Stefano Cieri, La Gazzetta dello Sport 2/12/2016, 2 dicembre 2016
MAESTRELLI QUARANT’ANNI DOPO
Per tutti, quarant’anni dopo la sua prematura e tragica scomparsa, resta semplicemente il Maestro. Abbreviazione del cognome, certo, ma soprattutto doveroso tributo a un uomo unico dalla storia unica. Tommaso Maestrelli, il «padre» buono di una Lazio di pazzi. Talmente pazzi da vincere uno scudetto contro ogni logica. Pazzi lucidissimi, però. Ma solo perché guidati da un uomo straordinario, capace di trasformare in oro il talento fuori dalle righe e dagli schemi dei suoi giocatori.
UN UOMO Un grande uomo, non un semplice, per quanto bravissimo, allenatore. Ed è per questo che quarant’anni dopo la sua storia è più viva che mai. Nitida nei ricordi non solo di chi ebbe la fortuna di percorrere insieme con lui quelle vicende; ma anche di chi non c’era, di chi è venuto dopo, di chi Maestrelli lo ha conosciuto attraverso sbiadite immagini in bianco e nero o foto ingiallite. Per i laziali sarà per sempre un’icona immortale. Ma la grandezza di Maestrelli sta nell’essersi fatto apprezzare, ammirare e seguire anche da tanti che la sua squadra – la Lazio – non l’avevano nel cuore.
TRIONFO E TRAGEDIA T come Tommaso, il figlio del ferroviere che diventa prima un calciatore di buon livello e poi un grandissimo tecnico. T come trionfo, lo scudetto incredibile vinto con la Lazio nel 1974. Ma anche T come tragedia, con quel male incurabile e inesorabile che lo portò via appena due anni e mezzo dopo il tricolore vinto. E qualche mese dopo una salvezza strappata dalla Lazio solo grazie al suo ritorno in panchina, nonostante quel male avesse già preso il sopravvento. «Nella sua storia c’erano tutti i canoni della tragedia greca classica. Realizzare una piece teatrale su di lui è stato quindi al tempo stesso semplicissimo e complicatissimo». Giorgio Serafini Prosperi è l’autore e regista teatrale che due anni fa mise in scena «Tommaso Maestrelli, l’ultima partita», spettacolo riuscitissimo e commovente sul dramma del tecnico. «Nell’opera di ricostruzione della sua vita e delle sue gesta ho raccolto tanti aneddoti, tante storie piccole e grandi. Hanno tutte un comune denominatore: la sua straordinaria umanità. Ho parlato con quasi tutti i suoi giocatori: non ce n’è stato uno che non sia scoppiato a piangere parlando di lui. Credo che questo dica tutto su chi fosse Tommaso Maestrelli».
MODERNO Un uomo con la maiuscola, ma anche un allenatore straordinario. «E soprattutto moderno – ricorda Felice Pulici, il portiere di quella Lazio scudettata –. Fu lui a portare in Italia il calcio totale che in quegli anni spopolava in Olanda. E il nostro era ancora più offensivo di quello degli olandesi». Moderno dal punto di vista tattico e non solo. «Oggi si dice che i bravi allenatori debbano essere anche fini psicologi. Lui lo capì con quarant’anni di anticipo. Con alcuni, tipo me, bastava uno sguardo giusto al momento giusto. Con altri, come Giorgio Chinaglia, doveva invece sempre parlare. Aveva un atteggiamento diverso e sempre azzeccato per ognuno di noi».
SEMPRE PRESENTE Per i giocatori era una sorta di papà buono e comprensivo, ma anche esigente e carismatico. Era così pure con i suoi figli, Patrizia e Tiziana e poi i gemelli Massimo e Maurizio. Due di loro, Patrizia e Maurizio non ci sono più, segnati pure loro dallo stesso destino crudele del padre. «Sono passati tanti anni – ricorda Massimo – ma è come se babbo fosse sempre qui. Io ero ancora piccolo quando è scomparso, molte cose su di lui le ho scoperte dopo e continuo a scoprirle dopo tanti anni. La più bella? I sorrisi delle persone quando scoprono che sono suo figlio. Quei sorrisi contano più di tante parole e mi confermano, anche se non ce n’è bisogno, quanto fosse grande mio padre». Oggi, a Tor di Quinto, teatro dei mitici allenamenti di quella Lazio degli anni 70 (con le sfide all’ultimo respiro tra le due anime dello spogliatoio) Maestrelli sarà ricordato nel giorno del 40° anniversario della morte. E sarà presentato il francobollo speciale emesso da Poste italiane per ricordare l’allenatore. Un francobollo. Chissà come l’avrebbe presa il Maestro, così schivo e proprio per questo ancora più grande.