Patrizia De Rubertis, Il Fatto Quotidiano 5/12/2016, 5 dicembre 2016
IL FOLLE BUSINESS DELLE MEDICINE PER ANIMALI: PREZZI ALLE STELLE
È un po’ il segreto di Pulcinella: oltre ai costi esorbitanti del cibo, per curare i 60 milioni di cani, gatti, uccelli, criceti, tartarughe o pesci che vivono nelle nostre case, si è costretti a spendere una fortuna. Tutta colpa delle spese dei farmaci veterinari. Tanto che il prezzo di antinfiammatori, antidolorifici o antibiotici, almeno in Italia, è in media il triplo rispetto a quello delle medicine destinate all’uomo. Sebbene, in molti casi, il principio attivo sia identico. I medicinali generici in veterinaria, infatti, non esistono: il medico è obbligato a indicare nella ricetta il nome commerciale del prodotto e non l’eccipiente.
A denunciarlo da tempo sono i veterinari e il mondo delle associazioni animaliste. Così, prima hanno preso carta e penna centinaia di veterinari aderenti all’Anmvi (l’associazione nazionale) per scrivere al ministro della Salute, Beatrice Lorenzin, per chiedere di fermare “l’incredibile lievitazione dei prezzi”. E ora, a distanza di un anno da quell’appello caduto nel vuoto, in occasione della Giornata internazionale dei diritti degli animali, che si svolge il 10 e l’11 dicembre, la Lega nazionale per la difesa del cane ha lanciato la petizione #questionediprincipio su Change.org per chiedere al governo la possibilità di prescrivere i farmaci generici a costo contenuto anche per uso veterinario.
Ma di quali prezzi stiamo parlando? Prendiamo il Ketoprofene. È un antinfiammatorio che in farmacia costa poco più di tre euro, mentre nella confezione veterinaria il prezzo arriva a 17 euro. Il Metacam, invece, farmaco che allevia i dolori articolari, ha un prezzo di oltre 50 euro se destinato agli animali, mentre il suo corrispettivo umano è poco meno di 5 euro. Tra gli antibiotici più usati c’è l’amoxicillina che da 4 euro schizza a quasi 16. Poi c’è il farmaco contro il vomito, problema molto comune tra gli animali. Peccato che il Plasil (umano) costi 1,89 euro per scatola, mentre in veterinaria il Vomend sia venduto a 19. Ed ancora. Sul sito farmacoveterinario.it, dove è possibile confrontare i prezzi, si scopre anche che la comune acqua zuccherata da 500ml nella soluzione veterinaria costa il 10% in più.
Del resto è tutto legale. Il decreto legislativo 193 del 2006, che regola l’uso e la prescrizione dei farmaci veterinari, parla chiaro: i medici non possono prescrivere le medicine per gli uomini agli animali, anche se hanno lo stesso principio attivo. Unica deroga consentita è quando non esiste un farmaco veterinario e l’animale, riconosciuto da compagnia, dimostri di avere “stati evidenti di sofferenza”. Non solo difficile da dimostrare, ma limitazione che esclude, ad esempio, pappagalli, pesci rossi o coniglietti. Paradosso che spinge i veterinari a consigliare ai clienti i meno costosi principi attivi destinati all’uso umano, ma sempre sotto banco e con il rischio di multe da 1.549 euro a oltre 9mila.
“Inutile girarci intorno, i farmaci veterinari costano di più perché gli interessi economici delle case farmaceutiche stanno a cuore più dei nostri animali”, denuncia al Fatto la presidente nazionale di Enpa, Carla Rocchi. Che aggiunge: “È un settore spartito tra pochi nomi, quasi tutti afferenti alle grandi multinazionali della farmaceutica, come Bayer, MSD Animal Health (Merck), Merial (Sanofi) e Zoetis (Pfizer)”. Quattro case farmaceutiche che si spartiscono un mercato da circa 600 milioni di euro all’anno. “Cani e gatti – aggiunge Rocchi – non sono beni di lusso, hanno un valore sociale che solo un’ottusa classe politica non riesce a comprendere”.
Il contenimento della spesa sulle terapie degli animali non esula però dal fisco. A differenza dei farmaci per l’uomo, per quelli veterinari non ci sono coperture da parte del Sistema sanitario nazionale. Il costo è tutto a carico del proprietario dell’animale che non solo deve pagare il 22% dell’Iva sia sul medicinale che sulla visita, ma come unica possibilità di risparmio ha solo una piccola detrazione fiscale delle spese veterinarie a fronte della presentazione dello scontrino parlante (quello con il codice fiscale). Nessun governo ha, infatti, mai concesso l’esenzione da Iva sulle cure veterinarie di base, come le vaccinazioni, il microchip o le sterilizzazione.
Cosa si può portare in detrazione? Le spese sostenute per la cura di animali legalmente detenuti per compagnia o per pratica sportiva con un importo non superiore a 387,34 euro. Ma il bonus sarà calcolato sulla parte che eccede 129,11 euro. Così, ad esempio, su 400 euro di spese veterinarie si calcola solo il 19% di 387 euro, vale a dire uno sconto fiscale di 73,53 euro. Per richiedere questo bonus è, però, necessario dimostrare il legale possesso dell’animale, pena incorrere in sanzioni amministrative.