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 2016  ottobre 25 Martedì calendario

STORIA DI UN RE CHE IMMOLÒ LA MONARCHIA
E APRÌ LA STRADA ALLA REPUBBLICA


La riproposta di un libro importante è sempre una cosa buona, specie in tempi grami per la cultura come gli attuali. Va quindi accolta con favore l’iniziativa di Garzanti di ripubblicare il volume che Ludovico Incisa di Camerana, storico e diplomatico, dedicò vent’anni fa all’Italia della Luogotenenza: il periodo della storia nazionale che va da giugno 1944, con il Paese ancora dilaniato dalla guerra civile, all’inizio del maggio 1946, allorché Umberto di Savoia, da luogotenente generale del Regno, divenne a tutti gli effetti re d’Italia, dopo l’abdicazione del tirannico genitore. Lo sarebbe rimasto per un solo mese, sino alla vittoria della Repubblica – di cui abbiamo festeggiato i primi settant’anni ben portati – che costrinse all’esilio lui e gli eredi maschi della dinastia. La disposizione è stata revocata solo vent’anni dopo la morte di Umberto, come se il vecchio e mite signore potesse minacciare dal Portogallo il Belpaese più delle trame rosse e nere e della criminalità organizzata, magari ordendo uno sbarco dei pompieri di Cascais.

Giusto quindi evocare L’ultimo Re, in questa ristampa con prefazione di Sergio Romano. Un po’ meno, ci sembra, dare questo titolo alla nuova edizione. Evidentemente si è ritenuto che, specie a un pubblico più giovane, Luogotenenza non dicesse granché. Rimane il fatto che il “re di maggio” appare solo nel finale, mentre il libro s’incentra sul biennio in cui Umberto, che Vittorio Emanuele III fu costretto a nominare luogotenente generale, rimase formalmente principe di Piemonte. L’anziano monarca vi si era opposto ostinatamente, fin che aveva potuto. La frase che gli viene attribuita «Perché? Perché è bello?» – la dice lunga sui rapporti tra padre e figlio. La copertina mostra invece il giovane erede al trono in uniforme da parata con le onorificenze e i gradi d’anteguerra, compreso il reggimento belga di cui divenne colonnello sposando nel 1930 la principessa Maria José. Comunque, il risultato cambia poco. Mentre Vittorio Emanuele fu uno dei sovrani più longevi della storia d’Europa, Umberto II rimane una figura emblematica proprio per la brevità del suo regno. Al di là delle illazioni che, italico more, non finiranno mai sui presunti brogli referendari, non si può negargli di aver reso un servizio alla nazione, ritirandosi dopo una breve esitazione e contro il parere di certi consiglieri, quando risultò chiaro che il Paese era spaccato a metà, prevalentemente monarchico al Sud e repubblicano al Nord. La Repubblica poté sanare, come si vide, questo divario. La monarchia, dopo il 1922, il 1940 e soprattutto l’8 settembre 1943, non aveva più la forza né l’autorità per riuscirvi. Il luogotenente fece dignitosamente quel che poteva, e non fu per scelta sua ma per imposizione degli Alleati e dei partiti se poté apparire poche volte al fronte nel 1943-44. L’uomo era coraggioso, benintenzionato e pieno di amor di patria. Ma avrebbe dovuto disobbedire al padre (e alla mamma) e farsi paracadutare al Nord, al momento della fuga ingloriosa dalla Capitale. Anche se l’avesse fatto, è dubbio che avrebbe salvato il trono. Ma non facendolo, lo perse certamente.
Il gusto del ritratto. Il libro di Incisa non è tuttavia una biografia di Umberto di Savoia, che oltretutto manca ancora a livello scientifico. Il Luogotenente è uno dei personaggi di una vicenda che ha un solo protagonista autentico, il popolo italiano. Con la serenità di giudizio, il gusto dei ritratti, la capacità di sintesi che erano un tempo vanto della storiografia anglosassone, Incisa disegna l’autobiografia di una nazione dilaniata ed esausta, ma vitale e desiderosa di andare avanti, lasciandosi alle spalle lutti, sciagure e distruzioni. Non fu un percorso rapido e indolore e si protrasse oltre la Liberazione e la Luogotenenza. Si chiuse a livello internazionale (mentre gli strascichi interni continuarono anche dopo) con il trattato di pace del febbraio 1947. De Gasperi e Sforza dovettero accettarlo (pur guardandosi bene dal firmarlo) per chiudere definitivamente la pagina del fascismo e della guerra, di cui la monarchia era stata correa. E ciò anche a prezzo della tragedia degli esuli giuliani e dalmati che trovò scarso ascolto. Ma soffiavano già i venti della Guerra Fredda e Tito veniva esaltato anche in Italia come l’eroe del giorno. Ci vorranno poi le guerre e la frantumazione dell’ex Jugoslavia per far capire che razza di eredità lasciasse quel dittatore balcanico.

Bozzetti di vita di
plomatica. Un libro
quindi da consigliare
a tutti e che speria
mo trovi l’accoglienza che merita. Si
tratti di separatismo
siciliano, della que
stione di Trieste, del-
la cosiddetta “svolta
 di Salerno” (ideata
 da Stalin, come or-
mai incontrovertibil
mente provato, con
Togliatti in veste di
accorto esecutore) o del mercato nero in cui molti liberatori si distinsero quanto e più degli italiani, l’autore trova sempre la formula giusta, la figura o il figurino adatto senza mai cadere nel patetico o nel triviale: la “segnorina”, il “tipo partigiano”, il barone napoletano che salva l’industria del Nord ecc. Incisa non era solo un esperto diplomatico, che concluse la carriera quale ambasciatore a Buenos Aires, e uno storico al quale si devono molte opere di riferimento sulla Spagna della transizione, la politica estera di Kissinger, i caudillos dell’America latina. Era uno scrittore di razza. Discendente di una casata piemontese di antica tradizione militare, era nato nel 1927 a Cagliari, dove il padre era in guarnigione, e si spense a Roma nel 2013, dopo lunga e dolorosa malattia. La sua prima passione era stata il giornalismo e fin da ragazzo, con il proprio nome o con pseudonimo (Ludovico Garruccio e altri), scrisse centinaia di articoli soprattutto sulle riviste di idee che pullulavano nell’Italia postfascista degli anni 40-50, quando il giornalismo era ancora una passione, quasi un dovere civico.
Era anche un finissimo letterato e posso modestamente testimoniarlo, essendogli stato legato da amicizia familiare e affetto. Oltre a un lungo romanzo incompiuto sull’Italia dell’Otto-Novecento e a molte annate di un interessantissimo diario, aveva scritto una deliziosa raccolta di bozzetti di vita diplomatica. Ad esempio, Incisa inviato in uno sperduto consolato brasiliano, incontra allo zoo un vecchio collega francese dimenticato dalle sue autorità, che per consolarsi ogni domenica cerca di fare amicizia con un animale diverso. Oppure Incisa addetto al cerimoniale attende tutta la notte all’allora aeroporto di Ciampino l’imperatrice di Persia Soraya che, per un guasto all’aereo, si è dovuta fermare a Parigi. Donde il titolo del volumetto, che credo trovammo insieme: Notte senza Soraya. Ne fui entusiasta al punto da improvvisarmi agente letterario. Non lo avessi mai fatto. Gli editori grandi e piccoli non sapevano chi fosse Incisa; e sia; né chi fosse Soraya (Sora... chi?); e sta bene. Ma, soprattutto, non sapevano cosa fosse un buon libro. Braccia rubate all’agricoltura.