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 2016  dicembre 15 Giovedì calendario

PETAGNA: «CARO MONTELLA, ADESSO VOGLIO VOLARE ANCH’IO» – Niente circoletto rosso sul calendario per omaggiare il «ritorno a casa»

PETAGNA: «CARO MONTELLA, ADESSO VOGLIO VOLARE ANCH’IO» – Niente circoletto rosso sul calendario per omaggiare il «ritorno a casa». Perché a luglio Andrea Petagna non aveva ancora chiaro quale sarebbe stato il suo futuro. Appena arrivato all’Atalanta nemmeno lui poteva pensare di ritrovarsi a dicembre leader offensivo della squadra rivelazione della Serie A. Sabato c’è la sfida al Milan. E sarà un pomeriggio diverso per Petagna, figlio del vivaio rossonero. «Lo ammetto, sono emozionato. E non vedo l’ora di giocare». Una specie di cerchio che si chiude. Senza rimpianti né voglia di rivalsa. Per Petagna il Milan resterà «per sempre una famiglia», che lo ha aiutato a crescere, perdonandogli qualche colpo di testa di gioventù. Come quando lasciò il convitto per raggiungere la sede dell’Inter in centro a Milano. Bussò negli uffici della Saras di Moratti, chiedendo di parlare con un responsabile delle giovanili, e fu dirottato a Interello. Poi l’arrivo dell’agente lo fece tornare in sé. «Ero un ragazzino e ogni tanto facevo qualche cavolata. Quella mattina nevicava e non volevo andare a scuola, ma i tutor mi costrinsero ad alzarmi dal letto e a prepararmi. Mi arrabbiai, presi lo zaino e cercai la sede dell’Inter». Ma la storia dice altro. È rimasto al Milan, vincendo lo scudetto con Giovanissimi e Allievi, e un torneo di Viareggio con la Primavera. Ma il giorno dei giorni arrivò a 17 anni. Debutto da professionista a San Siro, in Champions, contro lo Zenit: «A ripensarci adesso ho ancora i brividi. Ero emozionato già in pullman. Però prima di entrare in campo le gambe non tremavano. Certo, il cuore batteva forte. Per questo sarò sempre grato al Milan e ad Allegri, che ho rivisto con piacere a Torino. I suoi complimenti fanno sempre piacere». Ma anche il primo titolo in rossonero nel 2010, con i Giovanissimi, è prestigioso. Specie ripensando ora agli avversari? «Battemmo in finale la Roma, Montella in panchina e Romagnoli in difesa. E io feci gol...». Un bel precedente in vista di sabato. Avrebbe immaginato una carriera così per Romagnoli? «Abbiamo fatto tutta la trafila delle nazionali giovanili insieme. Ricordo che si parlava benissimo di lui già all’epoca, però mi ha sorpreso la velocità con cui ha saputo imporsi, conquistando una maglia da titolare con la Samp al primo vero anno di A e poi passando al Milan con la pressione di un trasferimento molto costoso. Ha bruciato le tappe, dimostrando di essere un campione. E sono felice per lui». Il nuovo progetto Milan punta sui giovani. Nessun rammarico per aver lasciato il club lo scorso gennaio? «Sono felice all’Atalanta e non ho modo di pensare al Milan o a quello che poteva essere». Che poi anche all’Atalanta non mancano i giovani di valore. Siete lo zoccolo duro dell’Under 21. Chi l’ha sorpresa di più? «Gagliardini sin dalle giovanili aveva un altro passo. Caldara oltre alla qualità ha una mentalità da grande. Grassi lo conoscevo da tempo. E ho scoperto Conti: una forza della natura». È vero che nell’estate 2015, quando il Milan l’aveva messa sul mercato e l’unico club che la voleva era l’Ascoli, lei ha pensato di smettere? «Ero deluso. E l’Ascoli non sapeva nemmeno in che serie avrebbe giocato. Però ho trovato la forza per reagire. Mi sono detto: “o cambi o non sei fatto per fare questo lavoro”». E cosa ha cambiato? «La mentalità. Ero negativo, vedevo tutto nero. Oggi sono più determinato, ho chiaro l’obiettivo in testa. Qui le cose vanno bene, però anche all’inizio, quando non giocavo, mi allenavo al mille per cento. Fosse successo due anni fa avrei mollato di testa». Quanto c’è di Gasperini in questa sua nuova vita? «Devo tutto a lui. In ritiro mi chiamò nel suo spogliatoio il primo giorno. “Hai qualità, ma hai avuto troppi alti e bassi. Se migliori in determinate cose, sarai protagonista”. L’ho ascoltato e continuo a seguirlo. Qui a Zingonia sembra di essere a scuola e ogni giorno, a fine allenamento, mi rendo conto di aver imparato qualcosa». A proposito di alti e bassi. Primi 3 tiri in campionato, 3 gol. Poi? «Non vivo l’ossessione del gol. Quindi sono felice delle mie prestazioni: i numeri dicono che sono cresciuto gara dopo gara. Corro in media 11 km a partita. E ho fatto qualche assist. Il gol tornerà». Magari a San Siro. Esulta se segna? «Non ci ho pensato, ma sono un istintivo e quindi, nel caso, sarà una reazione spontanea». Ha detto di essere istintivo anche nella scelta dei tatuaggi. Si ricorda il primo? «Quando ho l’idea, mi tatuo. Non ci penso troppo. Il primo è qui — mostra l’avambraccio destro — è un aereo, avevo sentito la canzone dei Club Dogo: “ho tatuato un aeroplano per volare in alto”. E io volevo volare». Nell’anno dell’Europeo Under 21, con un’Atalanta da ambizioni europee. Volare si può, basta volerlo. Come nei Giovanissimi, un gol per scrivere la storia. E il Milan, l’aeroplanino Montella e l’amico Romagnoli questa storia la conoscono bene.