Pino Allievi, La Gazzetta dello Sport 15/12/2016, 15 dicembre 2016
REGAZZONI 10. «NEL DUBBIO PIEDE GIU’». UNA VITA DA CLAY
«Nel dubbio io tengo giù!»: è una delle tante massime di Clay Regazzoni, riferita al piede sempre pigiato sull’acceleratore. In realtà era così anche nella vita, costantemente col piede giù per gustarsi ogni piacere, ogni incertezza, ogni sorpresa. Non aveva invece «il piede giù» il pomeriggio del 15 dicembre di dieci anni fa, quando perse la vita in un incidente al volante della sua auto sulla A1 non lontano da Parma, per quello che venne definito un malore, anche se più probabilmente si trattò di un colpo di sonno. Aveva 67 anni ed era sopravvissuto a incidenti terrificanti, compreso quello di Long Beach il 30 marzo 1980, nel quale subì la lesione spinale che lo costrinse all’immobilità delle gambe. All’origine, la rottura del pedale del freno della sua Ensign. «E’ stata colpa nostra, sono affranto», gli disse in lacrime il giorno dopo Morris Nunn, il titolare del team. E Clay, immobile a letto, dovette consolarlo, spiegandogli che non gliene faceva una colpa. Il che non lo fermò dal continuare a correre. Non più in pista ma nelle tremende maratone africane, asiatiche e sudamericane.
PRIMATI «Sai che con la Jaguar ho fatto Montecarlo-Lugano in un tempo di appena 12 minuti superiore al mio record con le gambe che funzionavano?». Era l’estate del 1980 e la telefonata ci raggiunse nella redazione della Gazzetta, con Clay che si giustificava per la prestazione non eccezionale adducendo il fatto che la sosta alla dogana di Ponte Chiasso era stata un po’ lunga. Pochi mesi dopo l’incidente era di nuovo al volante, scatenato ma ancora speranzoso di poter camminare. Tanto che l’anno successivo non ci pensò due volte a farsi operare dal professor Kao, cinese di Hong Kong, il quale fece un intervento di microchirurgia sul midollo spinale durato 17 ore. Fu grazie a quell’operazione che l’11 marzo del 1981, al Watergate Hotel di Washington, insieme al collega Nestore Morosini del Corriere della Sera, lo vedemmo muovere cinque-sei passi dal letto al tavolo della sua suite dove l’attendeva la cena, aiutato dalla moglie e sollecitato da un amico. Poi ci fu un altro intervento e i progressi auspicati svanirono. Da quel momento Clay, rassegnato, si diede da fare per chi era nelle sue stesse condizioni. Sempre disponibile, sensibile, pronto a dare consigli, sorreggere moralmente chi pensava che fosse tutto finito. «E’ vero – diceva – io non uso le gambe, ma chi ha detto che servono le gambe per guidare un’auto? E poi la mia testa è più a posto di prima».
INVASIONE Clay Regazzoni approdò in F.1 nel 1970, direttamente con la Ferrari. E vinse a Monza al suo quinto gran premio, causando la prima invasione di pista di sempre. Lasciò Maranello alla fine del 1973 per tornarci nel ’74 dopo aver raccomandato a Enzo Ferrari Niki Lauda, che era stato suo compagno alla Brm. Proprio nel ’74 conquistò il secondo posto nel mondiale alle spalle di Fittipaldi. Avrebbe potuto essere lui il campione, ma la sua Ferrari ebbe misteriosi problemi di assetto mai chiariti. Però il team era orientato su Lauda e Clay venne un pochino trascurato. Nel 1975 ci fu il bis a Monza: altro tripudio nel giorno di Niki iridato. Poi tante belle gare nel ’75 fino al secondo divorzio. Ma il Cavallino rimase sempre nel suo cuore tanto che anche dopo, quando correva con altri team, a cena era volentieri con ingegneri e meccanici di Maranello. Enzo Ferrari lo adorava e, amorevolmente, lo criticava. Lo definì «viveur, danseur, pilota a tempo perso», dopo che Clay si era distinto come ballerino di tango in uno show della Carrà su Rai 1. In realtà Regazzoni era un pilota molto tecnico, apprezzato dagli ingegneri (Mauro Forghieri e Patrick Head in testa), ma disposto a qualunque rischio se annusava la vittoria. Fu lui nel 1979 a dare alla Williams, a Silverstone, il primo successo di sempre.
CRITICONE Clay tentò la carta di Indianapolis ma senza fortuna ed ebbe tra l’altro un incidente terrificante che si può vedere su YouTube. Avrebbe ritentato, senza la pagina nera di Long Beach. Era fortissimo sui tracciati veloci e impressionante, quanto ad abilità, su tracciati lenti come Monaco o il vero Nurburgring, piste di precisione e istinto. Intelligente, ironico, pronto a farsi inghiottire da feste, party e quant’altro, Regazzoni era molto amato dai colleghi (fu Tino Brambilla a parlare bene di lui a Enzo Ferrari) e adorato dai tifosi. Disponibile sempre: l’opposto dei campioni di oggi. Grande lettore pronto a riprendere chi sbagliava valutazioni o opinioni, ha inviato a questo giornale decine di fax che purtroppo la carta termica di una volta ha cancellato. Era feroce nelle critiche, ma i diverbi si risolvevano con una risata e un invito a cena. Amava stare in mezzo alla gente comune, Clay. Memoria di ferro, racconti epici, un goccio di vino: erano queste le sue serate quando tornava in Canton Ticino dagli amici, lasciando l’abitazione di Mentone, dove coltivava le rose e si godeva l’inverno. Ha gareggiato con qualsiasi macchina e su qualsiasi terreno, dalle piste ai deserti. Debuttando su 4 ruote a 24 anni, età in cui Vettel aveva già conquistato un Mondiale. Si è sempre battuto con passione, mettendoci l’anima per non deludere chi lo guardava dalle tribune o in tv. Un modo ingordo di concepire la vita volendo farci stare dentro tutto. Sino alla fine.