Marco Oliva, Oggi 1/12/2016, 1 dicembre 2016
NESSUN MURO DI CARCERE PUÒ SPEGNERE IL MIO AMORE PER ROSA
A dieci anni esatti dalla strage di Erba, Olindo Romano, 54 anni e Rosa Bazzi, 43, sono pronti a chiedere i primi permessi premio per buona condotta. «Mi piacerebbe avere la libertà di stare solo con Rosa per farci un giro in camper», scrive Olindo dal carcere di Opera in una lettera che pubblichiamo in esclusiva. Sono passati, infatti, dieci anni da quel drammatico 11 dicembre 2006 quando nella villetta di via Diaz a Erba vennero massacrati Raffaella Castagna, il figlio di 2 anni Youssef, la madre Paola Galli e la vicina Valeria Cherubini. Per quel delitto, il 3 maggio 2011 sono stati condannati in via definitiva all’ergastolo Rosa e Olindo, i vicini di casa.
Contro questa verità che la giustizia italiana ci ha consegnato, i due coniugi da tempo hanno deciso di ribellarsi pur avendo in un primo momento entrambi confessato il delitto, salvo poi ritrattare. E così da oltre un anno presso la redazione della trasmissione di cronaca che conduco su Telelombardia, Iceberg, sono destinatario di numerose lettere con cui i coniugi Romano chiedono a gran voce che il caso venga riaperto grazie alla revisione del processo. Fabio Schembri, avvocato della difesa, e i suoi collaboratori da anni lottano al fianco di Rosa e Olindo nella speranza di scrivere un altro finale a questa vicenda giudiziaria, consapevoli che molte prove raccolte sulla scena del delitto all’epoca dei fatti non vennero mai analizzate e oggi potrebbero raccontare una verità diversa.
«Non me la sto passando bene, visto che mi sto facendo la galera da innocente, però mi faccio forza perché tanto sono sicuro che prima o poi questo incubo finirà». Comincia così lo sfogo di Olindo nella missiva che ho ricevuto dal carcere pochi giorni prima del decimo anniversario della strage.
«Quel giorno lo ricordo come un giorno normale», scrive, «lavoro, casa, Rosa, Mc Donald, niente di eccezionale finché al nostro rientro abbiamo trovato quella situazione di ambulanze, pompieri e carabinieri nel cortile. Dei giorni successivi ricordo l’assedio dei giornalisti e la presenza dei carabinieri che ci aiutavano, poi dissero che ci avrebbero portati in un luogo sicuro, lontano dai cronisti e invece ci abbandonarono in carcere: lì è stato un dramma e l’inizio del nostro calvario».
È molto lucido Olindo nel ripercorrere quello che definisce un «incubo che dura da dieci anni» e nel ribadire, ancora una volta, come sia lui sia Rosa abbiano confessato «con la speranza che sarebbe finito tutto il più presto possibile» e che sarebbero tornati presto a casa.
Ma così non è stato e ora la parola “ergastolo” pesa come un macigno. Anche se la speranza non si affievolisce. «Aspettiamo fiduciosi che vengano prese in considerazione prove mai analizzate per poi avere la revisione del processo», scrive, «sono innocente e non è bello stare in carcere ingiustamente».
«VORREI MANGIARE UNA PIZZA LUNGO IL LAGO...» Ma torniamo alla notizia clamorosa che Olindo mette nero su bianco in questa lettera: «Spero che io e Rosa possiamo avere i permessi premio così da vederci tranquillamente in santa pace come facevamo prima». Passati i dieci anni di detenzione, infatti, la difesa è ora pronta a chiedere i permessi per buona condotta e, se concessi, i due detenuti avrebbero la possibilità di uscire dal carcere per alcune ore. Olindo e Rosa, però, al momento non hanno più nemmeno un tetto visto che la loro casa di via Diaz è stata venduta da un po’ di tempo. Questo non sarebbe, comunque, un problema insormontabile, tanto è vero che Olindo propone una soluzione alternativa.
«Continuo a vedere Rosa tre volte al mese», prosegue, «ma sarebbe bello avere un permesso premio per stare da soli. Vorrei fare un giro in camper con lei e fermarci a mangiare una pizza lungo il lago. Il problema è che anche il camper ce l’hanno venduto, ma penso sia possibile noleggiarne uno, magari più bello di quello che avevamo. Chissà se il magistrato di sorveglianza ci darà l’ok, io ci proverò tanto so che dovrò poi rientrare in carcere».
Olindo, dunque, sembra disposto a tutto pur di rivedere la luce del sole e assaporare di nuovo la libertà di stare da solo con la sua amata Rosa, anche se per poche ore alla settimana. La lettera si chiude proprio con un rinnovata dichiarazione d’amore alla moglie: «Non è che fuori dal carcere avessi chissà cosa», conclude Olindo, «avevo una storia d’amore con Rosa e qualcuno ha cercato di farla finire. Questa storia, invece, si è rafforzata ed è questa la cosa più importante; quello tra me e Rosa è un amore che nessun muro di un carcere potrà mai interrompere».
Marco Oliva