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 2016  ottobre 25 Martedì calendario

CALCIATORI STRAPAGATI? È GIUSTO. MA 105 MILIONI PER POGBA NON LI AVREI SPESI...– [Beppe Marotta] Che sia ottobre, e non agosto, lo si capisce dal cellulare di Beppe Marotta: in 50 minuti di chiacchierata squilla appena due volte

CALCIATORI STRAPAGATI? È GIUSTO. MA 105 MILIONI PER POGBA NON LI AVREI SPESI...– [Beppe Marotta] Che sia ottobre, e non agosto, lo si capisce dal cellulare di Beppe Marotta: in 50 minuti di chiacchierata squilla appena due volte. I giorni febbrili delle trattative sono un lontano ricordo e l’a.d. della Juventus può permettersi di parlare di un tema piuttosto spinoso: il delicato rapporto fra calcio e soldi. Cinquantanove anni, vecchia volpe del calcio italiano, Marotta sa bene che quella che si è da poco conclusa è stata una sessione di mercato particolare. Dopo anni di vacche magre le spese sono aumentate: 700 milioni di euro considerando tutte e 20 le società di Serie A, una cifra inferiore solamente alla Premier League inglese. Pure gli ingaggi dei calciatori sono cresciuti, arrivando a sfiorare il miliardo di euro (985 milioni, 103 in più del 2015). Ed è stato un mercato particolare soprattutto per la Juventus, che anche grazie alla cessione record di Paul Pogba si è permessa il lusso di spendere 90 milioni per
il solo Gonzalo Higuaín. L’impennata delle spese ha riportato in auge una questione annosa. Com’è possibile che un singolo calciatore valga più di 100 milioni di euro, tanto quanto il Governo italiano
ha stanziato per affrontare l’emergenza del dissesto idrogeologico? Ed è etico che Cristiano Ronaldo,
il più pagato, percepisca dal Real Madrid 21 milioni di euro l’anno? In un sondaggio online, la Gazzetta dello Sport ha posto ai lettori un quesito simile. Risultato: per il 78 per cento, «in un periodo di crisi è immorale che guadagnino così tanto». Come la mettiamo, Marotta: i calciatori prendono troppi soldi oppure no? «Il calcio è uno spettacolo e i giocatori d’élite sono come le star del cinema, che guadagnano
 in relazione alle possibilità di ingaggio che hanno. Non mi pare immorale. Si tratta di un sistema produttivo che genera ricavi, i quali vengono spesi per gli “attori” protagonisti di questo business».
 C’è poi il capitolo delle valutazioni. Come si giustificano cifre superiori ai 100 milioni di euro? «Esistono parametri oggettivi (età, ruolo, campionato di provenienza eccetera) e soggettivi sulla base dei quali si arriva al prezzo. Non c’è, invece, un rapporto diretto con la cifra che quel calciatore porterà nelle casse della società. Di certo un top player ti aiuta a vincere, e questo aumenta
il valore del brand e di conseguenza i ricavi. L’ideale sarebbe che producesse anche un immediato ritorno commerciale, ad esempio attraverso la vendita delle magliette: in Italia, però, questa cultura non c’è».
 È vero che la cessione di Pogba al Manchester United per 105 milioni è stata una brillante operazione di marketing da parte della Juventus? Che il suo valore non corrisponde a quella cifra? «Una società come il Manchester, che ha un fatturato superiore ai 500 milioni, può permettersi di fare acquisizioni economicamente straordinarie. In questo caso hanno investito su un giocatore
di 23 anni che rappresenta uno dei migliori talenti in circolazione. Da parte nostra, abbiamo cercato di creare una concorrenza attorno al calciatore, perché la concorrenza fa alzare il prezzo».
 Ma lei, nei panni del d.g. del Manchester United, li avrebbe spesi 105 milioni per Pogba? «Forse a quella cifra non l’avrei preso: magari a 80 o 90... Di sicuro, l’anno scorso non pensavamo di venderlo così caro. Ritenevamo che 70 milioni di euro fosse il tetto massimo».
 Le spese per l’acquisto dei calciatori, nei cinque massimi campionati europei, dal 2010 sono triplicate: da 1,5 a 4,2 miliardi di euro. È un mercato «drogato» dai soldi di oligarchi, emiri
e dei cinesi che hanno acquistato Inter e Milan? «Parlerei piuttosto di un cambiamento epocale che ha portato l’industria del calcio a sviluppare potenzialità ancora inespresse, grazie all’ingresso di investitori stranieri, a ricchissimi contratti televisivi come quello della Premier League e all’approdo in nuovi mercati. Certamente questi fattori hanno influenzato i prezzi al rialzo. Il loro aumento è in relazione con la crescita dei fatturati, per cui non mi meraviglierei se crescessero ancora». Quanto contano i procuratori nel calcio di oggi? «Il nostro lavoro è più difficile rispetto
al passato perché gli attori sono aumentati. Il procuratore si è trasformato in un intermediario fra la società e l’entourage del giocatore e in molti casi c’è un problema di professionalità, perché al posto dell’agente c’è un parente oppure la moglie». Tipo Wanda Nara, la moglie di Mauro Icardi... Che rapporto ha col re dei procuratori Mino Raiola? «(Ride, nda) Se si vuole raggiungere gli obiettivi bisogna mantenere un buon rapporto con tutti». 
Nel 2009 l’Uefa ha introdotto il fair play finanziario che impone dei paletti. Funziona? «Legare le possibilità di spesa ai ricavi
è fondamentale per dare stabilità alle società. Le sanzioni, però, da sole non bastano: occorre che Figc e Lega Calcio creino i presupposti perché
si possa incrementare il fatturato attraverso i ricavi commerciali e quelli da stadio».
 È favorevole alla creazione di un campionato europeo per i top team, la famosa Superlega? «Sono favorevole a un’internazionalizzazione dello spettacolo. Poi possiamo chiamarla Superlega o in altro modo, ma la direzione è quella». 
Non si rischia di dare la mazzata finale ai vivai, che già oggi sono pieni zeppi di ragazzi stranieri? «I vivai italiani non funzionano perché manca l’attività di formazione. Per creare bravi giocatori bisogna formare bravi allenatori e dare ai ragazzi
gli spazi per giocare. Possibile che dal Friuli Venezia Giulia, che ha prodotto campioni come Dino Zoff
e Fabio Capello, non arrivi più un calciatore? Le nostre proposte sono chiare: investire sulle strutture, ridurre le società professionistiche e introdurre
le seconde squadre per far giocare i giovani.