Enrico Deaglio, il venerdì 2/12/2016, 2 dicembre 2016
DIVORZIO, UNO SCONTRO EPICO PER IL PIÙ BEL REFERENDUM ITALIANO
Come viatico al voto del 4 dicembre prossimo, ecco alcuni ricordi sul più famoso dei referendum italiani, quello che confermò il divorzio. Si votò il 12 e il 13 maggio 1974, per “abrogare” o confermare la legge promossa da Loris Fortuna (socialista) e Antonio Baslini (liberale). A raccogliere 1,3 milioni di firme per il referendum era stato un “Comitato” presieduto da uno sconosciuto giurista cattolico, Gabrio Lombardi, secondo il quale il divorzio era «una variante dell’harem diluita negli anni». Tra i partiti, solo la Dc e il Msi sostenevano il “sì”. (Lo sforzo maggiore dei propagandisti dei due schieramenti fu di far capire agli italiani che chi voleva il divorzio doveva scrivere no, e viceversa. Molti pronosticarono che gli italiani, piuttosto analfabeti, non avrebbero capito).
L’eroe antidivorzio fu il segretario della Dc, Amintore Fanfani, un eclettico uomo politico con grandi ambizioni. Nei suoi comizi dipingeva per l’Italia un futuro apocalittico; per esempio in piazza del Popolo disse: «Vogliono il divorzio, poi vorranno l’aborto, poi vorranno il matrimonio tra omosessuali, poi vostra moglie scapperà con la serva». (Tutto vero, solo che questi diritti ci misero quarant’anni a diventare legge). La campagna elettorale della Dc per il sì (cioè per il no al divorzio) venne finanziata con due miliardi di lire (125 milioni di euro attuali) da Michele Sindona, il banchiere che allora amministrava un enorme patrimonio vaticano e della mafia italoamericana. La cosa venne rivelata quattro anni dopo da Aldo Moro alle Brigate Rosse che lo tenevano prigioniero. L’obiettivo di Sindona era “spostare l’Italia a destra”.
Il Vaticano, fondamentale sostenitore del “sì” (il divorzio gli toglieva potere), subì per la prima volta la ribellione di grandi associazioni cattoliche (le Acli, la Fuci, la Gioc), e il dissenso di alcuni importanti cardinali e comunità ecclesiali. Tra i giovani politici, Romano Prodi che diventerà un importante statista italiano ed europeo. Contro il divorzio fu invece il neonato movimento di Comunione e Liberazione, fondato dal sacerdote don Giussani, con grande seguito giovanile a Milano. Contro il divorzio anche il sindaco di Firenze Giorgio La Pira (importante mentore dell’attuale presidente del Consiglio Matteo Renzi) e la senatrice socialista Lina Merlin, che aveva promosso la legge contro la prostituzione legalizzata dei “casini”.
In tempi di ancora scarsa televisione, la battaglia referendaria avvenne tramite giornali, comizi e manifesti murali. Il quotidiano di Roma Il Messaggero fu protagonista di uno scontro epico, al termine del quale, il 12 maggio, uscì con un titolo cubitale: «Contro il tentativo clerico-fascista di sopprimere la democrazia e l’autonomia dello Stato, NO». Il No era alto 18 centimetri. La polizia vietò l’esposizione del giornale vicino ai seggi. Il No, (ovvero il Sì al divorzio) vinse con il 59 per cento dei voti. L’87 per cento degli italiani andò a votare. La politica italiana si aprì ai “diritti civili” e si spostò, un po’, a sinistra. Belli, i referendum di una volta...