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 2016  novembre 26 Sabato calendario

HO FATTO TUTTO IO!


Ad Andy Murray è andata ancora bene. Pare che Kara Mbodji, giocatore dell’Anderlecht, non abbia sposato l’avvenente modella Lissa Thiam per la fiera opposizione della mamma: «Non farlo, non è una buona moglie». La signora Judy, invece, si è limitata tutt’al più a urlare per un rovescio troppo largo o a dare la propria approvazione agli allenatori del figlio, il nuovo numero uno del tennis. Della Mauresmo si è detta una grande ammiratrice, e subito la regina di Wimbledon 2006 fu ingaggiata. Del resto, mamma Murray ha una certa competenza sul tema. Personaggio debordante (ha partecipato al Ballando con le stelle brit) e iper-social (in sei anni ha spedito più di 20mila tweet), è stata la prima maestra di Andy e del fratello Jamie, campione di doppio. Altri coach si sono poi succeduti alla corte di Scozia (oggi c’è Ivan Lendl), ma Judy è rimasta sempre la figura di riferimento. Come un ombrello protettivo sulla carriera dei figli.
La relazione mamma coach-figlio campione non è un inedito. Nell’atletica, ha fatto storia il rapporto tra Renée Felton, ostacolista di origini caraibiche, e l’allievo Andrew Howe, figlio e primatista italiano nel salto in lungo. Nel calcio, hanno colpito le parole di Jorginho, centrocampista del Napoli: «Mia madre Maria Teresa era una calciatrice e quando ero piccolo mi portava sulla spiaggia di Imbituba per allenare la tecnica».
Judy Murray, però, è andata oltre. Con il suo protagonismo, ha mostrato ai quattro angoli della rete l’archetipo della mamma onnipresente: dagli ace in salotto, al brindisi sul jet privato per il primo posto nel ranking.
Chi ha scomodato la teoria del complesso di Edipo potrebbe essere tentato di cercare conferme anche nelle parole di Michael Phelps: «Mamma Debbie è l’unica vera donna della mia vita», ha detto nel 2012 l’olimpionico più titolato di sempre. La storia del fenomeno di Baltimora è un bell’esempio di come una madre, non necessariamente allenatrice, possa influire nella carriera del figlio. Non solo mettendolo al mondo, ma anche crescendolo dopo un divorzio e accompagnandolo in piscina come terapia per l’iperattivismo. Da allora, mamma Debbie non si è persa una gara, occupando per scaramanzia sempre lo stesso posto durante l’intero evento. A Pechino 2008, Phelps non ebbe così alcuna difficoltà a individuarla per lanciarle i fiori dopo ogni oro (e furono 8).
«La mia camera d’albergo sembra il negozio di un fioraio», disse lei. Michael fu più tenero: «Grazie a mia madre per come mi ha cresciuto, per tutte le calorie che mi ha fatto mangiare. È l’unica persona che mi ha fatto piangere».
In tema di discorsi strappalacrime, la palma del migliore spetta a Kevin Durant che, alla consegna del premio di miglior giocatore della stagione 2013-14, si rivolse in lacrime a mamma Wanda: «Il vero mvp sei tu». Anche se poi il più “mammone” della Nba è forse il rivale LeBron James. La madre Gloria è già diventata una leggenda per aver cresciuto da sola il Prescelto, avuto all’età di 16 anni. LeBron non ha mai dimenticato l’infanzia, trascorsa tra mille difficoltà economiche. E anche adesso che il conto in banca straripa, ha parole al miele per la mamma-tifosa: «Sei la mia campionessa».
Lo schema della single mother che supera più fatiche di Ercole e alleva la nuova stella dello sport è un classico della cultura statunitense. Linda Armstrong ci ha fatto addirittura un libro, raccontando di come lei, ragazzina di 17 anni, sia rimasta incinta di Lance e quindi cacciata di casa. Arrabattandosi tra i lavori più disparati, è riuscita comunque a far crescere il futuro vincitore di sette Tour de France. Molti sospettano che la biografia sia una generosa mitizzazione, e il titolo è un indizio: Nessuna montagna è troppo alta. Resta il fatto che Linda è stata una figura centrale nella vita di uno dei più grandi ciclisti, prima, e del più grande truffatore, poi. Anche la signora Dolores Aveiro scrive libri con titoli importanti: Madre Coraje tra le pagine spiega dell’infanzia in orfanotrofio, della dipendenza dall’alcol del marito, della lotta contro il cancro al seno e della volontà di abortire il quarto figlio. La convinsero del contrario, così venne alla luce Cristiano Ronaldo. Il tre volte Pallone d’oro ha un rapporto strettissimo con la madre: le deve il nome (Ronaldo dal presidente Usa Ronald Reagan), qualche sgridata da piccolo e un sostegno sconfinato. Non è un caso che l’ex cuoca di Funchal compaia nelle foto di rito a ogni rinnovo di contratto.
Meno presenzialiste, ma non meno fondamentali le mamme italiane. Gregorio Paltrinieri non ha mai nascosto il suo legame profondo con mamma Lorena: «Molto di ciò che sono oggi lo devo a lei», ha detto l’oro olimpico nei 1.500 sl. Prima di Rio, il Greg nazionale è stato anche protagonista di un tenero spot intitolato Grazie di cuore, mamma. Una curiosità: Lorena è sempre presente in tribuna, ma non sa nuotare e ha il terrore dell’acqua. Tutto il contrario della signora Santina che, quando il figlio ha compiuto 17 anni, gli ha messo in mano il primo fucile e trasmesso la passione per il tiro a volo. Così è nata la leggenda di Giovanni Pellielo, quattro medaglie olimpiche nella fossa e orgoglioso “mammone”. Ancora adesso, i due vanno a caccia insieme, ma mamma Santina rifiuta di assistere agli incontri: «Dice che devo cavarmela da solo», spiega Johnny a 46 anni.
Ci sono mamme-star, come Dionesia Pacquiao che, grazie alla fama del figlio Manny, il fortissimo pugile filippino, è passata dalla povertà a ruoli in film e show televisivi. Donna molto religiosa, ha avuto un forte influsso sulla carriera di Pacman: «Le ho chiesto se posso combattere ancora una volta e ha detto sì», ha spiegato lui nel 2010. Dal 2009 (prima era troppo spaventata) segue dal vivo, e pregando, i match del figlio. Lo fa in maniera teatrale: una volta, è stata pizzicata a lanciare fatture a un avversario.
E poi ci sono le mamme-angelo: Deborah fece da scudo con il suo corpo al figlio Gabe York, ex cestista di Cremona, quando lui aveva 18 anni e rimasero coinvolti in un incidente stradale. Ne uscirono entrambi indenni e fu un miracolo. Anche Fernando Alonso in marzo ha avuto un brutto incidente (senza conseguenze) sulla pista di Melbourne. Indovinate a chi è andato l’unico pensiero durante il tremendo impatto...