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 2016  dicembre 02 Venerdì calendario

IL GIORNO IN CUI JOBS MI CHIAMÒ– [Bryan Thompson] Nel 2010, quando gli dissero che Steve Jobs in persona desiderava incontrarlo per i parlare del suo lavoro, il designer americano Bryan Thompson stentò a crederci: il numero uno della Apple, a capo di quello che era già un impero, voleva provare la V Car, un prototipo di utilitaria dal costo non superiore ai 14 mila dollari, leggera e realizzata con materiali avanzati

IL GIORNO IN CUI JOBS MI CHIAMÒ– [Bryan Thompson] Nel 2010, quando gli dissero che Steve Jobs in persona desiderava incontrarlo per i parlare del suo lavoro, il designer americano Bryan Thompson stentò a crederci: il numero uno della Apple, a capo di quello che era già un impero, voleva provare la V Car, un prototipo di utilitaria dal costo non superiore ai 14 mila dollari, leggera e realizzata con materiali avanzati. Sei anni dopo, cinque dalla morte del geniale imprenditore, quella stessa vettura si trova nel portafoglio della società di gestione fondi LCV Capital Management, intenzionata ad avviare una produzione italiana di “veicoli innovativi”. Thompson non fa più parte del progetto, ma quell’incontro a Palo Alto se lo ricorda benissimo, a maggior ragione dopo l’esplosione delle voci sulla famigerata Apple Car, l’auto della Mela ipotizzata da tutti e confermata da nessuno. Tanto meno da Cupertino. Bryan Thompson, com’è diventato un designer di automobili? «Sono nato a Phoenix, per qualche anno ho studiato architettura all’Arizona State University, ma odiavo la materia: così, nel 1995 mi sono trasferito in Francia. Avevo pochissimi soldi, dormivo nella roulotte di un meccanico e prendevo treni per tutta Europa, cercando di capire come diventare un car designer. Sono stato anche a Torino, nel centro stile Fiat, dove ho incontrato il responsabile Peter Davis (oggi chief designer della Tata Technologies, ndr): l’ho aspettato nella lobby con un piccolo portfolio di schizzi. Mi ha detto che ero giovane, ma che avevo talento. Siamo diventati amici. Seguendo i suoi consigli, mi sono laureato al College for Creative Studies di Detroit. Poi, nel 1999, sono andato a San Diego, alla Nissan Design America. Era un grande studio, incoraggiavano i designer ad avere i propri clienti. Finché non si trattava di auto, potevamo fare tutto: un caso unico nell’automotive. Nel 2003, ho aperto la mia società di consulenza. E nel 2009 ho deciso di diventare un designer indipendente». Parliamo della V Car... «La startup V-Vehicle e il progetto V Car sono nati nel 2008, finanziati da investitori della Silicon Valley, tra cui Google Ventures e Kleiner Perkins. Ero il lead designer, sotto la direzione di Tom Matano». Qual era l’obiettivo della V-Vehicle? «Volevamo realizzare una moderna Model T, economica, sicura, adatta al mercato di massa. Un’automobile eccellente e innovativa. Non era una show car: siamo arrivati a fabbricare i componenti, a costruire veri prototipi». Com’era fatta la V Car? «Il progetto prevedeva un telaio space frame di acciaio, una carrozzeria di materiali compositi (polipropilene, fibre di vetro, microsfere di vetro), un motore a benzina e interni di fibra di legno, molto utilizzata nell’industria automotive, ma spesso coperta, nascosta. Non era di plastica, era un’auto vera». E Jobs? «L’ho incontrato nel 2010. Vivevo a San Diego, ma volavo ovunque per mostrare la V Car a potenziali investitori. Per me era normale: ho presentato un prototipo anche al governatore della Louisiana. Il progetto coinvolgeva molte persone, esperti e luminari con numerosi contatti e un bel giro: alcuni di loro hanno avvicinato Jobs e lui si è incuriosito. Una mattina ho ricevuto una telefonata: il boss della Apple mi stava aspettando a casa sua, a Palo Alto. Ho preso subito l’aereo». Com’è stato l’incontro? «Un’esperienza fantastica. Siamo arrivati e la V Car era già lì, nel vialetto d’entrata, pronta per essere guidata. Io e Steve abbiamo parlato dell’auto, prima camminandole attorno, poi seduti all’interno. Lui ha scelto il sedile del guidatore». Jobs le ha dato consigli? «Sì, ed è stato davvero cortese. Si è concentrato sui materiali e sulla semplicità del design. Aveva delle idee molto apprezzabili su come nobilitare la plastica, utilizzatissima nell’automotive ma spesso “travestita” da qualcos’altro. Gli piacevano l’integrità e l’onestà della fibra di legno in bella vista. Voleva che la plastica avesse la stessa schiettezza. Siamo anche entrati nel dettaglio della radio e della console centrale: Steve pensava alla qualità, a come le linee dovessero intersecarsi tra loro. Non si occupava di auto, ma era la massima autorità del product design: io stavo zitto e lo ascoltavo». È servito? «Assolutamente. Subito dopo l’incontro, sull’aereo per San Diego, ho ridisegnato gli interni della V Car basandomi proprio sugli input di Jobs. Ho trascorso con lui soltanto un pomeriggio, ma quello che mi ha detto ha segnato definitivamente la mia vita professionale». Le è sembrato che Jobs volesse realizzare un’auto? Oggi non si fa altro che parlare della Apple Car... «Non ho avuto questa sensazione, semmai che fosse un vero appassionato di automobili. Aveva un sacco di idee sul futuro del car design. Se avesse seguito questa strada, avrebbe sicuramente creato un oggetto rivoluzionario: una vettura dalle linee molto semplici e pulite, magari autonoma, in grado di migliorare la vita dei suoi proprietari». Pensa che la Apple sia davvero interessata a produrre un’automobile? «Non lo so. Quel che so è che l’industria sta per andare incontro a una trasformazione di proporzioni enormi. L’innovazione e la tecnologia cambieranno il modo in cui si fanno e si commercializzano le auto: alcuni costruttori sono pronti, altri potrebbero essere colti alla sprovvista e scomparire. È già successo in altri settori, con veri e propri colossi crollati in poco tempo. Basta pensare al destino della Blockbuster». La V Car oggi appartiene alla LCV Capital Management... «Dopo aver cambiato nome in Next Autoworks, nel 2011 la nostra startup ha chiuso i battenti. Nel 2014 la LCV ci ha visto del potenziale, poi ha comprato gli asset aziendali, il progetto e i prototipi della V Car. Dopo l’acquisto, la società mi ha contattato e convocato in Italia». Per fare che cosa? «La V Car era stata sviluppata per il mercato americano, doveva essere adattata ai gusti europei. In Italia i responsabili della LCV sono stati molto gentili, ma non abbiamo preso impegni formali. Poi, circa un anno fa, i contatti si sono interrotti. Non so se stiano ancora lavorando sulla V Car: adesso vivo a Los Angeles, seguo altri clienti e progetti, ma l’iniziativa mi incuriosisce molto. Soprattutto, mi piacerebbe sapere dove si trova il prototipo principale che avevamo realizzato con la Next Autoworks. Io lo trovo ancora bellissimo». Torniamo alla Apple Car. Toccasse a lei, come la svilupperebbe? «Credo che la immaginerei come una nuova forma di trasporto». Quindi, come saranno le auto del futuro? «I designer guardano avanti. È un periodo di enormi trasformazioni tecnologiche, culturali ed estetiche, possiamo fare cose impensabili fino a pochi anni fa. La stessa natura dell’automobile andrà incontro a mutazioni continue. La guida autonoma cambierà il modo in cui ci relazioniamo con i veicoli, modificando anche le forme alle quali siamo abituati da decenni. Lo vediamo già negli interni delle prime concept, con i sedili rivolti all’indietro: c’è bisogno di spazio all’altezza del montante anteriore e questo cambia tutte le proporzioni, sembra quasi furniture design. D’altronde, in futuro l’automobile e la casa avranno sempre più cose in comune».