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 2016  dicembre 06 Martedì calendario

VIOLA, L’ORA DELLA LA RIVINCITA MENTRE MPS RESTA NEL CAOS


I mercati finanziari si filano poco le minacce di Matteo Renzi, ma Jp Morgan, Mediobanca e compagnia fanno finta che il caos promesso dal premier in caso di vittoria del No ci sia. E fermano il salvataggio del Monte dei Paschi di Siena per una pausa di riflessione sull’incertezza politica che si determina con la caduta del governo.
Nel frattempo, per beffarda coincidenza, con la sconfitta e le dimissioni di Renzi arriva una notizia dal Veneto: il fondo Atlante, azionista quasi totalitario della Popolare di Vicenza e della Veneto Banca, ingaggia come amministratore delegato di entrambe Fabrizio Viola. Sì, proprio lui, l’uomo che tre mesi fa è stato cacciato dal Monte dei Paschi su ordine di Renzi, convinto da Jp Morgan che solo silurando Viola e mettendo al suo posto Marco Morelli gli investitori avrebbero tirato fuori di buon grado i 5 miliardi di aumento di capitale necessari a salvare Mps. Nota bene: il presidente del fondo Atlante Alessandro Penati ha dato a Viola il mandato di trovare 2-3 miliardi sui mercati internazionali per salvare le due banche venete. Un dettaglio esemplare del caos in cui è stato messo il sistema bancario italiano non dal voto referendario ma dalla sconclusionata gestione di Renzi.
Dunque a Siena pagano le minacce di Matteo Renzi (se vince il No sarà la rovina) anche se non hanno fatto effetto né agli elettori né ai mercati. Ieri Jp Morgan e Mediobanca, a capo del consorzio di banche che dovrebbero assistere con la loro garanzia l’aumento di capitale da 5 miliardi, si sono riunite negli uffici milanesi di piazzetta Cuccia e hanno diffuso una velina (niente di ufficiale, non sia mai detto) così concepita (fonte Ansa): “Slitta di qualche giorno, almeno tre o quattro, la decisione delle banche del consorzio di garanzia sulla firma del contratto per l’avvio dell’aumento di capitale. (…) In base a quanto si apprende, il rinvio è per permettere agli attori in campo, compresi i possibili anchor investor, di valutare l’evoluzione politica, alla luce delle dimissioni del governo Renzi”.
Vista la reazione fredda dei mercati alla vittoria del No è evidente che si tratta di una scusa. La Jp Morgan e l’ad di Mps Marco Morelli (scelto dalla banca consulente) non sanno e non hanno mai saputo dove trovare i 5 miliardi, e adesso danno la colpa agli elettori. C’è una variabile in gioco, il piano B per il salvataggio pubblico di Mps. Venerdì scorso il Corriere della Sera ha rivelato che questo piano è pronto dallo scorso luglio e sarebbe stato proposto al governo italiano nientemeno che dai severi censori della Commissione europea.
Lo Stato metterebbe una bella fetta dell’aumento di capitale, magari un miliardo che porterebbe la quota pubblica attorno al 20 per cento. Il pedaggio da pagare sarebbe una forma di bail in a schiuma frenata, con il sacrificio delle azioni esistenti (oggi ridotte quasi a zero) e delle obbligazioni in mano agli investitori istituzionali, salvando le famiglie. Il miliardo statale, più il miliardo in azioni in mano a chi ha accettato la conversione volontaria delle obbligazioni subordinate chiusa venerdì scorso, riporterebbero a tre miliardi il fabbisogno di capitali, ma l’intervento pubblico fungerebbe da garanzia per gli altri investitori.
Interessante il fatto che questo piano è stato respinto a luglio da Renzi dopo che il suo amico Jamie Dimon, capo della Jp Morgan, lo ha convinto di poter garantire una bella “operazione di mercato” senza intervento statale. Ma finora tre sole cose ha garantito Jp Morgan: l’assunzione come amministratore delegato del suo ex capo per l’Italia Morelli, la firma di vantaggiosi contratti con Mps per l’assistenza prestata e, adesso, la certezza che non si sa bene chi decide sulla sorte della più antica banca del mondo.
Questa mattina la nomina di Viola sarà ufficializzata, dopo che ieri si è dimesso l’amministratore delegato di Popolare Vicenza Francesco Iorio, nominato nella tarda primavera 2015. Iorio era l’uomo scelto dalla Banca d’Italia e dalla Bce per risanare la Bpvi messa in braghe di tela dallo storico dominus Gianni Zonin. Nei piani originali Zonin, amatissimo dal governatore Ignazio Visco, doveva restare presidente per convincere la clientela a sottoscrivere il necessario aumento di capitale.
In realtà l’aumento di capitale (1,5 miliardi) l’ha dovuto sottoscrivere Atlante, che ha messo 1 miliardo in Veneto Banca per rattoppare i conti: lì il dominus Vincenzo Consoli ha fatto perdere ai soci della ex popolare 5 miliardi di euro. A Montebelluna Viola prenderà il posto di Cristiano Carrus, che resta direttore generale. Dovrà curare la dolorosa ma inevitabile fusione delle due banche, con eliminazione di centinaia di sportelli sovrapposti sul territorio e di 3 mila posti di lavoro.
La situazione che Viola si trova a gestire è molto più grave di quella del Monte dei Paschi, il che è tutto dire. Basti pensare che i 2,5 miliardi messi da Penati nelle due ex popolari la scorsa primavera sono già stati consumati dalle perdite e dalla fuga dei correntisti. In un anno di mandato Iorio ha perso il 27 per cento dei depositi di conto corrente, mentre il risultato operativo del primo semestre 2016 è inferiore del 71 per cento a quello conseguito da Zonin un anno prima.
Nel primo semestre 2016 Bpvi ha perso 800 milioni, Veneto Banca 260. Il buco da coprire è di circa 3 miliardi. E Penati è stato lasciato solo dal governo. Adesso arriva Viola a fargli compagnia.