Michele Sasso, D, Lui, la Repubblica 26/11/2016, 26 novembre 2016
STORIE DI VITA SUI TIR
Visto da questa parte, in cabina, il mondo dei tir è diverso. Seduti a due metri di altezza ci sono camionisti che macinano migliaia di chilometri per dovere o passione. C’è chi lo fa perché non ha alternative, chi non ne può più di guidare e chi prova a vivere una vita “normale”. Sempre sulla strada. Partire, andare e tornare. La fatica, il sonno in agguato. Gli incidenti e i conti che non tornano.
«Inizi per amore della guida e finisci che non ne puoi più», raccontano quasi tutti in questo nostro reportage italiano. Quello che mangiamo, indossiamo, consumiamo ci viene recapitato grazie al loro lavoro. Bancali, scatoloni, pacchi. L’economia che rallenta costringe gli autisti ad accelerare: più consegne, più ore al volante, più pericoli. Per rientrare nelle spese imposte da un mondo sempre più interconnesso. I mobili prodotti in Italia partono per la Germania per essere montati, poi tornano nei nostri confini per essere venduti, le mele della Val di Non finiscono in Libia, le primizie di stagione della Sicilia arrivano fino ai mercati di Germania e Francia. Perfino la paglia per i conigli è importata. Vino, libri, elettrodomestici: online si compra in un attimo, poi qualcuno lo deve consegnare. Dell’idea romantica on the road, delle trattorie dove si mangia a buon mercato, non è rimasto quasi nulla. Fatica e guida, guida e fatica. Un mondo al limite dello sfruttamento.
Francesco ha 62 anni e da 42 “cavalca” il suo bestione. Solo tre anni fa ha potuto permettersi un tir tutto suo, firmando cambiali su cambiali. Lo incontriamo all’autoparco di Brescia fast, un’area da 173mila metri quadri pensati ad hoc per gli autotrasportatori: un’officina, piazzole di sosta, lavaggio, ristorante, palestra, bar, piazzette esterne con ombrelloni, tavoli e docce. «È sempre stato un lavoro duro, ma ora è perfino peggiorato. Come mi sento? Dopo tanti anni le ginocchia fanno male», spiega Francesco mentre lava la sua cisterna. È una professione usurante, ma non c’è nessuno sconto per l’età da pensione. I camionisti non dichiarano i loro malesseri e le malattie tipiche proliferano: ernie, apnee notturne, obesità, infarti, lesioni alla colonna vertebrale. Dolori al collo, gambe e braccia diventano compagni di viaggio. Nei gironi infernali del trasporto i dannati delle tratte lunghe stanno in giro anche settimane. Un problema che su strada si traduce in un rischio: il 15% degli incidenti è provocato dal cattivo stato di salute del conducente. Le regole prevedono 9 ore di guida al massimo al giorno. Con soste obbligatorie di quarantacinque minuti ogni 4 ore e mezza. Il limite non è però rigido: in 2 settimane consecutive non si devono superare 90 ore. I controlli sono rari e li può fare solo la polizia stradale. E in tanti scelgono di rischiare: c’è chi confessa di aver guidato fino a 30 ore, facendo solo brevi stop e mangiando al volante. Qualcuno per non addormentarsi ha iniziato a sniffare cocaina, altri assumono anfetamine. Altri hanno smesso questo tour de force, ma ammettono che in passato, quando non c’era l’apparecchio a bordo che registrava velocità e soste «o facevi così o stavi a casa». Magari hanno trovato lavoro in aziende più grandi, dove i turni sono meno massacranti e pericolosi.
Nicola è uno di loro. Ha 48 anni, due ernie alla schiena e 8 mesi di malattia: «Ora faccio solo trasporti giornalieri e la sera torno dalla famiglia. Ho provato in passato a fare l’operaio, ma non andavo d’accordo con il caporeparto. Qui sono io il padrone e quando guido ho tanto tempo per pensare». Pensare alla puntualità della consegna, mentre si macina strada. «I camionisti non sono uomini, sono muli. Non sanno fare i conti ma sono bravi a fare chilometri», racconta amaramente Claudio: «Il guadagno per chilometro è di 90 centesimi, ma tra costo del gasolio, pedaggi autostradali, assicurazione e manutenzione è dura stare dentro le spese». E se un tempo si arrivava a 5-6 milioni di lire al mese, oggi gli stipendi si sono “asciugati” ad appena 2 mila euro.
BUSINESS SU GOMMA
Eppure in Italia l’85% delle merci viaggia ancora su gomma: ogni giorno sterminate processioni di tir si mettono in marcia. Un’unica colonna da Reggio Calabria a Milano e verso i confini. Carovane che sono una sorgente di guadagni: il giro d’affari del settore supera gli 80 miliardi di euro l’anno. Una torta divisa tra quasi 100mila società.
I gruppi più grandi per massimizzare i profitti hanno aperto filiali in Romania, Polonia, Slovacchia con autisti pagati al massimo 800-900 euro al mese (contro una base contrattuale italiana di 1.500 più le trasferte). La “cinesizzazione” del mestiere ha il volto di ucraini, romeni, polacchi che vivono a bordo dei camion per settimane e sono disposti a stipendi inaccettabili per gli standard e le regole europee. Abbiamo anche incontrato un marito e una moglie di Bucarest, entrambi autisti: hanno unito passione e lavoro, in una cabina di 6 metri quadrati.
Ci sono poi i “padroncini”: la loro impresa è il mezzo che guidano. Con i furgoni carichi di tonnellate di roba, consegnano le merci al dettaglio, nell’ultimo miglio dal tir al consumatore. Per loro le regole di viaggio dei grossi autocarri non valgono: lavorano in conto terzi e devono correre il più possibile. E possono coprire distanze come da Rotterdam a Napoli, senza incappare in nessuna sanzione.
«È una vita di merda», dice senza peli sulla lingua Daniel, 35 anni, romeno. «In Italia si pagano 700 euro di affitto, per guadagnarne, con tutti i sacrifici che facciamo, appena il triplo». Tutto è all’insegna del risparmio, anche il pranzo. Nella piazzola, tra le motrici, ha apparecchiato il suo tavolino: due pomodori, qualche fetta di pane, sottaceti. Quando non è al volante del camion, guida il suo furgone e carica persone e pacchi sulla tratta Italia-Romania. Tantissimi autisti vengono da quel paese, dove lo stipendio “italiano” di 2mila euro al mese è un ottimo stipendio. Anche Stefan è di Bucarest, ha 33 anni e da 12 si alterna con il fratello alla guida. Lo incontriamo in un’area di sosta vicino al Brennero. «Passo due mesi in giro tra Germania e Italia, alternati a 45 giorni di riposo. È dura stare tanto tempo lontano dai miei figli. La mia ex moglie non sopportava questa vita e mi ha piantato. È dura ma dobbiamo lavorare». La cabina è la sua vera casa: camera da letto, bagno e cucina insieme. Il sapone si confonde tra le uova e le bottiglie di Coca Cola.
L’UBER DELLE CONSEGNE
L’area di sosta è una zona franca dove vale tutto: scambi di informazioni, pranzi veloci durante il rifornimento di carburante, sesso gratuito o a pagamento. Qualcuno fa il bucato e lo stende dove può. Per Alexander è il posto dove allenarsi. Trentasette anni, ex cuoco, sembra un istruttore di fitness. Lo seguiamo nella tratta giornaliera tra Trentino Alto Adige e Monaco di Baviera: andata e ritorno in 10 ore. Dopo 90 minuti al volante si ferma a fare esercizi: corda, flessioni, pesi sollevando il cric. «Ogni appiglio è perfetto per allenarsi. Sono come un bambino, non resisto», spiega indicando tutti gli “attrezzi” che si è inventato in mancanza di una palestra. Dopo altri 45 minuti di allenamento, al Brennero, cambia la maglietta e mangia il suo pranzo vegano. Alexander è nel ristretto club dei truck driver salutisti, rispetto ai colleghi in sovrappeso abbrutiti dal lavoro e da pranzi non proprio stellati. Nonostante 40 ore di guida a settimana, la passione è intatta: «Mi piace la prospettiva che godiamo da quassù. Quando si alza il sole, oltre i monti, è meraviglioso». Lui lavora per il colosso Fercam: quartier generale a Bolzano, tanta tecnologia dietro il fattore umano. Da qui l’Europa è un immenso reticolo di merci, colli e spedizioni. Trecento autisti, 1800 dipendenti assicurano 300mila viaggi all’anno e oltre 4 milioni di spedizioni: abbigliamento made in Italy, componenti per auto, carta, composti chimici e mobili. Un pc a bordo geolocalizza l’autotreno e comunica agli autisti l’indirizzo di carico e scarico. In passato erano un incubo questi tempi morti, oggi in pochi minuti si sgancia un carico e se ne prende un altro. Ovunque: non c’è più bisogno di capannoni e aree soste. Una specie di “Uber delle consegne”, dove il mezzo più vicino carica la merce. I viaggi vengono programmati da un software che incrocia le esigenze di trasporto, la capacità del mezzo e i chilometri percorribili. Alle porte di Monaco incrociamo un altro autista, Jan, arriva dalla Slovacchia. Nella piazzola Alexander sgancia il suo rimorchio con tubi in ferro destinati alla Germania e aggancia un carico di polvere di sapone solubile per Ravenna. Uno continua verso nord e l’altro verso sud. In soli 11 minuti il passaggio è completo. E non serve neppure scambiarsi una parola. Il computer di bordo ha comunicato già tutto il necessario. Gli uomini e i loro tir possono riprendere il viaggio.