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 2016  dicembre 09 Venerdì calendario

APPUNTI PER GAZZETTA - LA UE COSTRINGE LO STATO A INTERVENIRE SU MONTE DEI PASCHI REPUBBLICA.IT MILANO - La Bce ha respinto la richiesta di Mps di concedere più tempo per l’aumento di capitale

APPUNTI PER GAZZETTA - LA UE COSTRINGE LO STATO A INTERVENIRE SU MONTE DEI PASCHI REPUBBLICA.IT MILANO - La Bce ha respinto la richiesta di Mps di concedere più tempo per l’aumento di capitale. La notizia, attesa con il fiato sospeso da Piazza Affari, è stata diffusa da fonti finanziarie alle agenzie di stampa, mentre dalla banca si fa sapere che non sono ancora giunte comunicazioni ufficiali. Dall’Eurotower la posizione ufficiale è di "no comment", come sempre accade nei confronti delle banche vigilate. Le motivazioni della decisione del board del Meccanismo di sorveglianza, che andranno presto ratificate dal direttivo della Bce, non sono ancora ufficiali. E toccherà alla banca senese renderle note al termine del consiglio di amministrazione in corso. Ma da quanto si apprende ruotano attorno a due argomenti. Il primo è che gli investitori privati cui da questa estate i banchieri senesi sottopongono il dossier hanno avuto un tempo cospicuo per prendere una decisione, che finora non è ancora arrivata neppure da quanti si sono mostrati più possibilisti, come il fondo del Qatar e gli hedge fund Soros, Paulson, Atlas. Il secondo motivo per cui la vigilanza non ha concesso più tempo è che si ritiene che l’incertezza del quadro politico apertasi con la sconfitta del "Sì" alla riforma costituzionale, cui sono seguite le dimissioni di Matteo Renzi, potrebbe durare ben più dei 20 giorni che mancano alla fine del 2016, che rappresentava la data ultima del primo impegno preso da Mps per vendere i suoi 27 miliardi di sofferenze creditizie e ricapitalizzare. Per questo l’Eurotower negli incontri di ieri e di oggi avrebbe preferito tagliare la testa al toro, e decidere per una strada – quella della nazionalizzazione – che mette in sicurezza la banca senese nel più breve tempo possibile. Sempre entro il 31 dicembre dunque. La situazione del Monte è stata al centro di un incontro, stamane al ministero dell’Economia, tra il ministro Pier Carlo Padoan, l’ad del Monte dei Paschi, Marco Morelli, e il presidente, Alessandro Falciai. Lo stesso Falciai, entrando nella sede milanese della banca per il consiglio sulla situazione, ha riferito che i vertici non sono "assolutamente" preoccupati per la situazione. Il titolo precipita intanto a Piazza Affari, trascinando in ribasso l’intero indice delle banche. L’istituto senese aveva chiesto tempo per provare a chiudere la ripatrimonializzazione da 5 miliardi contando interamente sulle forze di mercato. Sarebbe servita per quell’obiettivo la base di un pool di investitori, in aggiunta al miliardo già arrivato dalla conversione dei bond subordinati. Ma a questo punto, secondo quanto previsto dal piano messo a punto dagli advisor Jp Morgan e Mediobanca, questa strada sembra preclusa. Per mettere in sicurezza Mps e aiutarlo a raccogliere capitali servirà dunque l’intervento dello Stato, con il Tesoro al lavoro per un decreto legge che potrebbe vedere la luce nel fine settimana. Al salvataggio dovranno con ogni probabilità contribuire anche i titolari delle obbligazioni subordinate emesse dalla banca, e gli azionisti. Il decreto dedicato, ricostruisce Repubblica in edicola, è ormai pronto e contiene anche altri nodi bancari da sciogliere: la riscrittura della riforma delle Popolari, congelata dal Consiglio di Stato e che tiene in bilico le trasformazioni in Spa di Pop Bari e Pop Sondrio in calendario nei prossimi giorni; le questioni fiscali legate ai crediti fiscali differiti; la ricapitalizzazione del Fondo di risoluzione. Il solo capitolo del Monte dei Paschi è il più importante, anche politicamente: il premier Matteo Renzi si è imposto nei mesi scorsi per evitare il passo dell’intervento pubblico, ora ineludibile. La via tecnica ora allo studio di governo e management senese la "ricapitalizzazione precauzionale" nell’ambito della direttiva europea sul bail-in: lo Stato subentra al consorzio di garanzia, si passa attraverso l’azzeramento Pubblicità dei bond subordinati, con l’obiettivo di offrire il ristoro alla clientela retail esposta per circa 2 miliardi. Già entro lunedì questa soluzione dovrà essere in campo per non destabilizzare i mercati, che finora hanno reagito con la massima calma all’esito del voto. GIANNI TROVATI SUL SOLE 24 ORE DEL 6 DICEMBRE Il piano B per il salvataggio di Monte dei Paschi in caso di insuccesso dell’operazione di mercato si intreccia sempre di più con i tempi e modi dell’uscita dalla crisi politica innescata dal referendum di domenica. Il dossier sarà infatti reso operativo, se necessario, dal nuovo governo (si veda Il Sole 24 Ore di ieri), ma ovviamente i tecnici sono all’opera per studiare le varie soluzioni in campo. Anche perché la coincidenza fra i tempi della politica e quelli del mercato è tutta da provare sul campo. In ogni caso, lo stand by è destinato a durare almeno fino a domenica perché i motori dell’operazione «di mercato» sono ancora accesi. L’orizzonte è quello discusso con l’Europa di un intervento «precauzionale», che potrebbe far scattare il burden sharing in particolare per gli investitori istituzionali. Proprio dalla commissione Ue, del resto, ieri sono arrivate le parole del vicepresidente Valdis Dombrovskis sui «contatti con le autorità italiane che sono preparate a intervenire se e dove necessario»: parole che hanno aiutato Rocca Salimbeni a cambiare la propria giornata di Borsa, chiusa con un +1,02% a 18,87 euro dopo un minimo a 17,64 toccato nel primissimo pomeriggio. Sul dossier si intrecciano più fattori: le risposte definitive dei potenziali investitori si attendono per la fine della settimana, e nelle prossime ore si capirà se l’accelerazione della crisi, con la manovra blindata al Senato e le successive dimissioni di Renzi, riuscirà a portare a stretto giro al nuovo esecutivo. Dalle risposte dei protagonisti dell’«operazione di mercato» dipendono naturalmente anche le dimensioni e le modalità attuative dell’ombrello statale per evitare il rischio di risoluzione della banca, che rimane escluso proprio dal piano B. Per capire i termini del problema bisogna ripercorrere le parole chiave del confronto estivo fra Roma e Bruxelles, che si concentrò proprio sulla sorte del Monte dei Paschi prima che si profilasse la soluzione «di mercato» targata Mediobanca-Jp Morgan. L’intervento «precauzionale», che può essere attivato secondo l’articolo 32 della direttiva sul bail in (la «Brrd»), devono essere proporzionate all’esigenza di tutelare la «stabilità finanziaria» e non possono arrivare ad azzerare le perdite subite o in arrivo per l’istituto di credito. In quest’ottica l’intervento del Tesoro, che servirebbe a percorrere il tratto di strada dell’aumento di capitale non coperto dal mercato, dovrebbe comportare forme di conversione forzata in azioni delle obbligazioni subordinate, in un panorama che sarebbe definito in base alle dimensioni dell’intervento. In alternativa il Tesoro potrebbe acquistare direttamente i bond subordinati per convertirli in azioni da tenere in portafoglio. Proprio sulla possibilità di bloccare il «burden sharing» in caso di nuovo intervento statale si erano concentrate le trattative di giugno-luglio fra il governo e la commissione europea, che in ogni caso non erano arrivate a definire l’esclusione per gli investitori istituzionali. Nei giorni della conversione volontaria, del resto, era stato lo stesso Tesoro a sottolineare che l’eventuale “seconda opzione”, successiva all’offerta di mercato, non avrebbe potuto offrire condizioni migliori agli investitori. Ancora più delicato sul piano politico, ovviamente, sarebbero forme di condivisione dei costi estese agli investitori retail, che andrebbero poi affrontate con forme di indennizzo. In ogni caso, l’ombrello salverebbe obbligazioni ordinarie e depositi, che sarebbero invece colpiti da un bail in se superiori a 100mila euro. La questione Mps, non va dimenticato, è la più ”sistemica” all’interno di un panorama del credito che però vede incontra problemi di capitale anche in Carige, Veneto Banca e Popolare di Vicenza. Anche questi temi potrebbero entrare nei lavori sui provvedimenti, insieme al nodo ancora da risolvere sulle Popolari, in particolare per i due istituti (Sondrio e Bari) che devono ancora tenere l’assemblea degli azionisti per la trasformazione in Spa dopo la sospensione posta dal Consiglio di Stato per la questione del diritto di recesso. In lista d’attesa, infine, c’è la vendita delle quattro good banks nate dalla risoluzione di Banca Marche, Banca Etruria, Cariferrara e Carichieti. REPUBBLICA DI OGGI ANDREA GRECO LANO. La Bce deciderà oggi se concedere al Mps i 20 giorni in più che la banca ha chiesto per completare il piano di salvataggio da 5 miliardi sul mercato. Ma l’aria che tira non è buona: dal board del “Meccanismo unico di vigilanza” nessuno attende clemenza particolare. Così al ministero del Tesoro si sta ultimando il decreto legge che chiamano omnibus. Lo scrivono i tecnici di Pier Carlo Padoan con quelli di Bankitalia, per sistemare alcune partite di vitale impatto per il risparmio nazionale: dal rafforzamento patrimoniale chiesto dalla Bce alla banca senese alla riscrittura della riforma sulle popolari, stroncata dal Consiglio di Stato per sospetta incostituzionalità sul diritto di recesso ai soci contrari (altrimenti le assemblea di trasformazione in spa di Popolare Bari e Sondrio sono a rischio); dall’annosa sistemazione dei crediti fiscali differiti che penalizza alcuni istituti (e complica la ricapitalizzazione di Mps e di Unicredit) alla rateizzazione dei 2 miliardi da versare al Fondo di risoluzione, che se pagati tutti subito manderebbero in rosso i bilanci 2016 di diverse banche. C’è molta carne al fuoco. Il governo pensava tuttavia di avere tempo per emendare la legge di spesa nel suo passaggio al Senato. L’esito del referendum ha precipitato tempi ed eventi, e si è dovuta approvare la finanziaria in giornata. Per giunta il dossier bancario più caldo del paese, la cui risoluzione da sei mesi il governo di Matteo Renzi caparbiamente affidava a consulenti e investitori privati - Jp Morgan su tutti - si sta rivelando impraticabile proprio a causa del venir meno del suo primo sponsor: il politico che - come più parlamentari, banchieri e consulenti raccontano in privato - anche nei momenti più critici ha rifiutato l’ipotesi di salvare con denaro pubblico una banca politicamente sensibile come quella di Siena. Un dettaglio inedito lo rivela: già a giugno i tecnici al lavoro con l’allora ad Mps Fabrizio Viola avevano trovato i compromessi politico-istituzionali per accedere alla “ricapitalizzazione precauzionale” prevista dalla direttiva Ue sui salvataggi con fondi privati (bail in) senza azzerare l’investimento di obbligazionisti e correntisti ricchi della banca, ma solo con parziale coinvolgimento dei bond subordinati, più rischiosi e riservati ai professionisti. Avendoli i senesi venduti ai correntisti, per ben 2 miliardi, s’era perfino ottenuta una deroga su quei titoli mal collocati, e per i quali anche adesso il Tesoro cerca forme di ristoro che minimizzino l’impatto socio-politico sui 40mila portatori (le elezioni sono pur sempre in agenda), senza incorrere negli gli aiuti di Stato. Renzi si è sempre opposto, per evitare le ricadute politiche in vista del referendum. Già aveva preso diversi provvedimenti per favorire la gestione della crisi degli istituti; il più estremo se lo voleva risparmiare, temendo possibili strumentalizzazioni circa favori alla banca che fu del Pd.Un perfido regista ha scritto un altro copione, e ora la strada che apre alla nazionalizzazione è vista quasi come un sollievo, e più praticabile proprio per la caduta di Renzi. Forse già domani in un Consiglio dei ministri, per cui si sta in allerta. Al più tardi entro lunedì, quando riaprono mercati e banche, e sarà il caso di fornire un percorso retto per mettere al riparo non solo il Monte, ma in prospettiva tutti gli altri vasi di coccio del credito, a partire dalle quattro good bank e dalle due ex popolari di Vicenza e Veneto Banca che tentano una difficile fusione. Basterà chiedere l’aiuto di Stato e pagare il pegno relativo sui bond. «Qualcuno si è chiesto perché dopo mesi di trattative stavolta il decreto si fa in pochi giorni? La risposta è che era già scritto da sei mesi, ma Renzi e la Boschi lo bloccavano», confida un banchiere. Ricostruzioni che il Tesoro non accredita, ma rassicura sul fatto che si è pronti a misure urgenti. Le modalità tecniche con cui il governo scioglierà gli ultimi nodi bancari sono in rifinitura. Il punto cardine collega alle norme italiane dell’art. 32 della Brrd sulla ricapitalizzazione precauzionale pubblica, prevista in caso di bocciatura agli stress test (caso di Mps) e per cui lo Stato subentra al consorzio bancario nel garantire la ricapitalizzazione, che comunque andrebbe fatta sul mercato. Anche la vendita dei cattivi crediti Mps in rifinitura resta in agenda: con garanzie statali e Atlante compratore. MASSARO SUL CDS DI OGGI MILANO In attesa che la Bce decida oggi se concedere la proroga all’aumento di capitale che può letteralmente salvare Mps o staccare la spina alla banca come istituzione privata, tra Siena e Roma si cominciano a fare i conti di un eventuale salvataggio pubblico. E ciò che si teme è che costerà molto di più dei 5 miliardi di aumento «privato», sia dal punto di vista economico sia da quello politico. Fino all’ultimo banca e Tesoro continuano a proseguire nel piano A: la Bce autorizza lo slittamento di 20 giorni dalla scadenza originaria del 31 dicembre; nel frattempo arriva un nuovo governo con Pier Carlo Padoan confermato al Tesoro o addirittura come premier incaricato; il Qatar decide di investire 1 miliardo; la banca riapre la conversione dei bond e a inizio anno viene lanciato l’aumento di capitale vero e proprio con garanti JPMorgan, Mediobanca e le 6 banche del consorzio. Ma la possibilità di ottenere tempo in più dalla Vigilanza viene considerata bassa tra i soggetti al lavoro sul dossier, dopo che martedì i vertici di Mps — il ceo Marco Morelli, il direttore finanziario Francesco Mele, Riccardo Quagliana, avvocato generale — sono volati a Francoforte per chiedere la proroga, senza la quale sarà inevitabile passare al piano B, cioè l’intervento pubblico. «Sarà una strada mai testata prima, e non indolore», dice una fonte. La norma da applicare è l’articolo 32, comma 4, della direttiva Ue sul «bail in» insieme con le regole Ue sugli aiuti di Stato. La strada potrebbe essere questa: si vara un decreto-legge per consentire la conversione forzata dei bond subordinati, visto che i contratti non lo consentono; scatta la conversione in capitale per 4,3 miliardi di emissioni; i bondholder diventano azionisti sulla base di rapporti di concambio e prezzi diversi a seconda del rischio dei vari titoli; il Tesoro sottoscrive un «aumento precauzionale» per la quota mancante. Poi si tratterà di tutelare i risparmiatori, circa 40 mila clienti di Mps che nel 2008 sottoscrissero il bond, che era una delle fonti di finanziamento dell’acquisizione di Antonveneta. Il Tesoro potrebbe comprare i bond prima della conversione (o acquisire le azioni successivamente, fatto salvo forse il rimborso per chi ha comprato fuori dal suo profilo di rischio (cioè le ipotesi di «misselling» cui ha accennato la commissaria Ue alla Concorrenza, Margrethe Vestager). Ma quanto dovrà mettere il Tesoro? Qui ci sono i dubbi maggiori: l’aumento precauzionale potrebbe essere superiore a 5 miliardi. Il fabbisogno di capitale dipenderà da uno stress test e dai calcoli sulla perdita legata alla cessione delle sofferenze, operazione che continuerebbe anche se con un’altra struttura senza prestito-ponte e magari senza il fondo Atlante. Una prima stima approssimativa ipotizza un onere di 2-2,5 miliardi per il Tesoro, che diventerebbe dunque socio con il 20-30%, cui bisogna aggiungere l’eventuale quota azionaria derivante dai bond rilevati. In questo scenario, che non è quello della risoluzione, gli attuali azionisti non vengono azzerati ma solo diluiti. Anche ieri in Borsa il titolo Montepaschi è stato premiato nell’attesa di una qualsivoglia operazione di salvataggio, pubblico o privato, con un +4,1% a 21,8 euro, con il 7,5% passato di mano. Ha contribuito anche la rassicurazione del commissario Ue agli Affari economici, Pierre Moscovici: «Non temiamo una crisi bancaria» dopo la crisi di governo. «I problemi non sono cambiati, non si sono deteriorati o aggravati. In Europa siamo in grado di affrontare tutti i problemi delle banche». Fabrizio Massaro WWW.ILFATTOQUOTIDIANO.IT Da Francoforte è arrivato un no. Il consiglio di vigilanza della Bce, al termine di una lunghissima riunione iniziata giovedì pomeriggio, ha infatti respinto – stando a quanto, in attesa di ufficializzazione, riporta Reuters – la richiesta del Monte dei Paschi di Siena di una proroga di 20 giorni alla scadenza di fine anno per completare l’aumento di capitale da 5 miliardi. Ora per Rocca Salimbeni la strada del salvataggio statale è quasi obbligata. Un quadro che si incrocia inevitabilmente con la crisi di governo: di fronte all’urgenza di varare il decreto per la ricapitalizzazione dell’istituto con soldi pubblici è probabile che il presidente della Repubblica Sergio Mattarella accelererà la scelta del nome a cui affidare la guida dell’esecutivo destinato a traghettare il Paese fino al varo della nuova legge elettorale. Secondo diversi quotidiani il testo del provvedimento è già praticamente pronto. Ma è difficile che ad approvarlo possa essere un premier, Matteo Renzi, che è in carica solo per gli affari correnti e che ha accuratamente evitato, prima del referendum, di firmarlo assumendosi così la responsabilità di riconoscere il flop del piano “di mercato” messo a punto a luglio dagli advisor Jp Morgan e Mediobanca. Subito dopo la diffusione della notizia il titolo Mps è stato sospeso in Borsa in asta di volatilità. Riammesso alle contrattazioni (la Consob non è intervenuta), ha chiuso con una perdita del 10,5%. In caduta libera anche alcune delle obbligazioni subordinate che potrebbero essere chiamate a contribuire al salvataggio. Nel pomeriggio il consiglio di amministrazione di Rocca Salimbeni si è riunito per valutare il da farsi. Ma la decisione presa a Francoforte rende di fatto quasi impossibile riuscire a raccogliere i capitali sul mercato. Servirà dunque l’intervento dello Stato, che procederà con la soluzione sul tavolo già dalla scorsa estate: una ricapitalizzazione precauzionale previo “burden sharing“, cioè condivisione degli oneri, a carico degli azionisti e degli obbligazionisti subordinati, che verrebbero azzerati. Non a caso l’amministratore delegato di Mps Marco Morelli e il presidente dell’istituto, Alessandro Falciai, già stamattina hanno incontrato al ministero dell’Economia il ministro Pier Carlo Padoan. Il Tesoro, come è noto, è azionista dell’istituto con il 4% del capitale. Consiglio di vigilanza diviso. Poi hanno prevalso i “falchi” – I membri del consiglio presieduto da Danièle Nouy, secondo Reuters, erano divisi sull’opportunità di concedere all’istituto senese venti giorni in più rispetto al previsto per completare il rafforzamento patrimoniale. Mps aveva chiesto fino al 20 gennaio, rispetto alla scadenza del 31 dicembre, per tentare di mandare in porto l’aumento di capitale sul mercato, sostenendo che lo richiedeva il “mutato contesto di riferimento” dopo la vittoria del No alla riforma costituzionale e le dimissioni di Renzi. Facile immaginare una dura opposizione da parte della vicepresidente, la tedesca Sabine Lautenschläger, notoriamente su posizioni contrarie a politiche monetarie favorevoli ai Paesi “deboli” dell’area euro. Altri membri temevano che un no avrebbe esposto la Bce all’accusa di aver “staccato la spina” all’istituto, facendo potenzialmente scattare un deflusso di depositi. Intervento pubblico consentito a patto che gli oneri siano condivisi da azionisti e obbligazionisti subordinati – La decisione rende quasi impossibile riuscire di qui a fine anno a raccogliere i capitali sul mercato. Servirà dunque l’intervento dello Stato, che procederà con una ricapitalizzazione precauzionale previo “burden sharing“, cioè condivisione degli oneri, a carico di azionisti e obbligazionisti subordinati, che verrebbero azzerati. Resta comunque possibile una salvaguardia dei piccoli risparmiatori. Il presupposto è che l’iniezione di soldi pubblici nelle banche in difficoltà è consentita anche dopo l’entrata in vigore della direttiva Brrd (Bank Recovery and Resolution Directive), quella che disciplina il bail in, se l’istituto è solvente, il fabbisogno di capitale non può essere coperto ricorrendo al mercato e i detentori di azioni e obbligazioni subordinate vengono chiamati a rispondere per primi, riducendo così almeno in parte l’onere che va a ricadere sui contribuenti. Ipotesi salvaguardia per i piccoli risparmiatori – Le regole europee tuttavia, come ricordato due giorni fa dal commissario europeo alla Concorrenza Margrethe Vestager, non impediscono di rimborsare ex post i risparmiatori vittime di “vendite improprie” (misselling), quelli cioè a cui siano stati venduti titoli di cui non erano in grado di comprendere i rischi. Qualcosa di simile a quanto accaduto nel caso del salvataggio di Banca Etruria, Banche Marche, Carichieti e Cariferrara, i cui obbligazionisti subordinati che non hanno voluto accedere al rimborso forfettario però ancora attendono il decreto sulla procedura alternativa, quella dell’arbitrato. Questa decisione spetta comunque alle autorità nazionali. Nel caso di Mps il Tesoro potrebbe anche acquistare direttamente i bond subordinati in mano ai piccoli risparmiatori. Ma in quel caso parliamo di circa 40mila persone, e i costi per rimborsarli si preannunciano pesanti per le casse pubbliche. ILFATTO DEL 7/12 GAIA SCACCIAVILLANI “Non posso commentare su Mps in particolare. Posso dire che, in generale, ci sono un certo numero di strumenti disponibili per le autorità nazionali, se una banca ha dei problemi. Una delle cose con le quali stiamo lavorando sono strumenti che consentano ai governi di erogare compensazioni per diversi tipi di vendita impropria” di titoli. Nelle ore più calde per le sorti del Monte dei Paschi di Siena, il commissario europeo alla Concorrenza, Margrethe Vestager, ha così aperto all’ipotesi di un intervento dello Stato sulla terza banca italiana con un ristoro almeno parziale dei piccoli risparmiatori in deroga al bail in, ma nel pieno rispetto delle regole europee sugli aiuti di Stato. A patto, ed è questo l’unica chiave su cui sembra esserci la possibilità di lavorare per trovare una via d’uscita, che si dimostri che i titoli che altrimenti verrebbero azzerati senza ristoro siano stati venduti a investitori non professionali in modo non corretto. In pratica la via sarebbe una variante pubblica di quanto accaduto con le quattro banche andate in risoluzione a novembre del 2015, con la differenza che invece del Fondo di risoluzione a intervenire dovrebbe essere direttamente il Tesoro, che è anche primo azionista dell’istituto. Anche perché il fondo alimentato dalle banche ha le casse vuote visto che ancora Banca Etruria & Co non sono state vendute nonostante i termini siano scaduti da un pezzo. “E’ una cosa che abbiamo fatto in precedenza – ha ricordato la Vestager – e lavoreremo ancora con i governi, se vogliono creare sistemi che possano consentire ai cittadini di essere compensati, se si sono verificati casi di misselling (vendita impropria, ndr)”. Bontà sua la commissaria ha omesso di ricordare che i precedenti italiani, a oltre un anno di distanza dalla risoluzione di Etruria, Banca Marche, Carichieti e Cariferrara, registrano un clamoroso ritardo nella definizione della normativa necessaria per il ristoro dei risparmiatori colpiti. In ogni caso lo schema di massima e i dettagli per il salvataggio senese sono ancora tutti da chiarire. Anche perché sul buon esito dell’operazione grava il cambio di governo, dopo che l’esecutivo di Matteo Renzi, con il pieno avallo del ministro del Tesoro Pier Carlo Padoan, ha scelto di rinviare per mesi il problema a caro prezzo sia per Siena che per tutto il sistema bancario italiano, fino al punto di posticiparlo a dopo il referendum onde evitare che il disastro senese inficiasse il risultato elettorale. Contromisura per altro inefficace visto l’andamento delle urne. Ora non resta quindi che aspettare l’arrivo di un nuovo esecutivo che si assuma la responsabilità di salvare il salvabile. Nel mezzo sono attese le deliberazioni del cda dell’istituto che dopo un rinvio di 24 ore si e’ riunito nello stesso giorno della direzione del Pd. Avrebbe dovuto esprimersi ufficialmente sulle chance di riuscita di una ricapitalizzazione di mercato. Tuttavia i consiglieri hanno preferito prendersi altro tempo. E cosi’ in tarda serata hanno annunciato di aver chiesto alla Bce una proroga, fino al 20 gennaio, dell’autorizzazione ricevuta per concludere l’aumento di capitale da 5 miliardi di euro. Mossa motivata con il “mutato contesto di riferimento” dopo l’esito del referendum e lo scoppio della crisi di governo. E il cerchio si chiude ritornando al punto di partenza. Nel frattempo pero’, sempre in tema di responsabilità, visto che dalla vigilanza dei mercati della Consob di Giuseppe Vegas non è arrivato ancora lo stop alle contrattazioni che le circostanze richiederebbero, il titolo della banca senese continua ad essere preda delle speculazioni. E dopo il sequel di ribassi, da martedì sera in scia alle attese per l’intervento statale ha viaggiato di gran carriera. Complici le nuove rassicurazioni di Bruxelles, poi, il titolo ha registrato un guadagno superiore al 10 per cento. A tutto vantaggio dei soliti ignoti che, complice un’evidente disparità informativa, hanno avuto tutto il tempo di incassare qualche guadagno perfino su Siena.