Marco Travaglio, Il Fatto Quotidiano 9/12/2016, 9 dicembre 2016
RIDATECI IL PUZZINO
Ah, le fotografie. Bisognerebbe cancellarle dal web. Invece, con tutte le leggi inutili che fanno, i voltagabbana si sono scordati la più utile, almeno per loro: il diritto all’oblio per i leccapiedi. E così eccola lì, la foto di gruppo scattata al Nazareno nella notte del 25 maggio 2014, quella del 41,8% di Renzi alle Europee. In prima fila, sorridenti a 32 denti pro capite: Speranza, Boschi, Guerini, Serracchiani e Zanda. In seconda fila, in estasi mistica: Picierno, Nicodemo, Rosato, Pinotti, Morani, Madia, Mogherini, Faraone, Bonifazi, Orfini. Spingevano e sgomitavano tutti sudati per un posticino sul carro del vincitore. Pare un secolo, invece son solo due anni e mezzo. E a ogni ora, a ogni minuto, si stacca una faccia, si spegne un sorriso. Fuggifuggi generale dal carro del perdente, roba che al confronto Caporetto era Disneyland. Orfini, Orlando e i redivivi “giovani (si fa per dire) turchi” son passati con Franceschini e Zanda contro la linea Renzi del #muoiasansonecontuttiifilistei. “Non gli consentiremo di portarci a sbattere contro il muro”, tuona Franceschini. “Se si occupava prima del partito ci evitava parecchi problemi”, sferza Orlando. Altro che voto a febbraio-marzo, taglia corto Zanda, “governo fino al 2018”. Speranza ride ancora, ma per il motivo opposto: la sconfitta di Renzi (vedi brindisi notturno con D’Alema, che almeno nella foto di gruppo non c’era). La Mogherini s’è già messa in salvo in Europa. Gli altri si vedrà. Questione di giorni, forse di ore.
Napolitano, che non ha sentito neppure questo, di boom, si smarca fischiettando: “L’idea di Renzi di votare subito è tecnicamente incomprensibile” (forse però non ce l’ha con lui, ma con l’orribile verbo “votare”). Cesare Damiano ora si fida “molto di Mattarella, di quel suo stile tradizionale a cui non eravamo più abituati” per colpa del cafone. Persino Agnese lo prende per il culo: “Matteo è sereno”, anzi sta. Alla fine resterà solo la Boschi, almeno finché l’impresa traslochi non la rimuoverà col dovuto tatto: “Signorina, sia gentile, si sposti ché qui abbiamo da fare”. Come diceva Totò al maresciallo Fabrizi della Tributaria: “Mi sarà scappato un pro, ma sempre stato anti!”. Poi ci sono gli editorialisti del giorno dopo, quelli che avevano capito tutto prima ma non lo dicevano, macerandosi stoicamente in un’opposizione silente, dall’interno. Repubblica, che per tre anni ci ha venduto Renzi come l’ultimo baluardo contro i populisti, gli dà del “populista”. Galli della Loggia, sul Corriere, lo trova “insopportabilmente antipatico”. Beninteso, solo perché ha perso, sennò sai la simpatia innata.
Francesco Merlo, assunto dalla Rai renziana alla modica cifra di 240 mila euro l’anno per fare qualcosa, dimessosi venerdì con gli ultimi sondaggi in mano, scrive su Repubblica tutto quel che aveva sempre pensato ma si era dimenticato di dire fino all’altroieri: è un “bullo bellimbusto”, “pacchiano”, “un potente spavaldo che si è gonfiato di boria”, anzi “l’uomo che non può che farsi scarafaggio”. E dire che ai bei tempi esaltava in Matteo “il garibaldino”, “il peso di libertà a volte baldanzosa e a volte birichina”, “la gioia genuina”, “l’allegria del rilassamento, l’evviva del dopo-partita, la felicità della vittoria”, insomma “l’attor giovane con il bellissimo torto di prendersi il futuro“, perché “un presidente del Consiglio così raggiante è una novità per l’Italia” che insieme a Napolitano (sempre sia lodato) “appaiando la spada che ferisce e separa con la spada che cuce e ripara hanno tenuto a battesimo la nuova classe dirigente”. In una parola: il nuovo Spadolini, “toscanaccio come lo è Matteo e non toscanuccio come Enrico Letta”. Brutto, Letta: infatti aveva appena perso il governo. E poi le sei grazie: “Mogherini, Boschi, Madia, Guidi, Lanzetta e Pinotti” che “non sono le rose d el ventennio, né le lupe di Silvio… Sono invece la dolcezza della gens nova, non affamate ma pronte a perdersi nella politica… rassicuranti”. Gli sarà scappato un pro, ma anche Merlo fu sempre anti.
Di fronte a questi critici fuori tempo massimo, a questi professionisti del calcio dell’asino, viene quasi voglia di abbracciare le Petacci e le Braun rimaste nel bunker, pronte alla bella morte accanto all’amato. Le potete trovare sull’Unità e sul Foglio, ultime ridotte del renzismo sbrindellato. Claretta Ferrara strilla contro “l’inciucio” (cioè la sua ragione di vita) e chiede “elezioni subito” anche senza legge elettorale: “Perché in Italia la soluzione non è mai il voto?”, “Non si sospende la democrazia”, scandisce dopo aver incensato tutti i governi senza voto che sospendevano la democrazia (Monti, Letta, Renzi). Eva Bondi insulta gli elettori che hanno bocciato il suo nuovo fidanzatino: questo “popolo violento corrotto e ipocrita, che si merita politicanti che urlano e imprecano, vecchi rancorosi e inaciditi, aggrappati alle loro poltrone… un popolo che non conosce rigore e serietà ma solo il comico e il melodramma”. Mo’ me lo segno. Anche Massimo Racalcàzzola, psicanalista di scuola Leopolda, ha capito tutto: Renzi non ha perso, sono gli elettori che sono malati di “odio autodistruttivo” e di “rifiuto di ogni canalizzazione simbolica”, ignari del fatto che “in gioco ancor oggi è il grande tema dell’eredità”, mentre “la sinistra sta fallendo il tempo di una interpretazione generativa di questo tema”, anche a causa del “dramma edipico rovesciato”, senza contare i maledetti grillini che lui chiama “il dominio incontrastato dell’eccezione totemica del padre dell’orda che può godere impunemente del suo arbitrio”, vedi Lacan, Pasolini e Basaglia. Tutto chiaro, soprattutto la minaccia finale: “Renzi deve ripartire per prepararsi a governare nuovamente”. Ma sì, aridatece er Puzzino.