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 2016  dicembre 01 Giovedì calendario

LA LEGGE CI VIETA DI SAPERE CHI INVESTE PER IL SI’

Con un flusso di denaro che incrocia il comitato nazionale Basta un Sì, il partito centrale, le donazioni private e i fondi parlamentari, il Pd ha smosso milioni di euro per vincere il referendum. Milioni che, a leggere i bilanci, non esistono: l’ultimo esercizio s’è chiuso con 700.000 euro di utile.
Il comitato ha raccolto 500.000 euro di euro dai militanti e altri 500.000 euro li incasserà l’anno prossimo con il rimborso previsto dalla raccolta delle altrettanto 500.000 firme, missione compiuta con il necessario contributo della Coldiretti, a sua volta ricompensata con una norma nella legge di Stabilità (abolizione dell’Irpef agricola).
I gruppi di Camera e Senato hanno versato un milione di euro, mentre il tesoriere Francesco Bonifazi – secondo una stima che circolava fra i vertici dem – ha stanziato in capo al Nazareno circa 4 milioni di euro. Totale: 6 milioni. Fra entrate e uscite, i conti non tornano. Perché mancano i capitali versati dagli imprenditori, oltre al caso conclamato di Davide Serra (l’unico finora ad aver rivelato l’impegno) e degli uomini d’affari mobilitati per finanziare la campagna elettorale referendaria.
Soltanto per spedire 2,5 milioni di lettere agli italiani all’estero e 16 milioni di volantini agli italiani in patria, il Nazareno ha speso 7-8 milioni di euro. Come ha svelato il Fatto, per la propaganda nazionale arrivata nelle cassette postali, il Pd ha affidato la commessa a Nexive, una società italiana della multinazionale olandese Tnt, guidata da Milano da Luca Palermo, a lungo cliente di Tiziano Renzi, il papà di Matteo, ai tempi di Chil Post. Proprio la deposizione di Palermo ha aiutato Tiziano a superare indenne con un proscioglimento l’inchiesta per bancarotta fraudolenta di Genova. Contattate martedì pomeriggio, fonti ufficiali di Poste hanno confermato di aver contribuito a stampare una quota dei 16 milioni di volantini assieme ai concorrenti privati di Nexive e anche a un tipografo calabrese, ma hanno negato di aver consegnato le buste del Sì agli italiani. Ieri, però, gli impiegati di Poste con la pettorina di ordinanza hanno recapitato i volantini. Le lettere sono smistate con il servizio “Postal Target Creative” (30 centesimi a busta). Forse l’azienda quotata in Borsa ha cercato di fuggire da una scontata polemica, dopo che il Fatto ha scoperto che per le lettere agli italiani all’estero era stata applicata una tariffa inferiore rispetto a quella di mercato.
Oltre ai 400.000 euro del compenso di Jim Messina, lo stratega della comunicazione emigrato dagli Stati Uniti per aiutare Matteo Renzi a rientrare in contatto con gli italiani senza suscitare irritazione, il Pd ha sborsato almeno mezzo milione di euro per le pubblicità sui manifesti, sugli autobus, su Facebook, Twitter e un milione per la manifestazione di piazza del Popolo, di cui 100.000 per il noleggio di quattro aerei charter, due dalla Sicilia e due dalla Sardegna con andata e ritorno in giornata e parcheggio oneroso a Fiumicino.
Quello che sfugge da un computo empirico di questi giorni e che sfuggirà anche ai documenti pubblici sono le donazioni private fra i 5.000 e i 100.000 euro coperte dalla privacy. Perché la legge sui partiti del 2014, generata dal governo di Enrico Letta e approvata dal Parlamento con Renzi a Palazzo Chigi, ha introdotto una scappatoia: se il denaro è tracciato – cioè non in nero – il partito può evitare di rendere noto il nome se il donatore non rilascia il consenso al trattamento dei suoi dati personali.
Il concetto è spiegato dal bilancio del Nazareno, che s’avvale con frequenza di questa comoda norma: “Si segnala che, ai sensi della legge n. 13/2014, art. 5 comma 3, sono stati inseriti nel fascicolo del presente rendiconto pubblicato nel sito Internet del Pd, soltanto i nominativi dei soggetti eroganti che, ad oggi, hanno rilasciato il facoltativo consenso previsto dagli articoli 22, comma 12, e 23, comma 4, del codice in materia di protezione dei dati personali, di cui al decreto legislativo 30 giugno 2003, n. 196”. In numeri vuol dire che centinaia di migliaia di euro ricevuti dal Nazareno sono di provenienza ignota. Il Pd dichiara quasi 7,2 milioni di euro ottenuti dai parlamentari, circa 1,8 milioni da altri e non li rendiconta tutti. E il bilancio si riferisce al 2015, un anno senza elezioni nazionali e, di certo, meno dispendioso e imponente di questo sul referendum.
Se il Sì dovesse vincere, gli italiani non potranno mai sapere chi sono i generosi finanziatori che hanno reso possibile cambiare la Costituzione. E chi dona decine di migliaia di euro a un partito nel momento del bisogno, poi, si aspetta di essere ricambiato con altrettanta generosità