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 2016  novembre 25 Venerdì calendario

L’ISOLA DESERTA (CHE NON C’ERA) SARÀ UN PARADISO


Da tre anni il Giappone è un po’ più grande: merito di un nuovo pezzo di terra, il più giovane del Pianeta, emerso dall’Oceano Pacifico. Questa piccola isola, da principio chiamata semplicemente Niijima (isola nuova), è nata alla fine del 2013 in seguito a un’imponente eruzione vulcanica sottomarina. Nel corso del 2014 però è cresciuta così tanto da attaccarsi alla vicina Nishinoshima (isola occidentale), che faceva parte dell’arcipelago delle Ogasawara, noto non solo per la sua bellezza ma anche per la ricchezza e varietà dei suoi ecosistemi. Nel 2014 le due terre unite avevano assunto una sagoma che ricordava quella del bracchetto dei Peanuts, tanto da essere soprannominate da scienziati e autorità Snoopy Island. Da allora però la continua attività vulcanica ha fatto sì che l’isola continuasse a espandersi, assumendo una forma ovale con il vulcano al centro.
La nuova Nishinoshima, con i suoi rispettabili 2,46 chilometri quadrati (più o meno le dimensioni di 345 campi di calcio), è attualmente quasi del tutto nuda roccia formata da lave di raffreddamento. Fino a poco tempo fa era anche disabitata. Ma ora non più. Infatti, la scoperta è recentissima, questo grande laboratorio naturale a cielo aperto ha iniziato a popolarsi. Anzi, gli scienziati del ministero dell’Ambiente giapponese che a fine ottobre vi sono sbarcati per la prima volta sono convinti che questo granello di lava nell’oceano diventerà presto la culla di una vita rigogliosa di piante e animali.
«Avevamo previsto che gli uccelli marini avrebbero presto usato Nishinoshima come tappa intermedia durante le lunghe migrazioni dal Giappone all’Oceania, ma non ci aspettavamo di trovarli già qui mentre due terzi dell’isola sono ancora fumanti di lava» racconta Naoki Kachi, docente della Tokyo Metropolitan University e capo dell’Ogasawara Research Committee, un team di biologi e geologi che studiano l’arcipelago di Ogasawara per conto del governo. «Appena sbarcati sul lato
meridionale di Nishinoshima abbiamo incontrato una grande colonia di sule mascherate (Sula dactylatra), una rara specie di uccelli marini dell’area austro-pacifica. Sul lato nord, invece, abbiamo da poco scoperto alcuni esemplari di sula fosca (Sula leucogaster), anche questi della famiglia dei Sulidi, probabilmente arrivati dalla Cina». A dare il via al valzer della vita sull’isola sono stati proprio gli escrementi di questi uccelli che, insieme alle loro carcasse in decomposizione, alle piume cadute e ai pezzi di cibo rigurgitati, stanno formando un terreno ricco di sostanze nutritive per tutte le piante che verranno.
«Su Nishinoshima crescono già arbusti di cinquefoglia (Potentilla): questo genere di piante appartenente alla famiglia delle Rosacee è diffuso in tutte le regioni temperate e fredde dell’emisfero boreale (Eurasia, Stati Uniti, Canada, Groenlandia) ma qui è presente con una rara specie tipica dell’emisfero australe» spiega Kazuto Kawakami, ornitologo dell’Istituto di ricerca di scienze forestali giapponese. Come è arrivata a Nishinoshima una pianta così lontana? «I pollini di cinquefoglia erano di sicuro attaccati ai piedi degli uccelli. Ma sull’isola abbiamo appena trovato anche una pianta medicinale, la gramigna indiana (Eleusina indica), e un’erba aromatica dei Paesi arabi e del bacino del Mediterraneo, la portulaca o porcellana comune (Portulaca oleracea), il cui arrivo a Nishinoshima è un mistero».
L’isola permette di osservare il punto di partenza dei processi evolutivi sul nostro Pianeta. «Un’opportunità rarissima. È come una tela bianca sulla quale la natura sta dando le prime pennellate. Una tela da trattare con molto rispetto. Ora il nostro obiettivo, e anche quello del ministero dell’Ambiente, è tenere lontani turisti e curiosi il più a lungo possibile. Tutto ciò che arriva sull’isola dovrà arrivarci in forma naturale, dall’aria o dall’oceano» dice Kawakami.
Ma per questo ecosistema in fieri e delicatissimo non è un rischio anche la presenza di scienziati? «Abbiamo stabilito delle regole: ogni giorno, prima di scendere a Nishinoshima, passiamo per una camera della nostra nave dove sterilizziamo tutto quello che indosseremo e porteremo con noi. Inoltre non dormiamo mai sull’isola e i nostri residui organici non toccano mai il terreno: vengono raccolti in contenitori a chiusura ermetica e portati via. Vogliamo capire in che modo stiano arrivando qui gli organismi viventi. Come le specie interagiscano tra loro in una terra ancora da colonizzare e quali strategie di insediamento e diffusione risultino più vantaggiose».
Intanto il vulcano che ha fatto nascere Nishinoshima continua a eruttare lava e gli scienziati non sanno dire quando smetterà. Prevedono però che l’isola possa seguire lo stesso processo osservato su Surtsey, emersa nel 1963 al largo delle coste dell’Islanda. Nel 2005, anno dell’ultima indagine sistematica, ospitava 60 piante cosiddette “vascolari”, cioè dotate di un sistema di vasi per condurre l’acqua, insieme a 75 specie di briofite, ovvero quelle prive di tessuti vascolari come alghe e muschi, dove l’assorbimento e il trasporto dell’acqua avviene per capillarità. E c’erano anche 71 specie di licheni, 24 di funghi e ben 89 di uccelli. «Ma il popolamento di Nishinoshima richiederà più tempo rispetto a quello di Surtsey: l’isola, quasi mille chilometri a sud di Tokyo, è più distante dalla terraferma e questo limita il numero di uccelli che arriveranno a colonizzarla» dice Kachi.
Nishinoshima comunque potrebbe perdere in tempi non troppo lunghi il suo primato di “ultima emersa”. L’arcipelago delle Ogasawara, di cui fa parte, è costituito da una trentina di isole collocate sulla cosiddetta cintura di fuoco del Pacifico, una zona geologicamente instabile che ospita oltre il 75 per cento dei vulcani attivi e inattivi del mondo ed è caratterizzata da frequenti terremoti ed eruzioni vulcaniche. Questa regione comprende le coste dell’Asia orientale e lunghi tratti di quelle americane, sia settentrionali che meridionali.
È stato proprio questo anello di fuoco ad aver alimentato, negli anni più recenti, l’eruzione del Monte Sant’Elena nello Stato di Washington, nel 1980, e del Piñatubo nelle Filippine, nel 1991. «Era però dagli anni Settanta che non avveniva un’eruzione vulcanica tra la Fossa delle Marianne e le Ogasawara. Quando il 20 novembre 2013 iniziò l’attività vulcanica che ha dato vita a Nishinoshima non sapevamo se l’isola sarebbe stata sommersa dall’acqua ed erosa in breve tempo, o se sarebbe rimasta. Oggi è cresciuta di ben undici volte rispetto alle origini e, secondo le nostre misurazioni, il magma che deve essere eruttato dal vulcano è ancora tanto. Inoltre ormai le coste, all’80 per cento, hanno raggiunto un’altezza di cinque metri. Così oggi possiamo dire che Nishinoshima ha altissime probabilità di resistere all’oceano. E di diventare un paradiso».
Simone Porrovecchio