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 2016  novembre 25 Venerdì calendario

DA CARAVAGGIO AL CANARO ROMA CAPOCCIA DELLA CRONACA NERA


L’innocenza cominciò cor prim’omo, e lì rimase. Scorrendo l’indice di Delitti e luoghi di Roma Criminale (Newton Compton, pp. 526, euro 12,90), fa da memento la folgorante frase del Belli, poeta che seppe dare al romanesco il suo respiro universale. Perché il libro di Mario Caprara, giornalista già autore di libri sul neofascismo nella Capitale, ci conduce lungo le strade impervie ma a loro modo fascinose di una città allacciata alla sua lunga storia di delitti.
Fin dalla fondazione, dopotutto: tra Romolo e Remo non è l’omicidio che decide? Da Giulio Cesare a Emanuela Orlandi, passando per Benvenuto Cellini e il “canaro” della Magliana, il volume è un gioco di incroci. Tra storia e cronaca, appunto, ma anche tra spazio e tempo, visto che a ogni crimine corrisponde il racconto del luogo in cui è maturato. Una guida alla città scandita dal metronomo di vittime e carnefici, senza distinzione di classe o censo ma con i moventi più diversi. Passione, denaro, potere, follia. La legge del desiderio, si direbbe, anima contraddittoria di una città che guarda al cielo di Dio ma dai vicoli dove le prostitute nei secoli hanno atteso alla libido dei pellegrini. Cinquantanove fatti di sangue raccontati col piglio della cronaca anche quando sono scritti nella Storia e sui sanpietrini. Quelli di Campo de’ Fiori, dove Giordano Bruno fu dato alle fiamme, o della vicina via del Pellegrino, dove secoli dopo finirà i suoi giorni il boss maglianino Enrico De Pedis, “sparato” tra decorazioni di Marie Vergini e medaglioni a rilievo sul selciato. Il centro dunque, ma anche le periferie. Lo sterrato di Ostia dove fu ammazzato Pasolini, e il palazzone del Collatino dove ha trovato la morte Luca Varani in quel tragico “chill out” di droghe ed eccessi.
Delitti un metro sotto al cielo, nella villa dell’Olgiata teatro dell’omicidio di Alberica Filo della Torre, ma anche nel sottosuolo, dov’è la stazione della metropolitana teatro della fine di Vanessa Russo, colpita dalla punta micidiale dell’ombrello di Doina Matei. Narrati e inchiodati alla terra, al quartiere e alle mura di una città dove perfino l’odio e la vendetta transitano pigramente. Quella Roma che per la penna caustica di Ennio Flaiano non sa condannare, ma solo assolvere.