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 2016  dicembre 07 Mercoledì calendario

MANUTENZIONE STRADALE, GARE E SPEZZATINO DEI GRANDI GRUPPI


Tra concorrenza e sviluppo tecnologico c’è un noto, forte nesso. La concorrenza è un incentivo fondamentale, anche se lo Stato può e deve avere un ruolo. Questo implica ovviamente meno cemento e meno monopoli per i trasporti, obiettivi dominanti dei governi passati. Vediamo un decalogo di cose da fare.
1) Fare manutenzione della rete stradale ordinaria, che sta andando a pezzi. Questa rete serve, e continuerà a servire, la gran parte del traffico, e la manutenzione è una attività che crea molta occupazione in breve tempo, per euro pubblico speso.
2) Investire in nuove infrastrutture solo dove serve davvero, cioè dove c’è congestione. Il traffico cresce e crescerà poco, per ragioni funzionali e demografiche. Nei centri urbani densi, dove la congestione è alta, è sufficiente applicare tariffe apposite, tipo Milano o Londra, e il trasporto pubblico crescerà spontaneamente, senza di fiumi di sussidi.
3) Liberalizzare i servizi ferroviari. Il mercato funziona, come dimostra il settore merci e quello dell’Alta velocità. Per le infrastrutture ferroviarie, metterne in gara la gestione per macro-aree. Tutto il contrario dell’attuale tendenza a farne un elefante monopolistico ipersussidiato, che si compra anche Anas, i bus, e il trasporto locale, rendendo di fatto impossibile ogni concorrenza.
Ricordarsi che le ferrovie sono un pozzo di soldi pubblici, occupano e occuperanno pochissima gente, e per l’ambiente sono e rimarranno irrilevanti (numeri da prefisso telefonico).
4) Liberalizzare il trasporto pubblico locale facendo gare vere, senza l’attuale conflitto di interessi (il Comune proprietario dell’azienda fa sia il giudice che il concorrente). Anche qui occorre fare “spezzatini”, se i lotti di gara sono grandi poi il vincitore ha troppo potere sulle amministrazioni pubbliche.
5) Fare un grande programma di sostegno all’innovazione tecnologica del settore, che sta sviluppandosi rapidamente con grandi investimenti privati (ma anche pubblici), e che vedono l’Italia poco presente. Le risorse non sono certo un problema, è sufficiente prelevarle da una serie di “grandi opere”, soprattutto ferroviarie, destinate a rimanere semideserte anche proprio a causa del progresso tecnico.
I temi sono triplici: elettrificazione parziale o totale del parco veicolare (con drastica riduzione delle emissioni), guida gradualmente automatizzata dei veicoli (con drastica diminuzione degli incidenti, per il 90% dovuti ad errori umani), convogli autostradali di veicoli merci (con drastica diminuzione della congestione e degli incidenti).
6) La parte infrastrutturale di questo piano è quasi altrettanto importante: reti di distributori di elettricità per autoveicoli, per cui occorrono rilevanti investimenti, ma anche supporti elettronici per la guida automatica, e forse sistemi più sofisticati di alimentazione elettrica, statica e dinamica, su cui qui non è possibile dilungarsi.
7) Il regime concessionario delle autostrade oggi genera rendite assurde ai concessionari, senza alcun loro vero rischio, pagate dagli utenti. Occorre accelerare un processo di radicale cambiamento, aprendo un tavolo di negoziato con i concessionari stessi che rispetti i contratti in essere, ma consenta il loro superamento nei tempi più brevi possibili, anche qui aumentando i livelli di “spezzatino”.
8) L’Autorità di Regolazione dei Trasporti (Art) va dotata di molti più poteri, non solo in relazione alle concessioni, autostradali e non, ma in generale nella possibilità di intervenire sulla struttura proprietaria dei soggetti regolati, per ridurne l’eccessiva concentrazione.
9) Infine occorre valutare tutto, con analisi economiche e finanziarie degne di un paese moderno, cioè fatte da soggetti terzi, evidenziando alternative tra progetti, e in modo trasparente, al fine di migliorare il dibattito democratico sulle scelte. Non si chiede all’oste se il vino è buono, come oggi.
10) Il decimo comandamento li riassume tutti: smettere di considerare il settore come “merce di scambio” per elargire denari pubblici e comprare voti.
“L’arbitrio del principe” va radicalmente ridotto: i decisori devono rendere conto ai cittadini di ogni euro pubblico speso.