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 2016  dicembre 02 Venerdì calendario

SE IL MEDICO DI FAMIGLIA È SFRATTATO DAL SENSORE


Passo svelto, modi gentili, abbigliamento casual. Joichi Ito è il nuovo direttore del Media Lab del Mit di Boston, sicuramente una delle università di ricerca più importanti del mondo. Dal suo osservatorio privilegiato – il Media Lab è un laboratorio di super avanguardia su tutto ciò che riguarda l’innovazione – è quasi obbligato ad essere un visionario. E come il suo predecessore Nicholas Negroponte, autore del saggio Essere digitali, pubblicato nel 1995, in cui prevedeva molti dei cambiamenti nella nostra vita quotidiana legati alla rivoluzione digitale, già intravede i nuovi percorsi del futuro e li sta scrivendo nel suo libro in uscita Whiplash: How To Survive Our Faster Future. Lo incontriamo al World Business Forum di Milano, un evento sull’innovazione dedicato a manager e dirigenti di azienda, dove quello di Ito è uno degli speech più attesi.
La prima domanda è d’obbligo: come sarà il nostro futuro tra 20 anni?
«Io credo che ciò che è accaduto con la rivoluzione digitale, adesso accadrà con la biologia. Dipenderà dalla nostra capacità di capire, ma anche di interagire con la biologia in tutti i campi, dalla medicina, all’ambiente, alla bioingegneria. Le altre parole chiave per il futuro dell’innovazione sono intelligenza artificiale e machine learning».
Ambiti che non hanno a che fare direttamente con Internet. Cosa dobbiamo aspettarci di buono dalla rete?
«Credo che nel futuro i bitcoin (la valuta elettronica, ndr) potrà fare al settore delle banche e alla law industry ciò che Internet ha fatto al mondo dei media e della pubblicità. Ci saranno grossi cambiamenti, anche se pensiamo alle possibili interazioni e sviluppi legati ai bitcoin e al machine learning. La contabilità delle aziende è un altro settore da cui dobbiamo aspettarci molte novità: cambieranno i fondamentali, si sta provando a reinventare il concetto di contabilità e sarà come cambiare il linguaggio base che usiamo nel mondo della finanza».
Cosa succederà invece nella vita di tutti i giorni, ad esempio nella medicina?
«Molto dipende da quanta resistenza ci sarà da parte delle grandi organizzazioni al cambiamento, questo perché da un punto di vista tecnico già oggi l’idea che l’assistenza sanitaria sia relegata in luoghi come gli ospedali o gli ambulatori dei medici è un’idea vecchia. Accadrà che dei sensori ci osserveranno quotidianamente, 24 ore al giorno, e tutte le prescrizioni – come prendere una medicina o mangiare in un certo modo – saranno in un sistema di intelligenza artificiale. Così che cambierà il nostro modo di curarci: ad esempio, a scuola si potrà studiare come utilizzare un “doctor AI”, ovvero un’intelligenza artificiale applicata alla medicina. Si avranno quindi delle conoscenze e cambierà il modo di ricevere l’assistenza medica: i temi che riguarderanno la nostra salute saranno completamente integrati nei nostri telefoni, nelle nostre case o saranno conosciute dalle persone che ci stanno vicino».
Scompariranno i medici?
«No di certo, medici e specialisti saranno sempre lì. Ma ci saranno per situazioni molto speciali e particolari, e credo che il nostro rapporto con loro che adesso si basa su una visita di dieci minuti quando pensiamo di stare male cambierà radicalmente».
Al Media Lab del Mit lavorate già in questa direzione?
«Il Media Lab ospita un gruppo incredibilmente vario di ricercatori il cui lavoro va oltre i confini delle discipline accademiche tradizionali, e si concentra su come affrontare alcuni dei più grandi bisogni della società. Questo significa avere più di 25 gruppi di ricerca le cui esplorazioni scientifiche vanno dal lavoro pionieristico in neurobiologia sintetica, che comprende le nuove tecniche non invasive per stimolare l’attività neurale con l’ottica e la luce per il trattamento di Parkinson o Alzheimer, fino a nuovi approcci nella ricerca genetica che studiano soluzioni per malattie trasmesse dagli insetti, come la borreliosi di Lyme, la malaria o la febbre dengue. Il Media Research Lab prevede anche la creazione di un ecosistema open source di tecnologie alimentari, protesi bioniche e stampa 3D di nuove sostanze come vetro per architetture che può essere incorporato con materiali biologici viventi».
Cos’altro si trasformerà nella nostra vita?
«Penso che l’altra istituzione che vedrà modifiche profonde sia l’educazione, ovvero il sistema scolastico. Adesso, la maggior parte dei test e delle prove che i bambini fanno nelle scuole potrebbero essere fatti da un computer. A vedere bene, la maggior parte di quello che si insegna ai bambini oggi potrebbe essere fatto da un computer. Quello che dobbiamo fare è insegnare ai bambini come imparare, e insegnare ai bambini come essere diversi tra loro piuttosto che uguali. Nell’era della rivoluzione industriale abbiamo insegnato ai piccoli come diventare soldati e andare in guerra o come lavorare in una fabbrica: hanno imparato ad essere prevedibili, obbedienti e pieni di nozioni. Molto simili ai robot, in fondo. Quello che dobbiamo fare è costruire un sistema educativo in cui sia chiaro che i robot sono i robot, ma gli umani sono gli umani. Dobbiamo ripensare cosa significa essere degli esseri umani».
Questo richiama aspetti non solo legati alla tecnologia ma anche alla filosofia e al senso profondo della nostra vita.
«Ne parlavo recentemente con un amico, un teologo, il concetto chiave che c’è alla base dell’essere umano è il lavoro: cos’è il lavoro oggi? Io credo che molti tipi di lavoro spariranno e forse non si avrà bisogno di lavorare. Forse qualcuno dovrà, ma molti non lo faranno più. Quindi, dobbiamo insegnare che non si lavora solo per i soldi: si lavora per degli obbiettivi, per motivi sociali, per studio. In passato c’erano dei luoghi come le università e i college dove c’erano persone che lavoravano senza avere come priorità il denaro. Adesso la società è costruita sull’idea che si lavora per soldi: io credo che questo cambierà. Ciò di cui abbiamo bisogno è creare una cultura legata all’educazione: saranno le macchine ad obbligarci ad andare in questa direzione».
Pensa a un futuro con macchine più intelligenti di noi?
«Credo che nel nostro futuro la cosa peggiore sia che i poveri siano sempre più poveri e i ricchi siano sempre più ricchi e con il controllo delle macchine. Non temo, come qualcuno, un futuro con dei Terminator che ci distruggeranno perché saranno diventati migliori di noi, non è questo lo scenario peggiore: le macchine ci migliorano la vita e ci rendono più forti, ma il rischio è che i sistemi umani siano sovralimentati dall’intelligenza artificiale e che tutti i nostri vizi e tutto ciò che non funziona adesso si acuisca».
Quindi dovrà cambiare il concetto di crescita e di lavoro?
«Sì. Non più un lavoro che sia sinonimo di fatica, ma uno sforzo legato alla conoscenza, alla nostra vita e al senso dell’esistenza. Questi sono anche interrogativi filosofici che dovremo affrontare presto».
Cosa consiglierebbe oggi a un giovane studente?
«Gli consiglierei di studiare informatica e i computer, in modo da capire come funzionano le macchine. Ma sicuramente gli suggerirei di seguire le sue passioni più forti, le cose che veramente lo interessano. Con internet e i corsi on line, si può imparare qualsiasi cosa vogliamo, quindi l’importante è avere una passione».