Stefano Feltri e Carlo Tecce, Il Fatto Quotidiano 15/12/2016, 15 dicembre 2016
COLOSSEO, INDAGINE SULLA GRANDE MANGIATOIA
Sprechi. Altro che turismo. Denaro agli amici e ai parenti. Appalti senza gare. Procedure ignorate. Trasparenza negata. Così la Soprintendenza speciale per i Beni archeologici di Roma – quella che gestisce il monumento più celebre d’Italia, il Colosseo – ha speso decine di milioni di euro in consulenze discutibili, incarichi spacchettati per stare sotto i limiti di legge, collaboratori sprovvisti di titoli di studio appropriati (come gli esperti giuridici non laureati). Su questo indaga dal 17 novembre l’Autorità anticorruzione guidata da Raffaele Cantone, sulla base di un corposo esposto presentato da un sindacato del settore, la Federazione lavoratori pubblici e funzioni pubbliche (Flp-Bac) guidata da Rinaldo Satolli. Anche la Corte dei Conti ha aperto un’istruttoria.
La direzione generale Vigilanza Servizi e Forniture dell’Anac sta analizzando la denuncia del Flp, posizione per posizione, contratto per contratto dal 2010 al 2015: il sindacato ha censito quello che la Soprintendenza non rivela, cioè l’entità complessiva del ricorso a professionisti e società esterne, valutando anche l’utilità di contratti che, nel solo 2014, sono arrivati a 700 per un ammontare complessivo di 7 milioni di euro. Inutile cercare di capirci qualcosa dal sito della Soprintendenza guidata dal 2015 dall’architetto Francesco Prosperetti: con un’interpretazione peculiare delle norme sulla trasparenza, il Colosseo non pubblica un elenco complessivo dei professionisti e delle società cui fa ricorso, ma solo elenchi parziali abbinati alla riunione del cda in cui sono stati approvati. Un metodo che, secondo il sindacato Flp, permette di occultare moltissimo: per quanto riguarda il 2013, infatti, “il numero dei contratti professionali inseriti negli elenchi pubblicati non corrisponde al numero dei contratti professionali autonomi effettivamente stipulati, di gran lunga superiore a quello pubblicato (in gran parte dei casi dopo un anno dalla stipula)”. C’è poi la singolare usanza di dichiarare soltanto l’importo netto e non il lordo, per far sembrare le cifre più basse. A presunti professionisti di cui sono ignote le competenze e le qualifiche, vengono affidati incarichi con motivazioni piuttosto vaghe come “presenza costante e supporto operativo trasversale” (4.665 euro). Tutto si può contestare ai burocrati della Soprintendenza tranne una certa creatività. Un esempio sono i contratti per la vigilanza: il numero 1254 del 2012 con la società Ivu (Istituto Vigilanza dell’Urbe) copre il periodo dal 16 giugno al 30 settembre di quell’anno e riguarda “l’attività di vigilanza presso Ostia, Palatino, Foro Romano, Palazzo Massimo, Colosseo, Cecilia Metella, Terme di Diocleziano, Palazzo Altemps”. Il Colosseo è dunque ben protetto, grazie a un contratto da 124 mila euro. Ma scorrendo la lista, al numero di repertorio 1287 si trova un “contratto per attività di vigilanza presso l’Anfiteatro Flavio”, periodo 2 luglio-31 agosto. La società è la stessa, Ivu. Peccato che l’Anfiteatro Flavio e il Colosseo siano lo stesso monumento, anche i mesi non cambiano. E anche il contratto 1349 si sovrappone, va da settembre (mese già coperto dal primo contratto) a dicembre, altri 85.309 euro alla solita Ivu. La stessa ditta, lo stesso monumento, gli stessi periodi ma tre contratti diversi, con quel minimo di variazioni che basta a confondere l’osservatore distratto.
E poi, ovviamente, ci sono le questioni di famiglia. Per una di quelle coincidenze che capitano solo in Italia, il figlio di una dirigente dell’ufficio contratti si trova ad avere per anni contratti in affidamento diretto, cioè senza gara, per circa 10.000 euro. C’è un perito industriale che, sempre senza gara e come libero professionista, si prende un bel po’ di incarichi, circa 25.000 euro tra 2012 e 2013: soprattutto manutenzione. Sempre per coincidenza una società che porta il nome del fratello si prende in un solo anno, il 2013, 31 contratti per oltre un milione di euro circa, idem nel 2014. Ovviamente senza gara. E l’Anac sta cercando di capire se è tutto regolare.
Un capitolo a parte è quello dei rapporti con Ales, Arte e Lavoro (ex Arcus), una società per azioni controllata al 100 per cento dal ministero della Cultura guidato da Dario Franceschini: la natura privatistica dovrebbe assicurare dinamismo ed efficienza. Di sicuro non trasparenza visto che le comunicazioni sui compensi dei collaboratori di Ales sono ferme al 31 agosto 2012. Eppure di informazioni interessanti se ne potrebbero trovare, se quegli elenchi venissero aggiornati. Per esempio si potrebbe capire come mai si trovino alcune persone che lavorano contemporaneamente per Ales e per la soprintendenza, sempre senza alcun tipo di gara. Queste le denunce del sindacato Flp. Magari è tutto lecito e tutto spiegabile, ma forse, con l’attenzione dell’Anac si riuscirà ad avere un po’ di trasparenza sulla gestione dell’area che dovrebbe essere la vetrina del management culturale italiano e che oggi pare invece l’esempio da non imitare.