Malcom Pagani, Il Fatto Quotidiano 5/12/2016, 5 dicembre 2016
VI RACCONTO L’EROINA DI LOU E IL PROSCIUTTO DI PAVAROTTI
[Francesco Tomasi]
Memorie di Francesco Tomasi da Udine, manager e promoter di stelle della musica, animatore di concerti leggendari, ex operaio alla Zanussi, ex basagliano passato in gioventù dalla follia dell’uomo solo senza più comando né percezione di sé, all’organizzazione dei rocker che sapevano accendere la folla come nessuno: “Lou Reed era pazzesco. Quando pesavo venti chili in più e avevo un barbone da extraparlamentare, ai margini di un concerto nel gruppone di Lou c’era un certo malumore per la qualità del catering: ‘Èfreddo’ dicevano tutti e buttavano piatti e cibo sui muri in segno di protesta. Lou, una delle persone più straordinarie che poi abbia conosciuto in vita mia, all’epoca era alterato. Beveva e si drogava pesantemente e tra alcool ed eroina ci toccava portarlo continuamente su e giù dal palco”.
Le note del tempo erano tante e si poteva passare dal chiasso eretico di un sabba laico ai silenzi atesini senza pubblico, nella cornice monacale del ritiro dal guru Henri Chenot: “Ci ritrovammo con Lucio Dalla a pagare uno sproposito per essere deliberatamente affamati. Un succo di barbabietole, un po’ d’acqua colorata e due giorni su sette di digiuno. Lucio aveva gli occhi insanguinati. Una sera si presenta il cameriere: ‘Minestrina e risottino?’ Io e Lucio, quasi senza parlare, affranti, facciamo due con le dita. Passa un quarto d’ora e ‘ste merde ci mandano un pugno di riso così piccolo che si fatica a individuarlo sul piatto bianco. Lucio sta per reagire e il cameriere si dà alla fuga. In quei giorni in albergo, con il ginocchio a pezzi, c’è anche Pavarotti. Dopo cena ci vediamo in camera di Luciano con Lucio e inizia la festa. Sotto il letto Pavarotti aveva un prosciutto e una mortadella. Mangiammo senza ritegno, Luciano venne beccato il giorno dopo e la merce sequestrata”.
Quando parla del suo passato, Tomasi che ha superato da qualche curva i settant’anni e ha appena concluso con successo l’allestimento-evento della celebrata mostra di David Bowie, evita i rimpianti: “Ho smesso di pensare a concerti e cantanti da quando mi sono reso conto che non potevo più fare proposte alternative per l’avidità degli agenti e l’aggressività delle multinazionali che controllano il mercato.
Non ne faccio un discorso moralistico, ma solo realista. Con certe realtà non puoi competere perché è vero che non eravamo filantropi neanche noi e anzi, nonostante nulla fosse strutturato e lavorassimo da pionieri eravamo mercanti a tutti gli effetti , ma certe premure sul prezzo dei biglietti le tenevamo in considerazione. Oggi si vendono a sei volte il loro valore nominale e come dimostra anche la vicenda dei Coldplay gli argini del profitto si sono definitivamente rotti”.
Tomasi ricorda i primi tempi: “Quando i concerti erano della Pfm, di Lolli e di Guccini, il fiasco era nell’angolo ed era difficile da spiegare il solo concetto di management”, la presa della piccola Bastiglia bolognese, l’Arci: “Insieme a Paolo Guerra che poi divenne l’agente di Aldo, Giovanni e Giacomo e con il quale dividemmo l’onere dell’organizzazione dei concerti italiani e stranieri dei grandi garantendo una sorta di servizio d’ordine che tutelasse gli artisti da aggressioni come quelle subite da Santana o da De Gregori”, le notti trascorse a parlare con Annie Lennox, Peter Gabriel, Woody Allen o Bono perché il manager – dice lui: “È un po’ un secondo padre. Di figli legittimi ne ho avuti quattro e molti altri ne ho acquisiti per strada”.
Tra gli oneri e gli onori, in alternanza da ottovolante, con tanto di prime pagine, denunce, processi, brillò il grande concerto dei Pink Floyd organizzato da Tomasi a Venezia il 15 luglio 1989. Duecentomila persone in attesa: “Una cosa enorme che creò delle conseguenze e dalle cui macerie sono uscito dopo anni di linciaggio organizzato da una politica che della musica ha sempre abusato e da una stampa che non indagò a sufficienza sulle ragioni per cui ad esempio l’azienda municipalizzata dei rifiuti di Venezia non rimosse per due giorni l’immondizia lasciata dal pubblico.
Noi, con dieci ragazzini, ripulivamo i grandi stadi in due ore. In quell’occasione, con l’idea settecentesca di mettere il gruppo su una zattera, sarebbe servito più tempo. Ma non tutto quel tempo. Gli stronzi che avrebbero dovuto occuparsi della questione incrociarono le braccia e io diventai il capro espiatorio. Si volle lasciare in pasto ai fotografi lo spettacolo dell’ovvio scempio post-esibizione e gli strascichi anche giudiziari della vicenda si fecero sentire per anni”.
Tomasi cadde in depressione: “Persi un paio di miliardi tra l’89 e il 90, fallii e il fallimento, anche se non grave, mi prostrò. Fu dura. Ancora oggi per un pezzo di Venezia sono quello che immaginò un evento irripetibile e per un’altra parte di città un mezzo delinquente”.
Di quel concerto mitologico poi finito nelle tesi di Laurea, Tomasi è ancora orgoglioso: “Di cazzate, a partire dall’idea balzana di vendere le zolle dello stadio Olimpico dopo la finale dei campionati Mondiali del 1990 ne ho fatte tante, ma non quella. Quell’esibizione fu un successo di cui sono fiero anche se a ben vedere io non sono mai stato un vero imprenditore. La mia dote era l’empatia e la mettevo in gioco nel rapporto con gli artisti. Ma i costi erano lievitati e il fallimento in qualche modo mi aprì gli occhi. Di solo ufficio spendevo settanta milioni l’anno, un’assurdità”. Delle disfide di allora – storica quella con Massimo Cacciari: “Fiero oppositore del concerto, abbiamo fatto pace” – rimangono frammenti. Di discorso amoroso, a detta di Francesco Tomasi detto Fran che ballò a lungo, ma di danzare sul filo alla maniera di un Philippe Petit come accadeva un tempo non ha più voglia: “Mi sono stancato. Il distacco è stato progressivo e non traumatico”. Di qualche altro alterco, senza boria, non sono rimaste neanche le scorie: “A dieci minuti dalla mondovisione, presi un vicesindaco per il collo perché voleva negarci i permessi per andare in onda”. Finì tutto lì. Con le foto notturne di Guido Harari e il primo piano di Fran Tomasi sullo sfondo di una piazza veneziana ormai senza più musica. Restano le mostre e i consuntivi. Le cose a volte vanno bene, altre male: “Ma quando le cose vanno male io tendo a incazzarmi soprattutto con me stesso. Prendersela con gli altri è molto consolante, ma a volte non basta. Quando sei davanti allo specchio, mentire è più difficile”.