterà Karima, scoperta nel 2007 da Amici. «È dolcissima, entusiasta, gran professionista. Io vengo dalla recitazione, lei dalla musica: ognuno dà all’altro il proprio mondo». Lei ha tre figlie: Olivia, 15 anni, Caterina, 12, Amelia, 3. Guardate Amici? «È capitato. È uno dei talent che porta persone interessanti». I talent quindi funzionano? «Domanda spinosa. Se le mie figlie volessero fare questo mestiere e mi chiedessero se partecipare o meno a un talent, direi di no». Lei da ragazzo che cosa voleva fare? «Ho fatto il Classico perché me lo hanno detto i miei. Lo stesso con l’università: avevo fatto la scuola di magia, ma ero indeciso e mi sono iscritto ad Architettura». Ai ragazzi oggi si dice che devono decidersi il più velocemente possibile. «Alle mie figlie non vorrei mettere fretta, a quell’età sei disorientato. Per questo, poi vedi un talent e ti seduce». Loro come si rapportano al papà attore? «Io ho sempre avuto un atteggiamento quasi sottotono. Per loro, è un lavoro normale». Da poco, la sua famiglia si è trasferita in Puglia, dove sono le sue origini. «Volevo portarle in un posto più tranquillo, a contatto con cose più semplici». Tempo fa, lei aveva parlato di una crisi matrimoniale. Oggi come va? «Siamo in sospensione, è un momento delicato». Il lavoro influisce molto sulla vita privata? «Sì. Poi dipende se un lavoro ti porta lontano, se ti riempie la testa anche quando sei a casa... Oggi troppe esigenze entrano in rotta di collisione». Che cosa intende? «Il lavoro è diventato famelico, invade ogni momento della giornata e ogni angolo dei tuoi pensieri. Le donne sono costrette a spaccarsi in due, in tre. Crescono educate a diventare indipendenti, formate dal punto di vista culturale e di autonomia di pensiero. Poi si laureano, e si sentono dire: ok, adesso ti sposi, fai figli e stai in casa. Così, voi donne sbroccate: avete ragione». E i figli non sempre aiutano. «Sono così grandi come coinvolgimento che cambiano totalmente gli equilibri. Con tre figlie, poi, è come un villaggio, e devi portare le sporte d’acqua». Sempre più pesanti. «Ma io ci tengo ad avere un rapporto di crescita, insieme. Con loro ho imparato la gioia nel vedere le cose. E anche da figlio, ho visto che le parole non servono: vale ciò che fai». Come andava con i suoi genitori? «Erano amorevoli. Ma ci sono dinamiche di cui devi diventare consapevole. Io cerco di farlo da anni, ho il difetto di essere molto elucubrante». Che bambino era? «Ambivalente. Per i miei ero un bravo ragazzino educato. Però avevo anche voglia di fare casino, e ne ho fatto». In che senso? «Stupidaggini. Mi sono arrampicato su un cornicione alto 5 metri e ci ho camminato. Ecco perché adesso ho le vertigini... Allora salivo anche sugli alberi: una notte io e mio fratello siamo arrivati in cima a un abete di dieci metri, e da lì lanciavamo le pignette in testa agli ospiti di papà». Nell’anno in cui usciva Guardia del corpo, il 1992, lei veniva eletto «Il più bello d’Italia». «Mio padre era entusiasta. Avevo fatto un provino alla Fininvest come prestigiatore e per questo mi convocarono: cercavano concorrenti che sapessero fare cose, oltre che sfilare, lo feci i miei giochi, e vinsi come miglior talento. Secondo il regolamento, a quel punto non avrei potuto ambire al titolo di più bello. Invece, poi mi hanno tolto il premio artistico e dato quello di bellezza, per farmi partecipare a un programma di Patrizia Rossetti. E questo mi ha cambiato la carriera». Ha sfilato in mutande? «La prima sfilata era in smoking e io ero così ignaro che dovetti accettarne uno di due taglie più grande, a misura degli altri concorrenti, che erano palestrati, veri armadi. Poi c’è stata la passerella in slip: ero l’unico con i peli, tutti erano depilati, e in più avevo l’abbronzatura da boxer, con un segno bianco che il truccatore mi ha dovuto colorare». È la dimostrazione che alle donne gli uomini piacciono più normali che fisicati. «La gente apprezza la verità. E poi io lì mi divertivo, non pensavo al risultato». Erano 25 anni fa: oggi, che effetto le fa? «Mi sembro un altro, mi guardo e dico: caruccio, ma poverino, sembri Alice nel paese delle meraviglie». Dov’è finita Alice? «Oggi la lotta è fra il disincanto e lo slancio nonostante tutto». Chi vince? «Il disincanto è l’esperienza di ciò che ho vissuto. Ho visto la mediocrità diventare il metro su cui si misura la nostra vita, e questo serve a mantenere potere. Perche il potere attecchisce su una popolazione che vive di invidia, e che quindi preferisce la mediocrità». Gli slanci, invece, dove li trova? «Nelle piccole fessure, dove incontro complici. È successo quest’estate quando abbiamo girato La porta rossa, serie diretta da Carmine Elia che è stata comprata da Studio Canal e che andrà in onda in molti Paesi, oltre che su Raiuno, forse a febbraio. Io sono un magistrato: collega di Gabriella Pession, l’aiuto a ricostruire l’omicidio del marito, interpretato da Lino Guanciale, che appare sotto forma di fantasma. Però vorrei parlare anche del mio Sindaco pescatore». Lo spettacolo teatrale? «È un monologo in cui Angelo Vassallo (sindaco di Pollica, cittadina in provincia di Salerno, ucciso nel 2010, ndr) si racconta all’assassino che lo sta per ammazzare. Un piccolo progetto nato con amici: Edoardo Erba ha fatto l’adattamento del libro di Dario Vassallo, fratello di Angelo, Pino Donaggio ha dato le musiche, Enrico Lamanna firma la regia. Il 4 gennaio siamo a Sant’Angelo dei Lombardi, in provincia di Avellino: è l’unica piazza campana che ci ha accettato». Ha scelto lei questo monologo? «Sì, la notizia dell’assassinio mi aveva dato un profondo senso di sconforto, di solitudine. Poi ho scoperto che il padre di un compagno di mia figlia è Dario Vassallo, ho letto il suo libro e gli ho chiesto di farne uno spettacolo. Ogni sera, facciamo salire una dozzina di ragazzi sul palco: in questo modo la partecipazione è molto forte». A proposito di ragazzi: lei è anche testimonial di Azione contro la fame, ong che raccoglie fondi per sfamare bambini nel mondo. «È una causa seria. Il Madagascar è una zona particolarmente colpita, con una mortalità infantile del 56%. Preferisco fare e impegnarmi che staccare un assegno e basta». Cambiamo registro: è vero che lei voleva essere Roberto Vecchioni? «Sì, è un idolo assoluto, ho vissuto anni cullato dalle sue canzoni». Ne scelga una. «I commedianti: un bambino li vede arrivare il giorno di Natale, vorrebbe seguirli ma la madre lo ferma. Li ritrova da adulto, e ancora non riesce ad andare. Ma l’ultima volta è anziano, non ha più niente e va, con i teatranti e la scatola d’oro dove chiudono tempo e sogni. E io che provo un’insana invidia per i musicisti, per la loro libertà di mettere in uno strumento emozioni e sentimenti, forse anch’io un giorno andrò, e magari mi metterò a suonare».