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 2016  novembre 30 Mercoledì calendario

LETTERE SU UN’INTERVISTA MAI NATA


[Massimo Recalcati]

Gli ho chiesto un’intervista, non me l’ha concessa e, posso dirlo?, secondo me ha fatto bene. Il professor Massimo Recalcati è un grande pensatore, un grande psicanalista lacaniano, un accademico nazionale e pure un bell’uomo, un maudit, un maledetto, di scuro vestito e occhiali montati neri neri. Va molto forte. È una firmissima di Repubblica, sui grandi temi al bivio tra l’inconscio e il politico, tra il desiderio e l’eredità del padre, nel mentre che il figliolo resta comunque bloccato dal fantasma edipico. Raffinatezze tra Telemaco e Ulisse, lassù, dove un Roberto Saviano, per dire, mai potrebbe arrivare come, a suo tempo, un Umberto Galimberti, filosofo, peccato poi per quella fissa di copiare. Potrei intervistarla?, mi sono azzardato. «Domande scritte». E vedersi un attimo? «Solo domande scritte». Recalcati come un Obama e guardingo come un Putin. Sarà quel friccico di superego, mi sono detto, capisco. «L’argomento?». Oh, questo e quello. «Mandi!». Ho mandato. E venendo al punto. Era stato giovane e fiero rivoluzionario, il professore. Lotta continua. Come me. Colto. Molto più di me. M’ero imbattuto, riguardo a quel compagno, in un concetto importante uscitogli dal cuore, poi anche dal cranio, credo, un anno fa (leparoleelecose.it): «Per la mia generazione, l’angoscia stava nel rischio di essere integrati nel sistema». Urca: l’angoscia da integrazione! Eccolo il filo dell’intervista: l’avrà dunque superata, quell’angoscia? Glielo volli domandare citando un’annotazione di Andrea Minuz: «Recalcati è ovunque. In tv, nelle università, nei teatri, nelle aziende, nelle piazze, nei centri sociali e religiosi, in un numero incalcolabile di presentazione di libri, assieme a Gad Lerner per ricostruire l’immagine di Laura Boldrini».
Strano modo di pugnare con l’angoscia. Era appena passato da un personale trionfo nell’ultima Leopolda renziana, dove aveva ammonito dal palco: «C’è un insopportabile corteo di padri che non sanno imparare dai loro figli». E davvero lei pensa, professore, che imparare dal proprio figlio sia il segno distintivo della buona paternità? Perché si sarebbe forse potuto supporre, nel Telemaco diventato maestro di Ulisse, un cambio radicale della stessa lacaniana prospettiva. Poi 29 libri in 11 anni, e centinaia di articoli, conferenze, interventi, uniti alla recalcatica propensione a intervenire su tutto, da Pasolini a Winnicot, da Clint Eastwood a Medea, dalla Buona scuola alla scuola di Francoforte, fino a Hannah Arendt, Lars Von Trier, Conchita Wurst e Minnie, la fidanzata di Topolino, potevano regalare l’impressione, certamente sbagliata, di un monaco il quale, per sfuggire ai tentacoli capitalistici dell’integrazione, avesse scelto di rifugiarsi a Las Vegas invece che sul monte. Ma il soprassalto del compagno professor Recalcati è infine arrivato. Una semplice riga, via mail: «Mi dispiace, non rispondo, non ho tempo da perdere». Troppo giusto. La verginità era salva.
(Andrea Marcenaro)