varie, 29 novembre 2016
BLOB SOFFERENZE
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OCCHIO AL PORTAFOGLIO di Emanuele Bellano collaborazione di Ilaria Proietti e Michela Mancini MILENA GABANELLI IN STUDIO P er cominciare: l’inchiesta di o ggi sui risparmi . P arliamo di quei milioni di cittadini che non vogliono speculare, ma vorrebbero insomma guadagnare qualcosina , quel tanto che basta per non vedersi erodere il capitale ; anche perché tenere i soldi in banca ha un costo di gestione e se ti va bene, con gli interessi che sono così bassi , riesci, insomma, ad andare in pari con le spese. R icordiamo poi che non esistono investimenti a rischio zero. E allora analizziamo quelle che vengono proposte ai risparmiatori come i più sicuri. O quello che noi pensiamo essere i più sicuri , a partire dal mattone. Mi compro un secondo appartamento, oppure fondi comuni di investiment o, che cosa sono? Quindi l’oro: adesso tirano moltissimo i d iamanti come bene rifugio. Poi, conviene di più investire in banca o in posta che essendo a controllo pubblico pensiamo: non sono sempre lì a spingere i promotori e a r ifilare come rischioso un prod otto che ... anzi, a rifilare come sicuro un prodotto che invece è rischioso. Cominciamo con i diamanti: le banche stanno facendo una grande campagna di promozione, ma il prezzo chi lo fa? Anche perché no n è come l’oro o il petro lio... E manuele Bellano. MARCELLO MANNA - INVESTMENT DIAMOND COMPANY In Italia esiste il fenomeno dei diamanti da investimento: i diamanti da investimento sono venduti da società collegate al sistema bancario. RAFFAELE GRIECO Quando si va in banca a discutere di investimenti il consulente menziona questa nuova, nuovissima possibilità di un investimento in diamanti. Non è niente di rischioso, piano piano accumula il suo bravo 4 per cento più o meno tutti gli anni, i diamanti per qualche magica ragione salgono indipendentemente da fattori socioeconomici. EMANUELE BELLANO E voi che dit e? D ite “ ammazza, è un investimento interessante ” . RAFFAELE GRIECO É un investimento assolutamente interessante, ma abbiamo scoperto che abbiamo pagato letteralmente il do ppio del valore della pietra. EMANUELE BELLANO FUORI CAMPO Il suo diamante è stato lavorato e confezionato ad Anversa, la capitale mondiale dei diamanti. Da qui passa l’80 per cento delle pietre estratte in tutto il mondo. MARCELLO MANNA - INVESTMENT DIAMOND COMPANY Questo è un diamante blu - verdastro. Per questi diamanti i grandi investitori orientali fanno follie perché sono diamanti senza un listino e sono diamanti unici, questi diamanti vengono trovati per caso, non si può programmare l’estrazione e la lavorazione di questo tipo di diamanti. EMANUELE BELLANO Quanto vale quel diamante che ha in mano? MARCELLO MANNA - INVESTMENT DIAMOND COMPANY Ha un valore di mercato di qualche milione di dollari. EMANUELE BELLANO FUORI CAMPO Ad Anversa c’è l’unica borsa mondiale per la quotazione dei diamanti grezzi e tre borse dove vengono venduti diamanti lavorati. Uno dei pochissimi italiani ammessi a questa borsa è Marcello Manna. MARCELLO MANNA - INVESTMENT DIAMOND COMPANY Qui hanno inv entato per primi il taglio, la lucidatura diamante - diamante. Per trovare un grammo di diamante bisogna muovere... smuovere 10 tonnellate di roccia. Di questo grammo di diamante soltanto il 20 per cento è utilizzabile in gioielleria. EMANUELE BELLANO FUORI C AMPO Un grammo d’oro vale 40 euro, un diamante puro da un grammo vale circa 50 .000 euro. Ma non è considerato un bene finanziario: perché? MARCELLO MANNA - INVESTMENT DIAMOND COMPANY Non esiste uno strumento che replichi l’andamento dei prezzi del diamant e. Esiste per l’oro, esiste per il caffè, esiste per il cacao, esiste per il petrolio, esiste per tantissime materie prime, ma non esiste nulla del genere per i diamanti. EMANUELE BELLANO FUORI CAMPO Il modo più classico per investire in diamanti è sempr e stato quello di comprarli in gioielleria. GIULIANO ANSUINI - GIOIELLIERE Questo qui è un brillante tondo montato sul bianco. Questo qui è un brillante pochino più grande montato con due baguette di lato. Questo è un carato. Cifra tonda. EMANUELE BELLANO FUORI CAMPO Da secoli è la pietra più desiderata, regalata come prova d’amore eterno. Da un po’ di tempo spuntano sui giornali annunci come questo, che consigliano di acquistarli come investimento in banca. FUNZIONARIA BANCA INTESA SANPAOLO I diamanti, quelli con Intesa San Paolo, sono di colore D, E, F, G, H e I. EMANUELE BELLANO Cosa significa? FUNZIONARIA BANCA INTESA SANPAOLO Sono i più preziosi. EMANUELE BELLANO Ah, sono le caratteristiche. FUNZIONARIA BANCA INTESA SANPAOLO Quindi il taglio a brillante è solo “excellent”. EMANUELE BELLANO Eventualmente li verremmo a prendere proprio in banca? FUNZIONARIA BANCA INTESA SANPAOLO Sì, per la consegna sempre lei si mette d’accordo con me, io l’accompagno in un’agenzia dove ci sono le cassette. EMANUELE BELLANO E quindi lo possiamo poi lasciare direttamente lì, nella cassetta della vostra banca insomma. FUNZIONARIA BANCA INTESA SANPAOLO Nella cassetta, sì. EMANUELE BELLANO FUORI CAMPO Chi acquista è convinto di fare un investimento con la banca. In realtà di mezzo spunta una società. EMANUELE BELLANO Diamond Private Investment. FUNZIONARIA BANCA INTESA SANPAOLO È la nostra società di Intesa SanPaolo che investe in diamanti. EMANUELE BELLANO FUORI CAMPO La DPI, Diamond Private Investment non è di Intesa SanPaolo, è una società privata, come lo è la IDB, Intermarket Diamond Business che vende con UniCredit , Banco Popolare e Carige. L’interesse della banca sta nella commissio ne che incassa ogni volta che piazza i loro diamanti. Consigliato da Intesa, il signor Grieco ha comprato diamanti dalla DPI. RAFFAELE GRIECO In quel momento tu indichi un valore, no? Voglio comprare, voglio fare un acquisto di 10 .000 euro in diamanti. Dopo qualche settimana ci dicon o che i diamanti sono pronti, andiamo e finalmente arrivano i diamanti nelle nostre mani. Allora in quel momento a noi ci viene dato un blister con la pietra dentro, e all’interno... e attorno alla pietra, ogni pietra ha il suo certificato dove per la prima volta scopri le effettive qualità della pietra. EMANUELE BELLANO FUORI CAMPO Il diamante lo paga 7.016 euro. È da mezzo carato. RAFFAELE GRIECO La prima cosa che fai cos’è? Vai a cercare su internet se effettivamente quello che hai pagato si avvicina ai valori di mercato della pietra. EMANUELE BELLANO FUORI CAMPO Prende il certificato con le caratteristiche del diamante e consulta l’ I dex, un portale che confronta i prezzi in tutto il mondo. E scopre che lo prezzano 2.700 euro. Meno della metà di quello che l’ha pagato lui. RAFFAELE GRIECO Non vogliamo crederci, andiamo a vedere quanto sono disposti i mercanti internazionali di diamanti, cioè gente che se gli dai i soldi con la carta di credito te la spediscono a casa, vediamo quanto sono disposti a pagarci la stessa pietra. EMANUELE BELLANO FUORI CAMPO Sul portale Blu e N ile. Il diamante con le nostre caratteristiche è valutato 2.200 euro. Quanto lo valuta invece uno dei più importanti gioiellieri di Roma? GIULIANO ANSUINI – GIOIELLERE È un buon brillante. EMANUELE BELLANO Il prezzo al quale lei me lo potrebbe acquistare qual è? GIULIANO ANSUINI – GIOIELLERE Non superiore ai 1.700 euro, penso il massimo. EMANUELE BELLANO 1.700 euro. GIULIANO ANSUINI – GIOIELLERE Sì. Perché quanto lo ha pagato lei scusi? EMANUELE BELLANO 7.000... 7.000 euro. GIULIANO ANSUINI – GIOIELLERE Non ho capito. EMANUELE BELLANO 7.016 euro. GIULIANO ANSUINI – GIOIELLERE Cioè 14 .000 euro al carato lei l’ha pagato? EMANUELE BELLANO 7.016 euro questo diamante. GIULIANO ANSUINI – GIOIELLERE Eh sì, che è mezzo carato. EMANUELE BELLANO FUORI CAMPO Ma è possibile che in banca si venda a 7.000 euro un diamante che sul mercato vale meno della metà? Il listino per la quotazione universalmente riconosciuto è il Rapaport di New York . MARCELLO MANNA - INVESTMENT DIAMOND COMPANY È un listino redatto dagli anni Settanta da Martin Rapaport. Lui mise ... iniziò telefonicamente a mettere insieme le quotazioni che rilevava a New York, a Tel Aviv e ad Anversa e così riuscì a creare una matrice sulla quale poter riferire tutti i diamanti che venivano tagliati, che venivano commercializzati sul mercato. EMANUELE BELLANO FUORI CAMPO Mettiamo a confronto i prezzi. Diamante da mezzo carato, stesse caratteristiche: prezzo DPI, la società a cui si appoggia Intesa, 11.438 euro; prezzo IDB, la società che vende attraverso UniCredit , 11.466 euro; listino Rapaport: 4.709 euro. Per ogni diamante che controlliamo il prezzo è almeno il doppio del listino internazionale EMANUELE BELLANO Come mai la sua società, quando lei vende un diamante attraverso le banche lo vende a un prezzo che è doppio del valore di mercato di quel diamante? CLAUDIO GIACO BAZZI - AD INTERMARKET DIAMOND BUSINESS Innanzitutto bisogna capire che cos’è il valore di mercat o di un diamante, ma le esplicito bene esattamente qual è il nostro lavoro. Noi non vendiamo diamanti. Noi proponiamo un investimento in diamanti perché il diamante è legato a tutta una serie di servizi tra i quali il più importante è quello della rivendit a del diamante a quotazioni certe. EMANUELE BELLANO In che senso però non vendete diamanti? CLAUDIO GIACOBAZZI – AD INTERMARKET DIAMOND BUSINESS Ovvio che noi consegniamo... EMANUELE BELLANO Perché io ho visto il contratto, c’è scritto che c’è una vendita di diamanti da parte della sua società a chi intende investire in diamanti. CLAUDIO GIACOBAZZI – AD INTERMARKET DIAMOND BUSINESS Ma certamente, infatti noi nella nostra storia abbiamo venduto un miliardo e mezzo di diamanti, e abbiamo oltre 70mila clienti, non abbiamo mai avuto una causa su questioni di prodotto o di servizio. Questa è la più bella certificazione che le nostre quotazioni sono non accettate, di più. EMANUELE BELLANO Però, c’è un mercato di riferimento. CLAUDIO GIACOBAZZI – AD INTE RMARKET DIAMOND BUSINESS Chiedo scusa. EMANUELE BELLANO L’aspetto, eh. EMANUELE BELLANO Salve, abbiamo lasciato un discorso a metà . I l cliente però che alla fine compra il suo diamante si trova in mano una pietra che ha un valore sul mercato che è la metà di quello al quale lei glielo ha venduto. CLAUDIO GIACOBAZZI - AD INTERMARKET DIAMOND BUSINESS Non è così. Lei quando lo disinveste lo disinveste alla quotazione di Intermarket, ecco il valore aggiunto. E se in 40 anni non abbiamo mai avuto una conte stazione significa che noi abbiamo fatto il nostro lavoro in un modo... EMANUELE BELLANO Scusi stiamo facendo un’intervista, il signore ci sta dando un’intervista. UOMO SICUREZZA HOTEL Non siete autorizzati... Non siete autorizzati. EMANUELE BELLANO FUORI CAMPO Da questa società, 8mila risparmiatori acquistano ogni anno diamanti per circa 150 milioni di euro. Chi determina i prezzi? Ecco cosa dice proprio Giacobazzi intervistato dal Tg C om. Dal TgCom24 del 07/07/2014 GIORNALISTA TGCOM24 L’investimento in diamanti è un po’ come, credo - mi corregga se mi sbaglio - comprare dei lingotti d’oro? CLAUDIO GIACOBAZZI – AD INTERMARKET DIAMOND BUSINESS Sì. GIORNALISTA TGCOM24 Come tipologia di investimento. CLAUDIO GIACOBAZZI – AD INTERMARKET DIAMOND BUSINESS La tipologia sì, è quella dei beni rifugio, quindi sicuramente c’è una certa assonanza con l’oro. Nella pratica l’oro è fortemente speculativo invece il diamante ha un andamento estremamente lineare. EMANUELE BELLANO FUORI CAMPO Se guardiamo i grafici di qu este due società, dal 1992 a oggi il valore del diamante sale sempre. Una qualità pubblicizzata da quotidiani e autorevoli professori. Da Attenti al Lupo del 13/05/2016 GIORNALISTA ATTENTI AL LUPO - TV2000 Buonasera al nostro ospite: il professor Mario Baldassarri, presidente del Centro Studi Economia Reale. Buonasera professore. MARIO BALDASSARRI Buonasera. EMANUELE BELLANO FUORI CAMPO Mario Baldassarri oltre ad essere un economista, ex parlamentare ed ex viceministro all ’Economia, oggi è consigliere di amministrazione della DPI, cioè la società che vende diamanti attraverso Intesa Sanpaolo e altre banche: ma questo non lo dice. GIORNALISTA ATTENTI AL LUPO - TV2000 Qual è il taglio per poter investire in questo ambito? MARIO BALDASSARRI Il diamante lei lo può anche acquistare a un diamante da 3 .000 euro. Nel lungo periodo si vede che il diamante mantiene il valore capitale e dà un rendimento, non grandissimo. Lo si vede qui guardi, la riga azzurra è l’inflazione. La riga rossa sono i rendimenti dell’oro che vede possono andare anche sotto zero, possono anche andare a picchi molto elevati: 1.200, 1.300 euro al grammo voglio dire. GIORNALISTA ATTENTI AL LUPO - TV2000 C’è una grande volatilità. MARIO BALDASSARRI Ma può an che crollare di tre o quattrocento. Il diamante è la riga verde. EMANUELE BELLANO FUORI CAMPO La linea verde sempre in crescita è quella del grafico della DPI, la società nel cui consiglio d’amministrazione siede proprio il professore. Ed è quello che usa Banca Intesa Sanpaolo per convincere il risparmiatore a investire sul diamante. FUNZIONARIA BANCA INTESA SANPAOLO Questo è quello dei diamanti che è sempre in salita, quello verde, mentre questo rosso è quello dell’oro. EMANUELE BELLANO È quasi una linea retta. FUNZIONARIA BANCA INTESA SANPAOLO Sì, sempre in salita. EMANUELE BELLANO FUORI CAMPO In realtà nessun indice finanziario assicura una crescita continua e costante, nemmeno il diamante. Dal listino internazionale Rapaport relativo ai diamanti venduti in banca si vede che negli ultimi 10 anni la quotazione è stabile nel 2005 - 2006, poi scende, risale, e di nuovo scende nel 2013. NICOLA BORRI - ECONOMISTA Per esempio, qui abbiamo un caso di un diamante di 0,5 carato con un certo live llo di purezza e colore e qui vediamo una linea che ha una forte oscillazione, a differenza della linea verde di questo grafico e con un aumento poco pronunciato dal 2005 al 2015. Questo è un altro esempio sempre per 0,5 carati diversi – diciamo - livelli di colore e purezza, qui ancora forte oscillazione, qui addirittura abbiamo una diminuzione del valore del diamante dal 2005 al 2015. Per essere chiari, se avessi per esempio investito nel 2005 e avessi disinvestito nel 2009, avrei sopportato una perdita n otevole nel valore del mio investimento. EMANUELE BELLANO FUORI CAMPO Ma se non si basano sul listino internazionale, su che dati si fondano allora i grafici di queste due società? Ce lo dice la banca. FUNZIONARIA BANCA INTESA SANPAOLO Le quotazioni sono il riferimento per stabilire il prezzo di acquisto dei diamanti da investimento e sono pubblicate periodicamente di regola ogni trimestre sul Sole 24 O re. EMANUELE BELLANO FUORI CAMPO E infatti anche il sito della DPI indica come fonte Il Sole 24 O re. En trambe le società dicono che nelle pagine del quotidiano economico ogni tre mesi vengono pubblicate le quotazioni dei diamanti. EMANUELE BELLANO Sono molto diverse da quelle dei listini internazionali come per esempio il listino Rapaport. Al telefono UF FICIO STAMPA IL SOLE 24 ORE Quelle sono la loro pubblicazione: praticamente loro fanno delle inserzioni pubblicitarie sul Sole 24 O re. EMANUELE BELLANO Quindi quelle lì sono delle pubblicazioni a loro spese. Al telefono UFFICIO STAMPA IL SOLE 24 ORE Sono delle pubb licità, e sono infatti sono in m ezzo ad altre pubblicità. EMANUELE BELLANO FUORI CAMPO Dunque il meccanismo è questo: IDB e DPI decidono i prezzi dei loro diamanti. Comprano una pagina sul Sole 24 Ore e li pubblicano. Poi usano quei dati p er costruire il grafico che indica rendimenti sempre in crescita. E la banca dice all’investitore che quello è il listino di riferimento. RAFFAELE GRIECO Mettiamo che io... che la pietra valga 50, io l’ho pagato 100. A chi lo rivendo a 100? A nessuno. EMANUELE BELLANO FUORI CAMPO Per non perdere la metà dell’investimento puoi solo affidarti a chi te l’ha venduto, che si impegna a piazzare le pietre al prezzo del suo listino in vigore in quel momento. EMANUELE BELLANO Mi chiedevo se c’era una commissione di uscita. FUNZIONARIA BANCA INTESA SANPAOLO Commissioni non ce ne sono. Per la rivendita non sono previste. EMANUELE BELLANO Ma per la banca o proprio in generale? FUNZIONARIA BANCA INTESA SANPAOLO No, no, per il cliente, non ci sono commissioni di uscita. EMANUELE BELLANO FUORI CAMPO In realtà la DPI trattiene il 10 per cento più IVA , l’IDB dal 16 al 7 per cento più IVA . E la rivendita non è nemmeno garantita. FILIPPO SARTORI - DOCENTE DIRITTO BANCARIO UNIVERSITÀ TRENTO Entrambe le società non assumono alcun obbligo di riacquistare i diamanti. Ci sarà soltanto un impegno ad assumere un mandato alla vendita senza alcuna garanzia del buon esito dell’operazione. EMANUELE BELLANO Cioè dicono che proveranno a rivenderlo però non assicurano che riusciranno a rivenderlo e i tempi nei quali riusciranno a rivenderlo. Giusto? FILIPPO SARTORI - DOCENTE DIRITTO BANCARIO UNIVERSITÀ TRENTO Esattamente. EMANUELE BELLANO FUORI CAMPO L’investitore può sperare di liquidare il suo diama nte solo se la società ne trova un altro disposto a comprarlo. EMANUELE BELLANO È un meccanismo questo che sta in piedi finché c’è qualcun altro che entra nel giro. FILIPPO SARTORI – DOCENTE DIRITTO BANCARIO UNIVERSITÀ TRENTO Esattamente. Però la forbice è una forbice sottile , ed è un meccanismo che potrebbe andare in corto circuito molto velocemente. Nel momento in cui viene data trasparenza a questo fenomeno si ferma il flusso, no? Perché nel momento in cui lei acquisisce l’informazione che ha ac quisito non sarà più disponibile ad acquistare quel prodotto finanziario perché non è disponibile a pagare 100 ciò che vale 50. EMANUELE BELLANO FUORI CAMPO Ma questo rischio non viene comunicato al risparmiatore dalla banca. RAFFAELE GRIECO Qualcuno al grattacielo Sanpaolo si sarà preso la briga di fare i controlli che ho fatto io in mezz’ora su internet. Avrà gli strumenti intellettuali e scolastici per capire quali sono le caratteristiche finanziarie di un investimento che stai per inserire all’interno di tutte le filiali d’Italia. EMANUELE BELLANO FUORI CAMPO A vigilare sugli investimenti che le banche propongono ai risparmiatori è Consob, ma dopo una lunga analisi, ha stabilito che i diamanti non sono prodotti finanziari. E quindi le banche sono libere di venderl i . FILIPPO SARTORI - DOCENTE DIRITTO BANCARIO UNIVERSITÀ TRENTO È chiaro che se i dati che voi avete evidenziato dovessero essere confermati potrebbero esserci i presupposti per una valutazione ulteriore da parte della vigila nza. EMANUELE BELLANO Cioè perché se venisse identificata questa vendita come una vendita di prodotti finanziari , che cosa comporterebbe? FILIPPO SARTORI - DOCENTE DIRITTO BANCARIO UNIVERSITÀ TRENTO Beh, redigere un prospetto informativo che è il primo documento di trasparenza del mercato. EMANUELE BELLANO Nel quale per esempio viene indicato il livello di rischio nel quale incorre il risparmiatore se compra quel prodotto. FILIPPO SARTORI - DOCENTE DIRITTO BANCARIO UNIVERSITÀ TRENTO Assolutamente. Tutte le informazioni che consentono a d un inve stitore medio di fondare un giudizio consapevole sull’operazione. Quindi tutta una serie di garanzie, di tutela , ovviamente , del cliente investitore che all’evidenza non sarebbero state rispettate nell’ipotesi in cui si dovesse configurare un’offerta al p ubblico di prodotti finanziari. VOCE DELLA PUBBLICIT À DPI Questo programma è presentato da Diamond Private Investment – Inve stimento in diamanti. MILENA GABANELLI IN STUDIO Il programma sponsorizzato non è il nostro, ma c’è in corso una martellante campagna pubblicitaria che invita a d investire in diamanti . I ntanto precisiamo che tutti coloro che hanno acquistato diamanti e hanno verificato di aver acquistato a d un prezzo diverso da quello di mercato , hanno due settimane di tempo per esercitare il diritto di rec esso. Cioè restituiscono i diam anti e si fanno ridare i soldi. Bene, ciò detto la Consob ha stabilito che le banche possono vendere i diamanti senza tante regole perché non fanno altro che mettere in contatto il loro cliente, che vuole comprare un oggetto, con la società che lo vende. Da quello che abbiamo visto, invece, questo oggetto viene v enduto proprio come un prod otto finanziario e il cliente, convinto di essere garantito dalla banca, perché è l’uomo della banca che garantisce un rendimento facendo riferimento alle quotazioni del Sole 24 Ore che altro non sono che il loro listino prezzi, e su questo ecco , magari , I l Sole dovrebbe essere un po’ più trasparente. Poi, è sempre l’uomo della banca che a parole garantisce il riacquisto ed esclude le commissioni, che invece vanno dal 10 al 16 per cento più IVA e il riacquisto non è affatto garantito. Stiamo par lando di un giro d’ affari che solo nell’ultimo anno arriva a trecento milioni di euro e c oinvolge migliaia di cittadini. Ecco, se Vegas, che è il vigilante, volesse fare lo stesso giro che abbiamo fatto noi, avrebbe elementi per rimettere mano a quel rapporto dove scr ive: non c’è problema. Perché anche questo investimento alternativo in continuo aumento è pieno di rischi. E i diamanti non sono un bene rifugio come l’oro. Pubblicità, e poi vediamo i fondi comuni di investimento. PUBBLICITA’ MILENA GABANELLI IN STUDIO Bene, stiamo parlando di investimenti. Abbi amo un po’ di risparmi, magari una liquidazione, non vogliamo prendere rischi, le strade più battute sono due: titoli di Stato, vale a dire ogni anno, a fine anno, mi prendo un interesse garantito, e a scadenza mi riprendo il capitale, se lo Stato non fallisce, cosa ch e al momento è poco probabile; oppure fondi comuni d’investimento o polizze vita. Qui se non abbiamo le idee chiare, e non conosciamo bene le insidie, una vale l’altra. EMANUELE BELLANO FUORI CAMP O Clara Pevarelli ha 88 anni. Dopo la scomparsa del marito chiede a UniCredit , la sua banca, di investire tutti i suoi risparmi . CLARA PEVARELLI N on ho mai chiesto di guadagnare. D i guadagnare non so l’1, il 2 per cento, quella roba lì . EMANUELE BELLANO FUORI CAMPO La banca le propone fondi comuni d’investimento, polizze vita, obbligazioni strutturate. Prodotti che , risulta dai documenti , la signora ha comprato e venduto tantissime volte. EMANUELE BELLANO Ogni quanto tempo venivano i funzionari della banca a proporle di cambiare l’investimento ? CLARA PEVARELLI Due volte, tre anche al mese. EMANUELE BELLANO Tre volte al mese? CLARA PEVARELLI È successo , sì. Ho fatto tante di quelle operazioni, ma tante che lei non ha neanche l’idea. Ogni settimana c’era sempre da firmare. EMANUELE BELLANO E che le dicevano, cioè perché deve firmare? CLARA PEVARELLI Perché non son più sicuri in quel posto lì, devo far ne in post i più sicuri. EMANUELE BELLANO FUORI CAMPO Ogni volta che acquista e vende , la signora Clara paga a UniCredit le commissioni : quindi più operazioni fai e più le commissioni si moltiplicano. Le ricevute delle operazioni formano un pacco alto 5 centimetri, che la signora ha fatto analizzare da un consulente. GIORGIO CANELLA - CONS ULENTE FINANZIARIO INDIPENDENTE 80 .000 euro , inve stiti, commissione di sottoscrizione 2 .000 euro. Una sottoscrizione di un altro fondo , con 80 .000 euro, e... 1.600 euro di commissione , quindi 2 per cento, siamo a distanza di un mese dall’altra operazione. Poi, rimborso di un fondo, commissione di rimborso 302 euro. EMANUELE BELLANO Percentuale? GIORGIO CANELLA - CONS ULENTE FINANZIARIO INDIPENDENTE In questo caso è 1 per cento. Chiudono questo ed entrano con questo. EMANUELE BELLANO Nell o stesso... nella stessa data. GIORGIO CANELLA - CONS ULENTE FINANZIARIO INDIPENDENTE Sì. La liquidità... EMANUELE BELLANO Con la liquidità di questo entrano in quest’altro. GIORGIO CANELLA - CONS ULENTE FINANZIARIO INDIPENDENTE Di uno comprano l’altro. EMANUELE BELLANO E prendono l’1 per cento di commissione di qua , in uscita. GIORGIO CANELLA - CONS ULENTE FINANZIARIO INDIPENDENTE In uscita... E 2 pe r cento in entrata. C he fa 3 . EMANUELE BELLANO Reinvestendo i soldi. GIORGIO CANELLA - CONS ULENTE FINANZIARIO INDIPENDENTE Che fa 3 . EMANUELE BELLANO FUORI CAMPO In 5 anni 60.000 euro di commissioni, a cui si aggiungono quelle annue di gestione, pagate sempre a UniCredit . Invece , gli investimenti come sono andati? GIORGIO CANELLA - CONSULENTE FINANZIARIO INDIPENDENTE Le perdite, a spanne, sicuramente ammonta a di verse decine di migliaia di euro. Diverse decine di migliaia di euro. CLARA PEVARELLI Ma se andiamo in banca dobbiamo fidarci. EMANUELE BELLANO FUORI CAMPO È successo che una signora di 88 anni è stata classificata dalla banca come investitore esperto. Ma cosa aveva dichiarato a UniCredit al momento di investire i suoi soldi? GIORGIO CANELLA - CONSULENTE FINANZIARIO INDIPENDENTE I documenti di profilatura de l periodo che è stato più vivace, mettiamola così, non c’è. EMANUELE BELLANO Non c’è. GIORGIO CANELLA - CONSULENTE FINANZIARIO INDIPENDENTE Non c’è. EMANUELE BELLANO E come non c’è? GIORGIO CANELLA - CONSULENTE FINANZIARIO INDIPENDENTE Non c’è perché la banca prima ha detto che è stata smarrita, poi che non la trova. EMANUELE BELLANO FUORI CAMPO Eppure la banca era tenuta per legge a consegnare una copia del questionario, ma non lo ha fatto e oggi dichiara di aver perso quei documenti in un trasloco. Stiamo p arlando del profilo di rischio, che serve a guidare i funzionari di UniCredit per garantire alla signora il miglior investimento possibile. EX FUNZIONARIO DI BANCA Per esempio a una persona con scolarità bassa impone di vendere soltanto al massimo titoli di S tato. Il problema è che l’operatore bancario se l’inventa perché a noi è consigliato , prescritto di inventarselo. Inventa un titolo di studio e mette laurea, inventa la propensione al rischio, in maniera da avere le mani libere per po i collocare il prodotto che serve in quel momento. EMANUELE BELLANO A voi arrivavano comunicazioni dalla direzione in questo senso? EX FUNZIONARIO DI BANCA Era nelle riunioni che ci dicevano : “Variat e i questionari ” . E siccome poi ci voleva la firma del cliente ovviamente a l cliente gli diceva : “G uardi dobbiamo dare una rinfrescatina ai contr atti...”, questo era il gergo “C ortesemente ci firma qui e qui ” . Il cliente firmava e la copia non gli era mai data. EMANUELE BELLANO FUORI CAMPO Questa è la corrispondenza interna inviata dai dirigenti ai funzionari di Banca Carime, gruppo UBI Banca. VOCE MASCHILE FUORI CAMPO – LETTURA DEL DOCUMENTO Il collocato ci ha fruttato commissioni per 12.145 euro. Ora avete ben chiaro perché insisto tanto sul Prestit o Obbligazionario in argomento. Dal 7 giugno verranno messi in collocamento i due nuovi prodotti obbligazionari. Hanno una commissione di entrata del 3,50 per cento. Vi invito a iniziare a trovare i clienti tenendo conto che le somme devono venire dal Risp armio Amministrato ” . EMANUELE BELLANO FUORI CAMPO Cioè dai titoli di stato. Che la banca sconsiglia al cliente anche se sono il prodotto più adatto al suo profilo di rischio. VOCE MASCHILE FUORI CAMPO – LETTURA DEL DOCUMENTO I nostri obiettivi dovrebbero ormai essere noti a tutti: raccolta assicurativa, raccolta gestita, mai e poi mai raccolta amministrata. EMANUELE BELLANO FUORI CAMPO In altre parole: collocate polizze, fondi di investimento, mai titoli di stato. EX FUNZIO NARIO DI BANCA E se quello aveva tutti titoli di stato cosa dovevi fare tu? Dovevi levare un titolo di stato: guardi, abbiamo una polizza, abbiamo un fondo comune. EMANUELE BELLANO FUORI CAMPO Questa è Banca Intesa San Paolo. FUNZIONARIO BANCA INTESA SANPAOLO Noi quello che stiamo oggi consigliando a tutti i nostri clienti sono le nostre polizze vita. EMANUELE BELLANO FUORI CAMPO Cosa ci consiglia Banca Popolare di Milano? FUNZIONARIO BANCA POPOLARE DI MILANO Per il discorso degli investimenti, io vi posso indicare per avere, diciamo, una tranquillità i fondi di investimento o polizze. EMANUELE BELLANO Sapete cos’è un fondo comune d’investimento? UOMO 1 No. UOMO 2 No. EMANUELE BELLANO C he cos’è una polizza vita? UOMO 3 La polizza vita... No, n on è un’assicurazione sulla vita, vero? EMANUELE BELLANO Un fondo comune d’investimento. UOMO 3 No. EMANUELE BELLANO FUORI CAMPO Artidoro Gaspar è un ex agente di cambio alla Borsa di Milano, ex manager in Banca Generali e in Allianz Bank . E questi fondi li ha venduti per decenni. GIANANDREA ARTIDORO GASPAR – CONSULENTE FIN A NZIARIO INDIPENDENTE Un fondo d’investimento oggi contempla al suo interno obbligazioni, parliamo di un fondo di investimento obbligazionario, obbligazioni, l’obbliga zione A, l’obbligazione B, l’obbligazione C, in proporzioni diverse, dopodiché all’interno dello stesso fondo troviamo quote di altri fondi d’investimento obbligazionario. Ebbene, lì si apre un mondo che è molto differente, che è molto poliedrico, ha tante forme. EMANUELE BELLANO FUORI CAMPO Ha la forma delle scatole che contengono altri prodotti finanziari. A seconda di quel che metti dentro hai un maggiore o minore rischio. Si misura con un’equazione fatta così. Il livello di rischio sembra fatto apposta per evitare di capire davvero in cosa si sta investendo. NICOLA BENINI – IFA CONSULTING Il rischio più noto è il cosiddetto rischio di mercato. Poi esiste un secondo rischio molto importante che si chiama rischio di credito. Poi abbiamo il cosiddetto ri schio di liquidità. Poi abbiamo i rischi operativi... Esistono anche rischi valutativi. Quindi è chiaro che il rischio che l’investitore sostiene, il rischio totale , è dato ovviamente dalla sommatoria di tutte queste componenti di singolo rischio. EMANUELE BELLANO FUORI CAMPO E se invece volessimo investire in titoli di stato? FUNZIONARIO BANCA INTESA SANPAOLO È negativo. Lo stato oggi non dà più interessi. FUNZIONARIO BANCA POPOLARE DI MILANO I titoli di stato... siamo al minimo storico del rendimento. EMANUELE BELLANO FUORI CAMPO Vediamolo il rendimento. I B tp a 10 anni emessi a fine agosto rendono l’1,09 per cento netto all’anno. Quanto rende invece la polizza vita che il direttore di banca vuole venderci a tutti i costi? FUNZIONARIO BANCA INTESA SANPAOLO La media è del 2 per cento lordo, sarà intorno all’1 - 1,10 netto, meglio di niente. EMANUELE BELLANO FUORI CAMPO Meglio di niente, ma non meglio del titolo di stato che rende la stessa cifra. La differenza, tra i due, è altrove. EMANUELE BELLANO Qual è il costo a livello di commissioni di un titolo di stato? RAFFAELE ZENTI – ADVISEONLY 0,20 - 0,30, normalmente è que sto. A volte di più a volte di meno, c’è una discreta variabilità, però l’ordine di grandezza è quello. EMANUELE BELLANO FUORI CAM PO Cioè su 100 .000 euro investiti pagherò alla banca 200 euro per l’intermediazione. Per la polizza vita invece? FUNZIONARIO BANCA INTESA SANPAOLO C’è una commissione d’ingresso, in questo caso l’1 per cento, una tantum, basta, la tieni lì per 5 anni. EMANUELE BELLANO FUORI CAMPO Quindi se investo 100.000 euro nella polizza, che ha dentro i fondi d’investimento, pagherò subito alla banca 1.000 euro, solo per l’acquisto. Quello che il direttore non dice è che poi ogni anno bisogna aggiungere i costi dell e commissioni. NICOLA BENINI – IFA CONSULTING Questa è la nostra polizza, viene gestita da un gestore il quale supponiamo compra due fondi. Ogni fondo comune d’investimento supponiamo acquista titoli. Per fare questo servizio, il costo è l’1 per cento. EMANUELE BELLANO All’anno. NICOLA BENINI – IFA CONSULTING All’anno. A sua volta , per l’attività di acquisto e vendita di ciascuno dei singoli strumenti finanziari si sostengono costi di intermediazione. Quindi, alla fine, ciò che grava l’investitore finale sono: costi per l’acquisizione della polizza, costi per il gestore di primo liv ello, costi per la gestione degli strumenti finanziari del gestore di secondo livello. EMANUELE BELLANO FUORI CAMPO Quindi se mantengo in portafoglio un B tp per 10 anni avrò pagato alla banca solo 200 euro. Con la polizza che vuole vendermi il direttore i nvece pagherò alla banca commissioni per almeno 17.000 euro. E molti dei prodotti venduti sono anche più costosi di questo. GIANANDREA ARTIDORO GASPAR - CONSULENTE FIN A NZIARIO INDIPENDENTE Ho trovato un fondo di Mediolanum. Il costo di entrata di questo fondo è del 5,50 per cento. EMANUELE BELLANO Poi? GIANANDREA ARTIDORO GASPAR – CONSULENTE FIN A NZIARIO INDIPENDENTE Poi, durante l’anno, o meglio durante tutti gli anni di permanenza all’interno di questo fondo, il costo, cioè le spese correnti, sono pari al 3,18 per cento. EMANUELE BELLANO Quindi il primo anno che io sottoscrivo per esempio questo fondo ... GIANANDREA ARTIDORO GASPAR – CONSULENTE FIN A NZIARIO INDIPENDENTE Mi costerebbe l’8,68 per cento. EMANUELE BELLANO L’8,68 per cento. Se questo fondo av rà un rendimento dell’8 per cento , vuol dire che io star ò in pari. GIANANDREA ARTIDORO GASPAR - CONSULENTE FIN A NZIARIO INDIPENDENTE Praticamente è a zero. EMANUELE BELLANO Q uesto fondo nell’ultimo anno quanto ha reso? GIANANDREA ARTIDORO GASPAR – CONSULENTE FIN A NZIARIO INDIPENDENTE Al 30 di giugno 2016 questo fondo ha reso meno 6,60 per cento. EMANUELE BELLANO FUORI CAMPO Ma chi tutela i risparmiatori dal rischio che le banche antepongano il proprio interesse a quello dei clienti allo sportello? ENRICO ZANETTI – VICEMINISTRO ECONOMIA E FINANZ E Beh, questo è un rischio possibile come del resto c’è credo in ogni settore economico. Il tema è che ci sia trasparenza su quelli che sono i costi. Una volta che i costi sono c hiari, il risparmiatore ha la possibilità di fare le sue decisioni . EMANUELE BELLANO FUORI CAMPO A Wall Street, la più grande piazza finanziaria del mondo, si sono fatti la stessa domanda. BARACK OBAMA Quello che accade è che queste commissioni spingono i promotori finanziari a raccomandare prodotti che generano alti guadagni per loro ma non necessariamente buoni guadagni per voi. C’è una parte dell’industria del risparmio oggi che opera come i pistoleri del selvaggio west. Oggi noi non abbiamo norme e le ggi per proteggere coloro che devono essere protetti. EMANUELE BELLANO FUORI CAMPO L’amministrazione Obama ha preso molto sul serio il problema. È emerso che ogni anno in America il danno prodotto ai risparmiatori è di 17 miliardi di dollari. Hanno studiato una legge e lo scorso aprile l’hanno approvata. TOM PEREZ – SEGRETARIO DEL LAVORO USA Questo significa che l’interesse del consumatore deve ora venire prima degli interessi dei promotori finanziari. EMANUELE BELLANO FUORI CAMPO La legge obbliga le banche a firmare un contratto con cui garantiscono che la commissione richiesta rappresenta un ragionevole guadagno. E se il risparmiatore ritiene inv ece che la commissione è troppo alta può portare il contratto in tribunale. Ma provvedimenti li hanno presi anche nel Regno Unito nel 2013, con una legge che vieta alle banche di ricevere commissioni quando sono loro stesse a consigliare al risparmiatore c ome investire. FILIPPO SARTO R I – DOCENTE DIRITTO BANCARIO UNIVERSIT À DI TRENTO È una riforma che ha avuto per altro un effetto epidemico. In particolare in Olanda è stata introdotta una riforma analoga a partire dal dicembre sempre del 2013, è previsto un generale divieto di percepire direttamente o indirettamente una commissione a prescindere da quella che è la natura e la tipologia del servizio. EMANUELE BELLANO FUORI CAMPO Provvedimenti simili li ha presi anche il Belgio. In Italia ancora nulla. In comp enso la società Advise O nly ha calcolato il valore delle commissioni intascate dalle banche in una posizione di conflitto di interessi. RAFFAELE ZENTI – ADVISEONLY Per difetto è intorno ai 20 miliardi all’anno, che, giusto per dare un ordine di grandezza, è circa l’1,2 - 1,4 per cento del PIL. EMANUELE BELLANO Del PIL italiano. RAFFAELE ZENTI – ADVISEONLY PIL nominale italiano. EMANUELE BELLANO FUORI CAMPO Venti miliardi sottratti agli investitori ogni anno. E il Parlamento cosa fa? PAOLO PETRINI – VI CEPRESIDENT E COMMISSIONE FINANZ E - CAMERA Nei fondi comuni d’investimento fanno pagare delle commissioni che sono dei premi pure addirittura. EMANUELE BELLANO Esattamente, è questo quello che le chiedo. Perché ci sono altri Pa esi europei che l’hanno fat to, tipo l’Olanda, il Belgio. PAOLO PETRINI – VICEPRESIDENTE COMMISSIONE FINANZ E - CAMERA Ma sono P aesi con sistemi completamente diversi, anche, soprattutto sotto il profilo finanziario, molto più accelerati dei nostri devo dire. Soprattutto... l’Olanda . EMANUELE BELLANO Eh, sicuramente più accelerati . PAOLO PETRINI – VICEPRESIDENTE COMMISSIONE FINANZ E - CAMERA Stanno un po’ avanti sotto molti aspetti. MINO TARICCO – VICEPRESIDENTE COMMISSIONE PARLAMENTARE SEMPLIFICAZIONE È uno dei temi che rientrerà nella nuova... cioè che rientra nell’accordo fatto dai P aesi a livello europeo che dovrebbe essere varata nel gennaio del 2018. EMANUELE BELLANO Però è possibile anticipare anche quello che viene fatto... e viene stabilito dall’Eu ropa, no? Come mai non lo abbiamo ancora fatto fino ad oggi? MINO TARICCO – VICEPRESIDENTE COMMISSIONE PARLAMENTARE SEMPLIFICAZIONE Questo tema del... ma io... eh... Diciamo, perché non l’abbiano fatto in passato non glielo so dire. Quello che... EMANUELE BELLA NO Beh, insomma lei è in Parlamento dal 2013 giusto? MINO TARICCO – VICEPRESIDENTE COMMISSIONE PARLAMENTARE SEMPLIFICAZIONE Sono tre anni che sono in Parlamento. EMANUELE BELLANO In tre anni si fa una legge di questo tipo, parliamo di 20 miliardi all’anno, eh... MINO TARICCO – VICEPRESIDENTE COMMISSIONE PARLAMENTARE SEMPLIFICAZIONE Ne abbiamo fatte tante altre che vanno in questa direzione. MILENA GABANELLI IN STUDIO Ne abbiamo fa tte tante altre. Qual i sarebbe ro? A l lora il decreto per esempio che risarcisce i risparmiatori truffati dalle P opolari, cosa che si poteva evitare se la vigilanza avesse fatto il suo mestiere. Ma non è di questo che stiamo parlando, bensì della normativa europea che obbliga le banche a scrivere quali sono i costi a partir e dal 2018. Mezza Europa ha deciso di adottarla subito, noi aspettiamo il 2018. Eppure secondo il rapporto del World Economic Forum , l’Italia nello sv iluppo dei mercati finanziari è 117 a su 140. I cittadini non si fidano, il costo dei servizi finanziari è il più elevato d’Europa, la CGIA di Mestre ci c lassifica come i più tartassati in commissioni bancarie. E secondo uno studio di Corriere Economia, dal 2001 al 2012, i fondi comuni di investimento hanno generato 142 miliardi di rendimento lordo. Cinquantase tte sono andati nelle tasche dei risparmiatori. Gli altri ottantacinque nelle tasche di chi li ha costruiti e venduti. Vale a dire , promotori e banche. Che è giusto che ci guadagnino per carità, però quando il divario è così ampio si chiama furto. E allora è più sicuro investire in banca oppure in Posta, che è a controllo pubblico? Intanto vediamo, Poste, come è messa.
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l futuro del bancario ed il bancario del futuro: "la causa delle crisi bancarie risiede nei dipendenti"... ma è realmente così?
10 Ottobre 2016 - 12:15
A seguito di alcuni interventi che si stanno succedendo a ritmo incalzante nelle ultime settimane, ritorniamo su un argomento del quale ci siamo occupati anche nel precedente contributo dal titolo Draghi (BCE) e la strenua difesa dell’operato delle banche: "La redditività è così bassa perché le banche sono troppe", ovvero i dipendenti bancari.
Se un extra-terrestre arrivasse oggi sulla Terra ed assistesse all’incandescente dibattito sulle banche europee (e non), si farebbe stranissime idee sulle cause della crisi del sistema bancario. Assistendo, infatti, a quotidiani interventi da parte degli organi di vigilanza, delle associazioni di banchieri, di alti vertici delle banche e di rappresentanti dei vari governi nazionali, tale malcapitato marziano penserebbe in tutta buona fede (ed erroneamente) che:
1) il problema più importante del malfunzionamento delle banche non sono le regole inefficienti, gli insufficienti controlli sulle banche, la scarsa moralità di molti consigli d’amministrazione, le dissennate politiche del credito di molti istituti bancari, le scelte scellerate in materia di finanza strutturata (in primis derivati, ma non solo), le scarse performances del sistema informatico bancario, etc.;
2) il vero problema delle banche sono i dipendenti ed il loro numero eccessivo.
E’, infatti, notorio che i bancari (attenzione: non i banchieri) di volta in volta hanno (lista non esaustiva):
ŸŸ- voluto affidare ad ogni costo i propri clienti per centinaia di miliardi di euro contro le resistenze degli alti vertici bancari che assistevano impotenti allo scempio perpetrato ai loro danni;
- piazzato a man bassa milioni di contratti derivati ai malcapitati clienti bancari al fine di incassare i succulenti flussi trimestrali derivanti da tali strumenti finanziari, nonostante l’espresso divieto dei vari c.d.a. bancari;
- praticato tassi usurari per mettersi in tasca gli illeciti interessi pagati dai clienti per arrotondare la propria busta paga;
- praticato l’anatocismo a tutti i livelli, emanando loro stessi regolamenti interni che potessero aggirare la rigida normativa statale e di Banca d’Italia;
- fatto ogni sorta di pressione sui vari organi societari bancari per impedire l’applicazione di normative e regolamenti che di volta in volta non ritenessero adeguati al fine di meglio approfittarsi dei clienti delle banche.
Se qualcuno avesse scordato in questi duri frangenti cosa sia un ragionamento per assurdo, è d’uopo specificare chiaramente, al fine di evitare ogni possibile equivoco, quanto segue:
la lista di cui sopra era il frutto di pura e semplice (ed amara) ironia!
Ironici, invece, non erano i tanti personaggi che, solo per limitarci alla scorsa settimana, si sono più volte succeduti a formulare serissime considerazioni in tale materia.
Sentiamo, infatti, cosa ha detto, fra le altre cose, nel suo intervento pubblico il Direttore Generale della Banca d’Italia e Presidente dell’IVASS Salvatore Rossi alla XLVIII Giornata del Credito in Roma (4 ottobre):
"Occorre accelerare la razionalizzazione delle strutture organizzative centrali e della rete delle dipendenze sul territorio, in modo da riassorbire l’eccesso di capacità produttiva che si è determinato in questi lunghi anni di crisi. In non pochi casi saranno inevitabili interventi sul personale: si potranno utilizzare gli ammortizzatori sociali esistenti, ovvero il pensionamento anticipato finanziato dal fondo di solidarietà di settore, per il quale è stata recentemente ampliata la possibilità di utilizzo; ma, se necessario, occorreranno interventi ad hoc."
Gli fa eco dopo pochi giorni dalle pagine del Corriere della Sera il 7 ottobre in un intervento dal titolo Le misure che servono per rafforzare le banche Lorenzo Bini Smaghi, che - lo ricordiamo per chi non lo sapesse - è Presidente di Societe Generale, nonché Presidente di Chianti Banca, essendo fra le altre cose stato (dal giugno 2005 a dicembre 2011) membro del Comitato Esecutivo della Banca Centrale Europea:
"A livello nazionale, si devono adottare misure che consentano di accelerare la ristrutturazione del sistema bancario, per favorirne l’efficienza, anche attraverso la riduzione dei costi. È inutile nasconderselo; nei prossimi anni il numero degli addetti nel settore bancario si ridurrà fortemente, anche per effetto dell’innovazione tecnologica e del cambiamento delle procedure e delle stesse abitudini dei risparmiatori. Vanno messi in atto strumenti che agevolino questa evoluzione e ne assorbano i costi sociali."
Se autorevoli interventi si susseguono giorno dopo giorno a ritmo forsennato, quasi come ci fosse la necessità di convincere la platea che questa sia la "soluzione delle soluzioni", ci permettiamo di dissentire e di non pensarla affatto come questi eminenti "autorità", che - lo ricordiamo! - sono esse stesse state parte attiva nella creazione dei problemi attuali del mondo bancario.
Secondo tali menti "illuminate" e progressiste, infatti, il futuro del bancario è il bancario del futuro, cioè la tecnologia, la banca virtuale, la spersonalizzazione dell’ultimo baluardo della fiducia nel sistema bancario, ovvero il contatto reale e fisico con la banca, cioè, in definitiva, il buonsenso.
Ed allora viene spontaneo pensare che l’intento di tali eminenti personaggi sia forse un altro:
non sarà che per preservare la propria posizione di potere e mantenere inalterati i propri privilegi le autorità bancarie (a tutti i livelli) abbiano individuato l’unico centro di costo comprimibile (cioè il personale bancario), affibbiandogli per giunta - suo malgrado - l’ingrato compito di capro espiatorio per la salvezza di tutto il sistema bancario?
Concludendo questo breve contributo, proviamo a far sorridere il lettore, anche in tempi così difficili, traducendo metaforicamente (in senso, cioè, biblico) il pensiero di tali autorità (alias "divinità") bancarie: "Oh bancari, siete troppi e siete una importante causa degli scarsi utili delle vostre banche. In più con i vostri comportamenti illegittimi (anatocismo, usura, derivati, prestiti facili, etc.) avete screditato le stesse innocenti banche, che vi avevano curato ed allevato come figli, credendo ciecamente in voi. Via, dunque, o reietti, dall’Eden Bancario, per vivere con il sudore della vostra fronte nella Valle di Lacrime dei non eletti!"
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Occhio al conto corrente: arriva la “tassa” sui salvataggi bancari
Banco Popolare, UniCredit e Ubi hanno unilateralmente aumentato i costi dei loro conti correnti motivandolo con la necessità di rientrare sui costi del “Fondo Nazionale di Risoluzione”. Una manovra che riguarda 12,4 milioni di imprese e famiglie
Una scena del film “Mary Poppins” (1964)
27 Settembre 2016 - 15:08
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Messe Frankfurt
La comunicazione è già arrivata nelle caselle mail dei dipendenti - e, pare, pure ai clienti, con l’ultimo estratto conto -: il prossimo 31 dicembre i correntisti del Banco Popolare, privati cittadini e imprese, si ritroveranno un’una tantum di 25 euro da pagare: «La manovra si giustifica come parziale recupero dei contributi versati dal Banco Popolare al neo costituito “Fondo Nazionale di Risoluzione”. Contributi che, per il quarto gruppo bancario italiano, sono quantificati in 152,1 milioni di euro per l’anno 2015. I correntisti si ritroveranno questa “tassa” sotto la voce ”Spese fisse di liquidazione”.
Schermata 2016 09 26 Alle 16
La comunicazione del Banco Popolare
Non è il solo, il Banco Popolare, ad aver adottato questa misura. Anche UniCredit e Ubi, rispettivamente secondo e il quinto gruppo bancario italiano per numero di sportelli, hanno adottato la medesima strategia.
Relativamente a UniCredit, cambiano le motivazioni e la forma, ma non la sostanza. Sull’ultimo estratto conto di MyGenius del 31 marzo 2016, conto base dell’istituto di credito di piazza Gae Aulenti - a canone zero, «che ti offre l’essenziale per gestire il tuo denaro» - si legge che «alcuni interventi legislativi e/o regolamentari nonché impegni imposti da Autorità (…) hanno determinato dei costi e minori ricavi per la Banca, che costituiscono giustificato motivo per un aumento (…) del Canone Mensile Relativo ai Moduli Transazionali». Pertanto, con decorrenza 1 luglio 2016 (…) si intenderanno applicate nella nuova misura indicata in corrispondenza» un canone mensile rispettivamente di 5, 7 e 12 euro aggiuntive, a seconda che il conto sia Silver, Gold o Platinum.
Curioso è il fatto che sul sito internet di UniCredit questo sovrapprezzo sia motivato da servizi aggiuntivi - col conto Silver UniCredito offre un libretto di assegni, col conto Gold una carta di credito - e non, invece, dall’entrata in vigore del Facta, dall’aumento dell’Iva e dall’accordo per la costituzione di un fondo per la risoluzione delle crisi bancarie, come invece si legge sull’estratto conto.
Il prossimo 31 dicembre i correntisti del Banco Popolare, privati cittadini e imprese, si ritroveranno un’una tantum di 25 euro da pagare. Ma anche UniCredit e Ubi hanno adottato provvedimenti simili
Schermata 2016 09 27 Alle 12
L’estratto conto di UniCredit
Ubi invece ha adottato una strategia ancora diversa. Come si legge in un articolo del 30 luglio 2016 uscito sul Sole24Ore, la banca bresciana ha proposto a un suo correntista un aumento del costo di gestione del suo conto corrente da 40 a 64 euro. Un +60%, con decorrenza primo ottobre, motivato dall’ aumento «delle spese sostenuto dal gruppo Ubi per il Fondo di garanzia dei depositi e gli oneri sostenuti dal gruppo creditizio per il finanziamento del Fondo nazionale di risoluzione».
Anche in questo caso, il gruppo precisa di essersi attenuto alle indicazioni dell’Arbitro Bancario Finanziario, secondo cui «il giustificato motivo è l’unica condizione sostanziale (…) affinché possa essere modificato unilateralmente un negozio giuridico in regolare svolgimento». Tutto in punta di diritto, quindi.
Facciamo due conti, però. Perché sommando le tre banche arriviamo a circa 12,4 milioni di famiglie e imprese clienti. Più o meno il 20% della popolazione italiana che si è trovata o si troverà, sull’estratto conto, una tassa in più da pagare. E poco importa, in fondo, che di questo balzello non si trovi traccia nella dichiarazione dei redditi. Quel che importa, semmai, è che alcuni grandi gruppi bancari italiani abbiano scaricato sui clienti finali parte del costo dei salvataggi bancari di questi ultimi mesi.
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Gentile direttore,
lunedì sera ho visto il programma Report su Rai Tre (ottimo giornalismo d’inchiesta). Se vogliamo fare sintesi, prenderei in considerazione tre punti essenziali della trasmissione. Partirei dal punto principale che porterebbe a dire la scarsa o quasi assoluta conoscenza finanziaria dell’investitore (lo scandalo delle banche toscane e venete è attualissimo). Come secondo punto mi soffermerei sull’opacità dei prodotti finanziari che i promotori delle banche propongono alla loro clientela (la maggior parte delle persone non è al corrente nel dettaglio su dove sta mettendo i suoi risparmi). Mai sentito un promotore bancario suggerire titoli di Stato. E per concludere, la grande forza del sistema finanziario di questo Paese sulla politica. E’ stata approvata in sede europea una norma sulla maggiore trasparenza delle commissioni bancarie applicate alla clientela. Stati come Belgio Olanda Francia la stessa Germania la normativa è già applicata. Nel nostro bel Paese forse la politica se ne occuperà nel 2018 sempre crisi permettendo.
Giancarlo Dati
Castelleone
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http://www.linkiesta.it/it/blog-post/2016/10/20/la-redditivita-delle-banche-ed-i-veri-tartassati-note-su-uno-studio-de/24747/
La redditività delle banche ed i veri "tartassati": note su uno studio della CGIA in merito alle commissioni bancarie
20 Ottobre 2016 - 16:05
Torniamo ad occuparci - anche alla luce del precedente contributo dal titolo Draghi (BCE) e la strenua difesa dell’operato delle banche: "La redditività è così bassa perché le banche sono troppe" - di un tema attualissimo che sta focalizzando l’attenzione e le preoccupazioni di tutto il mondo finanziario: la redditività degli istituti bancari italiani.
Lo facciamo andando a puntualizzare ciò che tanta parte degli alti vertici delle banche sembra aver "dimenticato" (?!?) e che, invece, un interessantissimo documento dell’Ufficio Studi della CGIA (l’Associazione Artigiani e Piccole Imprese di Mestre) di inizio ottobre - dal significativo titolo Banche: i clienti italiani sono i più tartassati d’Europa - ci ricorda.
Ci riferiamo alla struttura dei ricavi e dei costi ovvero, in altre parole, a come la banca fa il suo mestiere, approvvigionandosi di capitali presso i finanziatori (in primis azionisti, obbligazionisti e correntisti) e dall’altra impiegando tali disponibilità nelle più svariate maniere (credito ai privati, crediti alle aziende, portafoglio titoli, etc.).
Non passa giorno che i vari Draghi (presidente BCE), Visco (Governatore Banca d’Italia), Patuelli (presidente ABI) e compagnia bella non si "straccino le vesti" dichiarando ai quattro venti la loro assoluta incolpevolezza in tutta la macelleria sociale che sta avvenendo a causa della crisi delle banche (basti pensare a Banca Popolare Vicenza, Veneto Banca, le 4 banche risolte, etc.) e nello stesso tempo addossando tutte le colpe di tale catastrofe alla scarsa redditività, derivante - a loro dire - dalla curva dei tassi d’interesse appiattita intorno allo zero e da costi operativi troppo alti (in primis il personale, cfr. il precedente contributo dal titolo Il futuro del bancario ed il bancario del futuro: la causa delle crisi bancarie risiede nei dipendenti"... ma è realmente così? .
In pratica tali eminenti personaggi vanno affermando (sapendo di mentire?!?) che i "tartassati" sono - al contrario di quello che scrive la CGIA nel suo documento - proprio gli incolpevoli istituti bancari, che, per tutta una serie di congiunture astrali sfavorevoli (ivi compresa, forse, anche la cometa di Halley!), hanno visto ridurre il proprio lucroso business a poca cosa e, quindi, sono "saltati" (le banche in risoluzione) o stanno per saltare (Banca Popolare di Vicenza, Veneto Banca, Cassa di Risparmio di Genova, solo per citarne alcune) o sono già "tecnicamente fallite" (in Toscana l’argomento è molto sensibile).
Breve parentesi sociologica: a proposito del pittoresco termine "tartassati", immaginiamo che molti ricordino il notissimo film "I tartassati (di ieri, di oggi e di domani)" di Steno interpretato dai magistrali Totò ed Aldo Fabrizi (assieme al francese Louis de Funès) nel lontano 1959. di cui in copertina abbiamo riportato - non a caso! - una delle tante esilaranti locandine ed un fotogramma in bianco e nero.
Qui di seguito, quindi, vorremmo andare ad analizzare brevemente alcuni punti essenziali del summenzionato report di CGIA per cercare di rispondere a questa domanda:
sono davvero le banche i soggetti tartassati in questa triste vicenda, come vanno affermando i banchieri? O forse i veri tartassati sono i loro clienti (in primis obbligazionisti e correntisti)?
Nello studio dell’Associazione di Mestre sono riportate alcune tabelle, fra cui la numero 1 è molto interessante al riguardo.
2016
Essa riporta come la voce "commissioni nette" incida, nell’anno fiscale 2015, sul "margine di intermediazione" delle banche italiane.
Ricordiamo che le commissioni nette sono costituite dalla differenza tra ricavi/entrate (commissioni attive su servizi erogati, prezzi di vendita di titoli e di valute ecc.) e costi/uscite (commissioni passive per servizi ricevuti, prezzi di acquisto di titoli e di valute ecc), laddove i servizi bancari più noti riguardano, fra le altre cose, i conti correnti, i servizi bancomat/carte di credito, i servizi di incasso/pagamento, le gestioni patrimoniali, l’intermediazione e il collocamento di titoli.
Il margine d’intermediazione, invece, è una voce composta dalla somma algebrica di interessi attivi e passivi (il c.d. margine d’interesse), rettifiche nette su crediti (il c.d. margine d’interesse rettificato), dividendi e altri proventi, ricavi netti per servizi, profitti e perdite da operazioni finanziarie ed altri proventi netti di gestione.
La Tabella di cui sopra evidenzia, quindi, un primo importante dato di fatto:
in Italia l’incidenza delle commissioni nette sui ricavi netti del banche è la più alta fra gli Stati Europei, essendo, ad esempio, più che doppia rispetto ai Paesi Bassi e del 40% più alta rispetto alla Germania.
In altra tabella dello studio della CGIA (la numero 2) è presentato l’andamento storico delle varie componenti reddituali del conto economico del sistema banche italiane, nel periodo che va dal 2008 al 2015.
2016
Secondo dato di fatto incontestabile:
anche qui le banche italiane sono prime nella graduatoria, essendo riuscite ad aumentare in percentuale (1° posto) ed in valore assoluto (2° posto dietro alla Francia) l’incidenza delle commissioni nette nell’arco di 7 anni, a fronte, ad es., del Regno Unito e dell’Austria in cui addirittura sono diminuite.
Nel report dell’Associazione di Mestre si dimostra, poi, numeri alla mano (tabella numero 3), un terzo ed ultimo fatto incontestabile:
a livelli di ricavi netti - checché ne dicano i banchieri -, il "fatturato" complessivo delle banche italiane dal 2008 al 2015 è cresciuto di un significativo 3,7%, passando da 78,322 a 81,234 miliardi di euro.
2016
Cosa ci dicono tutti questi numeri considerati nella loro globalità? In tutta semplicità rispondono alla domanda che ci eravamo posti in precedenza in merito a chi fosse il vero "tartassato" fra la banca ed il suo generico cliente:
le banche negli ultimi anni, avendo avuto problemi di incasso nella loro gestione operativa creditizia (credito alle imprese, soprattutto le più grosse (vd. le considerazioni svolte in La crisi delle banche e la soluzione di buon senso: brevi note sul Modulo 253 ), hanno cominciato a spostare la propria redditività sul trading titoli e sulle spese rimesse alla clientela, "tartassando", quindi, l’incolpevole cliente bancario (specialmente il normale correntista) con balzelli, spese e commissioni sempre più alte.
Il caso di pochi giorni fa in cui giorni alcune banche hanno scelto di addebitare ulteriori costi ai servizi di conto corrente al fine di rientrare parzialmente dei costi legati ai salvataggi bancari imposti al sistema del credito è un’altra di quelle "prove provate" (senza possibilità d’appello) di chi siano veramente i tartassati in questa difficile epoca finanziaria.
A conclusione di questa breve analisi sembra di poter ribadire che il vero problema non è la redditività delle banche, ma semmai il modo dissennato con cui è "stata fatta banca" fino ad adesso (vd. le argomentazioni di cui a Il vaso di "Bancora": brevi note sul credito deteriorato delle banche e sui più che legittimi dubbi circa i numeri ufficiali ).
La scarsa redditività, quindi, - diciamo una volta per tutte! - è frutto delle scelte operative sbagliate delle banche (concentrazione del rischio di credito su pochi soggetti, garanzie richieste alla clientela non sufficienti, politiche di credito ai vari "compagni di merenda" a scapito di clienti più affidabili, per non parlare di finanza "creativa", operazioni speculative sbagliate, etc.), che la crisi economica ha semplicemente acuito e fatto venire a galla.
Riprendendo alcune argomentazioni già svolte all’interno di questo blog nel summenzionato contributo, potremmo, infine, chiosare quanto sopra dicendo (in altre parole) che:
non è la crisi economica che ha affossato molti istituti bancari italiani, bensì essa è stata semplicemente la goccia che ha fatto "traboccare il vaso" ... "di Bancora"!
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Boom di utili per le banche Usa: in tre mesi "coperta" la manovra di Renzi
Boom di utili per le banche Usa: in tre mesi "coperta" la manovra di Renzi
(ap)
La sei grandi banche americane (Goldman Sachs, Morgan Stanley, Jp Morgan, Wells Fargo, Citi e Bank of America) hanno archiviato il terzo trimestre dell’anno con 24,3 miliardi di dollari di utile. Sui dodici mesi il record risale al 2006: 83 miliardi di profitti
di GIULIANO BALESTRERI
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31 ottobre 2016
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MILANO - La crisi non abita più qui. Le grandi banche americane potrebbero scriverlo a caratteri cubitali sulle loro porte d’ingresso. Negli Stati Uniti la politica monetaria a tassi zero ha spinto forte l’acceleratore sulla crescita, ha aumentato gli investimenti e le commissioni bancarie: abbastanza perché gli istituti Usa riuscissero a compensare il calo dei redditi legato ai tassi.
E così quando a dicembre dello scorso anno la Fed ha avviato la sua stretta monetaria con il primo alzo del costo del denaro dal 2008, gli utili bancari hanno ripreso a crescere senza sosta. Un circolo virtuoso perché accompagnato dalla sostanziosa ripresa degli Stati Uniti dove nel terzo trimestre il Pil è cresciuto, oltre le attese del 2,9%. Un numero che visto dall’altra sponda dell’Atlantico fa solo crescere l’invidia. Aumentando quella sensazione di impotenza che già si respira nei corridoi della Bce: nonostante le iniezioni di liquidità da 80 miliardi di euro al mese e il costo del denaro azzerato (per non parlare del prezzo che le stesse banche devono pagare per depositare la propria liquidità), l’economia nostrana in riparte. E le grandi banche a ruota faticano a rimettere in moto i loro utili.
Peggio, mentre in Europa l’inflazione resta ancorata a quota zero - con Mario Draghi impegnato ogni mese a lottare contro la deflazione -, i Big americani si preparano a chiudere un’annata record. Con risultati non lontani dal 2006 quando prima dell’esplosione della crisi e del fallimento di Lehman Brothers del 2008, le sei più grandi banche chiusero i dodici mesi con 83 miliardi di utili. Il 2016 potrebbe rivelarsi altrettanto generoso: basti pensare che nel terzo trimestre dell’anno le Big six (Goldman Sachs, Morgan Stanley, Jp Morgan, Wells Fargo, Citi e Bank of America) hanno messo insieme utili per 24,3 miliardi di dollari. Poco meno di quello che il governo Renzi ha scritto nella manovra di bilancio: 26,5 miliardi di euro. Secondo Bruxelles ci sarebbero 1,6 miliardi di spese di troppo: esattamente l’utile messo a segno in 90 giorni da Morgan Stanley, la più piccola delle grandi.
E così mentre Palazzo Chigi insieme al ministero del Tesoro impegnerà gli ultimi
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tre mesi dell’anno a cercare di raggiungere un’intesa con l’Unione europea sulla coperture con l’obiettivo di non sforare il tetto al deficit imposto dal Patto di Stabilità, le grandi banche americane saranno occupate a fare utili, inseguendo il record del 2006.
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Le mirabolanti soluzioni della BCE per salvare la redditività delle banche
Scritto il 25 ottobre 2016 alle 09:41 da Danilo DT
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Il sistema bancario europeo sta vivendo una fase di grande crisi. I motivi sono differenti. Innanzitutto ci sono stati dei grossi problemi di governance che, conditi con una crisi economica ed una fase di stagnazione che dura da tempo , hanno contribuito alla creazione di una quantità notevole di sofferenze bancarie, i famigerati NPL o non performinig loans.
Tutto questo ha generato non solo violenti “sell off” che hanno abbattuto il prezzo in borsa delle banche, ma ha anche obbligato i vari istituti di credito a forti “cure dimagranti”, costringendo a tagliare costi, personale, vendere asset non strategici e ripensare ai vari modelli di business.
Tutto questo può anche essere condivisibile e comprensibile. Dopo anni dove le banche andavano avanti “col pilota automatico”, approfittando di spread “denaro lettera” decisamente importanti che avrebbero permesso anche ad un asino di guidare un gruppo bancario, siamo entrati in un “nuovo mondo” per il credito.
E vi posso garantire che, alcune volte, ci fosse proprio stato un asino, sarebbe anche stato meglio, visto che è molto più intelligente e meno bestia di certi manager estremamente politicizzati che abbiamo avuto modo di conoscere in questi anni. Ma questa è un’altra storia.
Oltre a quanto detto sopra poi, c’è la BCE. L’intervento di Draghi concretizzato con una politica monetaria non convenzionale che ha portato i tassi a zero e addirittura negativi, ha sicuramente salvato i paesi più deboli, ed ha anche incentivato il canale del credito. Ma ha anche abbattuto la redditività delle banche le quali, come dicevo prima, hanno dovuto rivedere il loro modello di business. Più servizi e meno raccolta ed impieghi. Però adesso il “tasso zero” sta diventando un serio problema per il sistema.
Questa cosa preoccupa tutti, le banche in primis, le quali si stanno ingegnando anche in business alternativi (tipo la vendita di servizi diversi come l’intermediazione immobiliare oppure la negoziazione di beni ad alto contenuto tecnologico). E come ciliegina sulla torta, le banche hanno pensato bene di fare la cosa più semplice: aumentare i costi e le commissioni per i clienti.
Già, le commissioni, cresciute a dismisura fino a portare le banche italiane ad essere tra le più care in Europa e quindi i risparmiatori ad essere tra i più tartassati. La mitica CGIA di Mestre ha messo il becco anche in questa vicenda uscendo fuori con numeri e dati abbastanza imbarazzanti.
(…) “Se teniamo conto che con la crisi economica sono cresciute a dismisura le sofferenze in capo alla clientela e la contrazione dei tassi di interesse ha ridotto ai minimi termini i margini di redditività delle nostre banche, queste ultime, appesantite da costi fissi ancora troppo elevati hanno ritenuto più conveniente ridurre gli impieghi, e quindi i rischi, e aumentare i ricavi dalle commissioni sui conti correnti, sui servizi bancomat/carte di credito, i servizi di incasso/pagamento e dalle attività extra creditizie, come la vendita di titoli, valute e strumenti di capitale”.(…) Sebbene in questi ultimi anni siano in costante diminuzione, l’Ufficio studi della CGIA segnala che anche i costi strutturali del nostro sistema bancario rimangono i più elevati d’Europa. (CGIA)
E queste slides, cari amici, vi spiegano tutto. Sia quanto sia problematica la redditività per
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E’ tutto chiaro, no? Ed è altrettanto evidente che non è ipotizzabile dovere spremere ulteriormente il povero correntista. Forse per noi è così, ma non per tutti…
Sempre sponda BCE, ecco cosa dice l’illuminata “problem solver” Nouy.
(…) Di fronte a tassi d’interesse così bassi che intaccano i bilanci, le banche devono cambiare modello di business e trovare fonti alternative di entrate. Tra queste – secondo Danièle Nouy, presidente del Consiglio di vigilanza bancaria della Bce – ci sono anche «le commissioni bancarie». In ogni caso «i margini per ridurre i costi» ci sono e le banche «dovrebbero diventare meno dipendenti dai margini d’interesse». (…)
E brava te! Hai scoperto l’acqua calda! Grazie per la tua ricetta miracolosa che salverà il sistema finanziario. Credi che le banche non stiano operando in quella direzione? Ma solo tagliare i costi ed alzare le spese in modo indiscriminato può diventare autolesionistico. Ma queste cose, chi è nelle cabine di regia alle altissime sfere, non le capisce. E forse non capisce nemmeno cosa hanno fatto con gli stress test.
(…) «È chiaro che non abbiamo trattato Deutsche Bank diversamente dalle altre banche, ogni cosa è pubblica», ha evidenziato, rilevando che «le regole sono state applicate perfettamente, i nostri componenti sono paranoici sulle regole e così lo sono anche io: puoi essere duro solo se sei giusto». (CdS)
Ma tu guarda, non solo cerca di regalarci consigli risolutori, ma poi smentisce quello che invece appare chiarissimo in ambito “agreements” a favore di DB negli ultimi Stress Test. Ma tanto a loro che importa… E se speriamo che da queste persone arrivino gli input per una possibile Unione Bancaria come Dio comanda, allora siamo totalmente fuori strada.
STAY TUNED!
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Bankitalia: cala il costo dei conti correnti, servono in media 76,5 euro
In calo il costo dei conti correnti. Nel 2015 la spesa media per la gestione di un conto corrente è stata di 76,5 euro, in calo di 5,8 euro rispetto all’anno precedente. A essere convenienti sono soprattutto i contratti più recenti, perchè le banche applicano in genere condizioni economiche più favorevoli per la nuova clientela. Dal 2010 la spesa di gestione dei conti correnti è diminuita di oltre 14 euro. Così la Banca d’Italia nell’indagine annuale sull’onerosità dei conti correnti, fatta su un campione di 13.200 conti con dati acquisiti presso 622 sportelli di 178 banche e 46 dipendenze postali.
bankitalia“Nel 2015 la spesa media di gestione dei conti correnti è diminuita di 5,8 euro rispetto all’anno precedente, attestandosi a 76,5 euro. L’onerosità complessiva è determinata principalmente dall’ammontare delle spese fisse e dal numero di operazioni effettuate nell’anno – spiega Bankitalia – La spesa per canoni e per gli altri oneri fissi è diminuita di 3,9 euro, per effetto principalmente dei minori canoni di base (-3,3 euro); le spese variabili sono diminuite di 1,9 euro per effetto delle minori commissioni, che hanno compensato la crescita del numero medio di operazioni effettuate (da 140,4 a 143,8 unità); a parità di operazioni le spese variabili sarebbero diminuite di 2,1 euro per effetto delle minori commissioni unitarie”. I contratti più recenti sono quelli con condizioni economiche migliori: fra di essi, la metà dei correntisti ha sostenuto una spesa inferiore a 61,1 euro (in calo rispetto ai 63,6 euro del 2014 e ai 66,3 euro del 2013).
Tutto questo si inserisce in un quadro che Bankitalia definisce di “progressiva riduzione della spesa” perché “nel periodo 2010-2015 la spesa di gestione dei conti è diminuita in media del 3,4 per cento annuo, con una variazione complessiva di 14,6 euro (era pari a 91,1 euro nel 2010). La contrazione della spesa, avvenuta in concomitanza con l’aumentata operatività della clientela è dipesa per l’86 per cento dalle minori spese fisse e per la parte restante dalle minori commissioni applicate sulle disposizioni”. Molto meno costosi sono i conti correnti postali: nel 2015, la spesa media si è attestata a 49 euro, 4,6 euro in meno rispetto al 2014.
Sono numeri che non convincono l’Unione Nazionale Consumatori. “Dati inverosimili – commenta l’associazione – Considerato che, secondo i dati BCE, nel 2015 i ricavi netti derivanti dalle commissioni bancarie hanno sfiorato i 30 miliardi di euro (29,675), 2,102 mld in più rispetto al 2014, con un balzo annuo del 7,6%, ci sorge spontanea una domanda: come vengono fatti questi calcoli?”.
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1 ottobre 2016
Commissioni bancarie, Cgia: clienti italiani i più tartassati dʼEuropa
Negli ultimi 7 anni i costi dei conti correnti, delle carte di credito e degli altri servizi bancari in Italia sono aumentati del 20%
Nel 2015 l’incidenza percentuale delle commissioni nette sui ricavi delle banche italiane (pari al 36,5%) è stata la più elevata d’Europa. In Francia la quota si è attestata al 32,9%, in Austria al 27,5%, in Germania al 26,2% e nei Paesi Bassi al 17%. Lo afferma la Cgia di Mestre, spiegando che l’anno scorso i ricavi netti derivanti dalle commissioni bancarie hanno sfiorato i 30 miliardi di euro, quasi 5 miliardi in più rispetto al 2008.
Boom delle commissioni negli ultimi sette anni - In particolare, l’Ufficio studi della Cgia, segnala che negli ultimi 7 anni (2008-2015) la crescita dei costi dei conti correnti, delle carte di credito e degli altri servizi bancari ha subito in Italia un’impennata che non ha avuto eguali nel resto d’Europa. Se l’incremento è stato del 20% in Italia, nel Regno Unito si è fermato all’11,5%, in Francia all’ 11,1%, in Spagna al 6,5%, mentre in Germania (-4,6%), in Belgio (-7%) e soprattutto nei Paesi Bassi (-27%) c’è stata una forte diminuzione.
Cgia: "Banche hanno ridotto i rischi e puntato sulla sicurezza dei costi dei servizi" - "Se teniamo conto - spiega Paolo Zabeo dell’Ufficio studi della Cgia - che con la crisi economica sono cresciute a dismisura le sofferenze in capo alla clientela e la contrazione dei tassi di interesse ha ridotto ai minimi termini i margini di redditività delle nostre banche, queste ultime, appesantite da costi fissi ancora troppo elevati hanno ritenuto più conveniente ridurre gli impieghi, e quindi i rischi, e aumentare i ricavi dalle commissioni sui conti correnti, sui servizi bancomat/carte di credito, i servizi di incasso/pagamento e dalle attività extra creditizie, come la vendita di titoli, valute e strumenti di capitale".
Come sono cambiati dal 2008 i ricavi delle banche - Dall’inizio della crisi (2008) al 2015, per la Cgia, i ricavi netti degli istituti di credito italiani da operazioni di prestito sono diminuiti di 13 miliardi (-25,3%), per contro l’incasso ascrivibile alle commissioni nette è aumentato di 4,9 miliardi (+20%) e quello relativo alla voce altri ricavi netti (costituito prevalentemente da attività assicurative o di negoziazione di titoli, valute e strumenti di capitale) è salito di 11 miliardi (+556,5%).
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Boomerang del Salva Banche
Su le spese dei conti correnti
Salgono i costi per recuperare lo sbilancio degli 1,8 miliardi destinati a CariFerrara, CariChieti, Banca Marche e Banca Etruria. Al Banco Popolare 25 euro una tantum da dicembre. In Ubi dal 29 settembre depositi più cari di 12 euro «per accrescere la tutela» sui propri clienti. Aumenti diversi anche in CheBanca! e Unicredit
di Alessandra Puato
Le banche spendono di più, per la crisi? Anche ( alcuni) correntisti. È l’effetto boomerang del salvataggio, avvenuto un anno fa, di Banca Etruria, CariChieti, CariFerrara e Banca Marche: stanno aumentando i costi dei conti correnti, per finanziare il Fondo nazionale di risoluzione intervenuto al sostegno degli istituti che stavano fallendo. Gli aumenti per ora sono limitati ad alcuni casi (per esempio, il Banco Popolare), ma potrebbero in tutta logica estendersi. Ci sono banche che stanno aumentando i costi dei depositi anche per altri motivi. Ubi, per esempio, perché deve finanziare maggiormente il Fondo interbancario, l’altro strumento alimentato da tutto il sistema bancario, quello per tutelare i conti correnti dei propri clienti (fino a 100 mila euro), in caso di fallimento della banca. CheBanca! invece, risulta al Corriere, sta alzando le spese per via delle aumentate commissioni interbancarie sulle carte di credito. Motivazione addotta anche da Unicredit.
In controtendenza Intesa Sanpaolo: «Noi non lo facciamo e non lo faremo. Nessun costo per questo intervento verrà imputato ai clienti», ha detto il presidente Gian Maria Gros Pietro, in audizione alla Camera il 28 settembre, riferendosi alle commissioni per rientrare dell’esborso per il Fondo di risoluzione. Il gruppo guidato da Carlo Messina ha già aumentato i costi dei conti correnti (fermi da anni) nel primo semestre (+35% da gennaio l’Indicatore sintetico di costo annuo del Conto Facile a 115,8 euro) , ma per altre cause (le carte di credito).
«Niente fondi pubblici», si disse nel 2015 parlando del salvataggio delle quattro banche. Difatti. Sono soldi privati: quelli, anche, dei correntisti. Chiamati a coprire (benché solo in parte) i maggiori costi delle banche sane, per sostenere quelle in difficoltà. Il caso è stato sollevato da L’Inkiesta e rilanciato dal Giornale. In effetti il fenomeno è in corso e può essere un terremoto per la reputazione delle banche. Nei primi sei mesi dell’anno l’aumento dei costi dei conti correnti per famiglie delle dieci maggiori banche è stato del 6%, secondo l’ultima elaborazione del Corriere Economia. Cifra destinata, dunque, ad alzarsi. Del resto, il Fondo di risoluzione ha versato quasi 1,8 miliardi (1,763, per la precisione) per salvare le quattro banche, che ora cercano acquirenti sul mercato, disposto a pagare secondo indiscrezioni solo circa 400 milioni. Lo sbilancio è di quasi un miliardo e mezzo: una perdita secca, soldi che pesano sulla voce «costi» nei bilanci delle banche sane, che al Fondo contribuiscono. E dunque in qualche modo devono rientrare. Un periodo di esborsi così elevati da parte delle banche per via delle crisi, del resto, non si vedeva da anni. L’ultimo salvataggio che in ambienti bancari ci si ricordi è la Sicilcassa a fine anni ‘90, ma decisamente meno rilevante delle situazioni odierne.
Al Banco Popolare guidato da Pier Francesco Saviotti l’aumento del conto corrente annunciato è di massimo 25 euro, una tantum, che andranno pagati dai clienti in dicembre, con le spese fisse di chiusura annua del conto. È stato comunicato ai correntisti con una lettera il 22 settembre scorso: «Proposta di modifica unilaterale del contratto» (il cliente ha poi per legge sempre 60 giorni per accettare o recidere il rapporto). L’istituto spiega in sostanza che quest’anno, per contribuire al Fondo di risoluzione, ha versato oltre 150 milioni, circa il quintuplo rispetto al 2015: come dire, l’utile netto di una media banca. Il contributo, in dettaglio, è stato di 152,10 milioni , contro i circa 30 dell’anno scorso. Sono 120 milioni in più: un «comprovabile effetto sugli squilibri economici della banca», sottolinea l’istituto che raduna la Popolare di Verona e di Novara e si dice nella «necessità di mitigare il contributo». Nella ragionevole e maggiore ipotesi che i 25 euro siano pagati da un milione e mezzo di correntisti (sui 2 milioni totali dell’istituto), i clienti del Banco contribuirebbero per circa 37 milioni al salvataggio di Banca Marche, CariFerrara, Banca Etruria e CariChieti. Circa un quarto della somma versata dalla banca.
Altro caso è quello di Ubi (peraltro, una delle candidate a rilevare alcune delle quattro banche salvate). L’istituto guidato da Victor Massiah aumenta dal 29 settembre di 12 euro all’anno il canone dei propri conti correnti (per i clienti con più di 30 anni, «non quelli per i giovani», sottolinea la banca), per rafforzare il paracadute ai clienti costituito dal Fondo interbancario. È quello che tutela i correntisti in caso di fallimento della propria banca, rimborsando loro fino a 100 mila euro sui depositi. L’incremento è attribuito a un aumento dei «costi di produzione» che la banca sostiene per detenere i depositi della clientela, per il recepimento di due direttive europee (la 2014/49 Ue e la 2014/59/Ue, riguardanti appunto le garanzie dei depositi e anche il fondo di risoluzione). «Sono costi che nel solo 2016 ammonteranno a circa 60 milioni e che in precedenza non c’erano — dice Ubi — . Verranno condivisi con i clienti (il recupero degli stessi per la banca non è integrale) che in cambio ne riceveranno una sorta di ulteriore assicurazione». La motivazione, in dettaglio, è che la banca, oltre a fattori negativi come i tassi d’interesse bassi ai quali la Bce remunera il denaro agli istituti di credito, sostiene anche «costi normativi crescenti». Si sottolinea, comunque, il recupero parziale di queste spese attraverso i risparmiatori. «Condividere una parte del costo con i clienti, quando questo è chiaramente identificato e corrispondente a un’assicurazione ulteriore per gli stessi — dice Ubi — è una manovra che permette alla banca di recuperare i costi solo in parte».
Il caso CheBanca!
Ci sono poi altri interventi sull’aumento dei costi, formalmente sganciati dai salvataggi. In CheBanca!, per esempio — segnala Altroconsumo al quale la questione è stata posta da un consumatore — il Conto Tascabile raddoppierà dal primo novembre da uno a due euro al mese (quindi 24 all’anno), per via dell’aumento europeo delle commissioni interbancarie, in vigore dal dicembre scorso: sono quelle spese sostenute tra un istituto di credito e l’altro per i pagamenti con le carte di credito e debito.
«Con il Regolamento Ue 751/2015 — scrive la banca guidata da Gian Luca Sichel al suo correntista — l’Unione Europea ha stabilito un limite massimo alle commissioni interbancarie applicabili agli esercenti convenzionati per le operazioni di pagamento effettuate tramite carte, comprese le carte prepagate. L’introduzione di questo limite ha determinato una riduzione di quanto viene riconosciuto a CheBanca!, anche a copertura dei rischi e dei costi di gestione sostenuti in qualità di emittente delle carte di pagamento, a fronte delle operazioni sopra indicate».
C’è poi il caso di Unicredit che ha aumentato del 3% da inizio anno (ma già nel primo semestre, dunque prima di questo terremoto mediatico), i costi di alcuni conti correnti: non i depositi base, ma i più evoluti e transazionali della linea My Genius. «Sono quelli che più risentono dei crescenti vincoli operativi introdotti dalla regolamentazione — dice l’istituto guidato dal nuovo amministratore delegato Jean Pierre Mustier —. Gli aumenti in questione non sono legati alla risoluzione delle quattro banche italiane. Come comunicato ai correntisti interessati, infatti, tali aumenti sono spiegati da una serie di fattori, legati prevalentemente a oneri indotti da novità legislative e impegni regolamentari». Tra questi, c’è l’aumento delle commissioni interbancarie sulle carte di debito e credito. E, però, anche «l’accordo in sede Ue per la costituzione di un fondo per la risoluzione delle crisi bancarie».
I consigli ai risparmiatori
Altroconsumo raccomanda perciò ai correntisti di verificare le email e le lettere che arrivano dalle banche. «Per legge tutte le variazioni devono essere comunicate al correntista con un preavviso di due mesi — dice l’associazione presieduta da Paolo Martinello, che sul proprio sito fra l’altro compara i costi dei diversi istituti —. In questo periodo di tempo di due mesi si può cambiare banca pagando le vecchie condizioni alla ricerca di condizioni migliori. Anche in questa circostanza, come è sempre bene fare, confrontare le condizioni del proprio conto con quelle migliori che si possono trovare sul mercato».
Patuelli: «Rivoluzione del sistema»
Intanto il presidente dell’Abi, Antonio Patuelli, parla di «profonda rivoluzione» del sistema bancario che ha avviato la fase di ristrutturazione. Una situazione da affrontare anche con «misure» da parte delle «autorità pubbliche». In particolare il capo dell’Associazione bancaria italiana, interpellato il 28 settembre alla presentazione dell’iniziativa «Invito a palazzo» organizzata da banche e fondazioni, si riferisce, riporta un’agenzia Radiocor, ai 200 milioni annui che le banche versano alla Naspi, il fondo per la solidarietà ai dipendenti licenziati che le banche non stanno utilizzando. Questi soldi, è la tesi, potrebbero aiutare a finanziare il fondo esuberi, finora pagato solo dalle banche.
28 settembre 2016 (modifica il 28 settembre 2016 | 18:42)
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Commissioni bancarie, fissati i nuovi limiti per affidamenti e scoperti
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In attuazione delle nuove norme dell’art. 117-bis del Testo Unico Bancario (TUB) in tema di remunerazione onnicomprensiva degli affidamenti e degli sconfinamenti nei contratti di conto corrente e di apertura di credito, il Ministro dell’Economia e delle Finanze, Mario Monti, nella qualità di Presidente del Comitato Interministeriale per il Credito e il Risparmio (CICR), ha emanato, su proposta della Banca d’Italia, un decreto d’urgenza, ai sensi dell’art. 3, comma 2, dello stesso TUB.
La nuova disciplina interviene sulla struttura delle commissioni e prevede che, oltre ai tassi debitori sull’ammontare effettivamente utilizzato, siano consentite esclusivamente:
per gli affidamenti, una commissione onnicomprensiva per la messa a disposizione dei fondi. La commissione non può eccedere lo 0,5% dell’accordato per trimestre;
per gli sconfinamenti (scoperti di conto e utilizzi extrafido), una commissione di istruttoria veloce, espressa in misura fissa e in valore assoluto, commisurata ai costi.
La proposta della Banca d’Italia è stata formulata tenendo conto delle osservazioni emerse in esito alla procedura di consultazione pubblica, con la formale intesa della CONSOB.
Il provvedimento, che si compone di cinque articoli, delinea ambito e portata della nuova disposizione e ne estende l’ambito di applicazione - come consentito dalla nuova norma sopra menzionata - ad altre fattispecie per le quali si riscontrano analoghe esigenze di tutela del cliente, quali i contratti con i consumatori o i casi in cui esista un conto corrente sul quale sono regolate le operazioni disciplinate dallo stesso art. 117-bis TUB, compresi gli sconfinamenti su conti di pagamento e su carte di credito.
Vengono, inoltre, precisati alcuni profili applicativi in tema di affidamento e sconfinamento, per chiarire come calcolare e quali componenti di costo rientrino nella quantificazione delle commissioni applicabili, con finalità di trasparenza e confrontabilità delle offerte.
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Possedere un conto corrente in banca ha un costo ed eseguire operazioni di gestione dei propri risparmi prevede delle commissioni. Le prestazioni Bancarie sono diverse, a seconda anche del tipo di conto corrente che si detiene, ma consigliamo di conoscere e valutare tutte le voci di spesa ad esse collegate se si vuole ragionare sul modo per ridurle e risparmiare del proprio denaro.
In seguito analizziamo le maggiori voci e le commissioni bancarie che maggiormente pesano in media, sulle tasche dei correntisti italiani.
Iniziano, ovviamente, con il presentare le commissioni relative ai servizi di maggior uso quotidiano.
Quindi segnaliamo i bonifici nazionali e internazionali (sepa), i giroconto, la richiesta di estratti conto, l’utilizzo di carte bancomat e carte di credito ( pagamenti, prelievi di contante), il pagamento mediante assegni bancari. A riguardo ogni banca pratica commissioni diffrenti a seconda anche del profilo del cliente, ossia del tipo di conto corrente detenuto. I versamenti possono essere annuali o periodici (mensili, trimestrali o semestrali).
Poi ci sono anche le commissioni collegate alla gestione delle informative.
Le banche, infatti, comunicano con i propri clienti inviando loro a domicilio estratti conto e saldi periodici: ebbene, le spese di corrispondenza e assicurazione delle missive ricade sempre sulle spalle dei correntisti. Quindi aggiungiamo anche le spese introdotte dalla Legge: ricordiamo il bollo che viene addebitato in genere una volta l’anno.
Con essi si entra nell’alveo di quelle tipologie di servizi a maggior utilizzo di chi opera investimenti con titoli di vario genere. La gestione del portafoglio e dei depositi ha un costo periodico che è addebitato una o più volte l’anno (a seconda di quanto stabilito da contratto)
Infine segnaliamo anche le commissioni bancarie che colpiscono il cosiddetto “scoperto di conto”.
Le banche, infatti, in caso di conto in rosso prevedono una soglia massima per il cliente (di tempo e denaro) oltre la quale iniziano ad essere praticate delle soglie davvero salate. Si tratta di situazioni meno diffuse, ma non meno di quanto si pensi, che possono incidere pesantemente sulla gestione del proprio conto corrente.
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BANCHE: ATTENZIONE AI NUOVI COSTI SUL CONTO CORRENTE
Secondo il quotidiano digitale "linkiesta" i gruppi bancari Banco Popolare, UniCredit e Ubi Banca hanno unilateralmente aumentato i costi dei loro conti correnti motivandolo con la necessità di rientrare sui costi del “Fondo Nazionale di Risoluzione”. Una manovra che riguarda 12,4 milioni di imprese e famiglie. La comunicazione sarebbe arrivata nelle caselle mail dei dipendenti - e, pare, pure ai clienti, con l’ultimo estratto conto -: il prossimo 31 dicembre i correntisti del Banco Popolare, privati cittadini e imprese, si ritroveranno un’una tantum di 25 euro da pagare: «La manovra si giustifica come parziale recupero dei contributi versati dal Banco Popolare al neo costituito “Fondo Nazionale di Risoluzione”. Contributi che, per il quarto gruppo bancario italiano, sono quantificati in 152,1 milioni di euro per l’anno 2015. I correntisti si ritroveranno questa “tassa” sotto la voce ”Spese fisse di liquidazione”.
Anche UniCredit e Ubi hanno adottato questa misura, rispettivamente secondo e il quinto gruppo bancario italiano per numero di sportelli. Relativamente a UniCredit, cambiano le motivazioni e la forma, ma non la sostanza. Sull’ultimo estratto conto di MyGenius del 31 marzo 2016, conto base dell’istituto di credito di piazza Gae Aulenti - a canone zero, «che ti offre l’essenziale per gestire il tuo denaro» - si legge che «alcuni interventi legislativi e/o regolamentari nonché impegni imposti da Autorità (…) hanno determinato dei costi e minori ricavi per la Banca, che costituiscono giustificato motivo per un aumento (…) del Canone Mensile Relativo ai Moduli Transazionali». Pertanto, con decorrenza 1 luglio 2016 (…) si intenderanno applicate nella nuova misura indicata in corrispondenza» un canone mensile rispettivamente di 5, 7 e 12 euro aggiuntive, a seconda che il conto sia Silver, Gold o Platinum.
Curioso è il fatto che sul sito internet di UniCredit questo sovrapprezzo sia motivato da servizi aggiuntivi - col conto Silver UniCredito offre un libretto di assegni, col conto Gold una carta di credito - e non, invece, dall’entrata in vigore del Facta, dall’aumento dell’Iva e dall’accordo per la costituzione di un fondo per la risoluzione delle crisi bancarie, come invece si legge sull’estratto conto.
Ubi invece ha adottato una strategia ancora diversa. Come si legge in un articolo del 30 luglio 2016 uscito sul Sole24Ore, la banca bresciana ha proposto a un suo correntista un aumento del costo di gestione del suo conto corrente da 40 a 64 euro.Un +60%, con decorrenza primo ottobre, motivato dall’ aumento «delle spese sostenuto dal gruppo Ubi per il Fondo di garanzia dei depositi e gli oneri sostenuti dal gruppo creditizio per il finanziamento del Fondo nazionale di risoluzione».
Anche in questo caso, il gruppo precisa di essersi attenuto alle indicazioni dell’Arbitro Bancario Finanziario, secondo cui «il giustificato motivo è l’unica condizione sostanziale (…) affinché possa essere modificato unilateralmente un negozio giuridico in regolare svolgimento». Tutto in punta di diritto, quindi.
Facendo due conti e sommando le tre banche arriviamo a circa 12,4 milioni di famiglie e imprese clienti. Più o meno il 20% della popolazione italiana che si è trovata o si troverà, sull’estratto conto, una tassa in più da pagare. E poco importa, in fondo, che di questo balzello non si trovi traccia nella dichiarazione dei redditi. Quel che importa, semmai, è che alcuni grandi gruppi bancari italiani abbiano scaricato sui clienti finali parte del costo dei salvataggi bancari di questi ultimi mesi.
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Fonte: Claudio Antonelli, Libero 19/6/2016
Testo Frammento
LE BANCHE LA CRISI CE LA FANNO PAGARE CARA. ABBIAMO COMMISSIONI E COSTI PIÙ ALTI D’EUROPA –
Nei prossimi anni molte banche non ci saranno più. Non solo per via delle fusioni e del consolidamento del settore. Ma anche perché taluni istituti si saranno messi a fare un altro lavoro. Che sia la consulenza patrimoniale o quella immobiliare. Sul fronte opposto, aziende come Apple, Starbucks o Amazon presteranno denaro e spingeranno in là l’asticella dei servizi tanto da rivoluzionare l’intero mondo del credito. Nel frattempo, però, la crisi del comparto bancario – che pur stringe ogni anno di più la cinghia – finisce col cadere inesorabilmente sui clienti.
Bail-in e crac a parte, a pesare sempre di più sono le commissioni e i costi: i più alti d’Europa. «Nonostante il calo registrato negli ultimi anni i costi strutturali del sistema bancario tricolore rimangono i più elevati dell’Unione», spiega la Cgia di Mestre da un cui studio emerge come nel 2014 le spese operative siano state pari a 49,5 miliardi di euro, ovvero l’1,83% del totale delle attività (che a fine 2014 ammontavano a 2701 miliardi). Un’incidenza, insomma, nettamente superiore alla media delle prime dieci economie Ue. Se nel 2014 i margini di interesse (ovvero i guadagni provenienti prevalentemente dall’erogazione del credito) sono scesi a 39,3 miliardi di euro, quelli delle commissioni bancarie nette sono saliti a 27,6 miliardi e quelli riconducibili ad altri ricavi, cioè da attività extra-creditizie o di trading finanziario (vendita di titoli, valute, strumenti di capitale) hanno toccato quota 11,4 miliardi. Il risultato è che – laddove tra il 2008 e il 2014 il totale dei ricavi del nostro sistema creditizio è rimasto pressoché lo stesso (78,3 miliardi) – la contrazione dei margini di interesse è stata pari a 12,3 miliardi (-23,8 per cento), mentre le commissioni bancarie, invece, sono aumentate di 2,8 miliardi (+11,5 per cento) e gli altri ricavi sono saliti a 9,4 miliardi (+474 per cento). Senza contare che l’incidenza del margine di interesse sul totale dei ricavi operativi di una banca in Italia è pari al 50,3 per cento. Si tratta del risultato più basso in Europa, ad eccezione della Francia (vicinissima, con il 50,2 per cento). «Questo», aggiunge la Cgia, «vuol dire che le banche italiane presentano un’incidenza dei guadagni da attività legate ai prestiti bancari sul totale ricavi (margine di intermediazione) tra i più bassi in Ue». Lo si evince anche da tre grafici che se incrociati rendono chiaramente lo stato di salute del sistema e la capacità intrinseca delle banche di guadagnare soldi dal proprio core business. Il primo garfico è costituito dalle sofferenze, il secondo dagli impieghi e il terzo dalla raccolta. Negli ultimi cinque anni le sofferenze sono salite mediamente nove volte tanto la crescita degli impieghi. In parallelo, la capacità di raccogliere fondi dalla clientela è scesa con gradini annuali superiori al 10%. Ovviamente a peggiorare la situazione, di cui le banche sono vittime, c’è il quantitative easing.
Considerando l’enorme crescita delle sofferenze in capo alla clientela e il fatto che la riduzione dei tassi di interesse ha ridotto ai minimi i margini di redditività, gli istituti di credito «appesantiti da costi fissi ancora molto elevati, si sono trovati a ridurre gli impieghi, e quindi i rischi» (scesi fra aprile 2015 e 2016 di 25,3 miliardi)», commenta la Cgia e «ad aumentare i ricavi dalle commissioni sui conti correnti, sui servizi bancomat, i servizi di incasso o pagamento e dalle attività non creditizie». In pratica, tutto il contorno e tutto ciò che non è ciccia.
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La direttrice dell’Agenzia delle entrate sa bene che incrociando i dati si hanno risultati concreti, ma sa anche che sul sommerso i dati non esistono (altrimenti si chiamerebbe economia “emersa”), e quindi la battaglia va fatta a tutto campo. La prima politica di dissuasione è quella di obbligare le banche a diminuire il costo delle commissioni, poi dare la possibilità di scalare qualche spesa dalla propria dichiarazione dei redditi, e infine una campagna informativa. Se la popolazione capisse che più paga con mezzi tracciabili e meno rischia di vedersi alzare il ticket sanitario o togliere un servizio, userebbe più volentieri bonifici, assegni, prepagate, bancomat, ecc. Quello che bisogna smettere di raccontare è la balla degli anziani che hanno poca dimestichezza con le carte. Quando Tremonti decise di regalare 40 euro mensili agli anziani disagiati attraverso la social card, si scoprì che non avevano nessuna difficoltà verso la carta elettronica. Se oggi l’unica idea che abbiamo per incentivare i consumi, e vedere risalire un po’ l’inflazione, è quella di agevolare il sommerso è preoccupante. Preferirei che la discussione si concentrasse su un progetto industriale, quello si che attirerebbe investitori e ci porterebbe verso la modernità.
L’Italia è in fondo alle classifiche per l’uso della moneta elettronica. Il motivo, secondo alcuni, è che la popolazione invecchia, e molti fanno fatica ad avere dimestichezza con le “carte”.
Quando c’era da chiedere la social card abbiamo dimostrato che anche la popolazione anziana e disagiata la sapeva usare benissimo. Siamo in fondo alla classifica per tante ragioni, a partire dal fatto che se paghi cash ti viene fatto lo sconto, che molte spese non le puoi detrarre e quindi non c’è motivo per richiedere la fattura, le commissioni sono più elevate e i commercianti sono penalizzati. Se l’obbiettivo è di aiutare i commercianti sarebbe meglio intervenire proprio su questo punto: quello delle commissioni bancarie e sui canoni dei Pos.
Milena Gabanelli, giornalista, conduttrice Report ed editorialista del Corriere della Sera
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Per incentivare i pagamenti elettronici invece bisogna assolutamente intervenire su tutto il versante delle commissioni bancarie, che da tempo proponiamo di mettere all’ordine del giorno. Sarebbe stata preferibile un’offensiva, anche brutale, del governo alle commissioni bancarie oltre a un sostegno economico alla diffusione del bancomat in termini di copertura dei costi per gli esercenti. Sarebbe stata questa la misura da fare con un’agevolazione fiscale, via detrazione specifica. Il governo insomma manda un chiaro messaggio: elimina un ostacolo all’evasione. E se si elimina uno degli ostacoli si indebolisce di conseguenza la funzione dell’Agenzia delle entrate; come del resto con l’allargamento degli spazi per la depenalizzazione della frode fiscale. Il governo insomma così facendo dimostra di attenuare la preoccupazione per la lotta all’evasione. Orlandi certamente è una dirigente dell’Agenzia delle entrate che interpreta in modo innovativo, ma senza sconti, il suo ruolo.
Stefano Fassina, deputato, già viceministro dell’Economia
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Nasce perciò il governo Monti, e qui passiamo dalla storia alla cronaca. Perché è ancora fresco il ricordo del fuoco di sbarramento alzato dalle lobby contro il decreto «salva Italia» (4 dicembre 2011), e successivamente contro il decreto «cresci Italia» (24 gennaio 2012, salutato in Parlamento da 2.299 emendamenti). Sicché la vendita al supermercato dei farmaci di fascia C va a farsi benedire; i tassisti scansano le liberalizzazioni; i commercianti le rinviano in nome della competenza regionale; i petrolieri mantengono il vincolo di fornitura in esclusiva sui carburanti (a eccezione dei benzinai proprietari della pompa: ma sono il 2% appena del totale). Mentre le banche, nello stesso giorno in cui entra in vigore la legge che azzera le commissioni bancarie (25 marzo 2012), ne ottengono il ripristino con un decreto legge, anche perché nel frattempo i vertici dell’Abi si erano dimessi in blocco. Insomma, una legge effimera come una farfalla; ma dopotutto in Italia le manovre dei governi sono sempre instabili e precarie. L’unico dato permanente è la forza plumbea delle corporazioni.
Michele Ainis
Michele Ainis, Corriere della Sera 09/07/2012
Fonte: Antonio Ciccia e Luigi Chiarello, ItaliaOggi 2/3/2012
Testo Frammento
Banche, sui fidi addio commissioni –
Colpo di spugna sulle commissioni sui fidi e solo 10 giorni per chiudere l’operazione di portabilità del mutui. E non si può obbligare chi chiede un mutuo ad aprire un conto corrente: è una pratica commerciale scorretta. Il capitolo dedicato ai servizi bancari dal maxiemendamento del governo al decreto liberalizzazioni vede sferrare grossi colpi al sistema creditizio in favore del cliente e della concorrenza tra operatori. Stop, dunque alle commissioni a favore delle banche a fronte della concessione di linee di credito, della loro messa a disposizione, del loro mantenimento in essere, del loro utilizzo anche nel caso di sconfinamenti in assenza di affidamento ovvero oltre il limite del fido. E le banche non potranno tergiversare sulla richiesta di portabilità del mutuo: dopo 10 giorni scatta la sanzione dell’1% sul valore del finanziamento. Il maxiemendamento disciplina anche il conto gratuito per i pensionati, la riduzione delle commissioni sui pagamenti con carte e ritocca la disciplina della cancellazione delle ipoteche.
Commissioni bancomat. Da settembre 2012 dovrà diventare operativa la riduzione delle commissioni a carico degli esercenti in relazione alle transazioni effettuate mediante carte di pagamento. Prima, entro il 1° giugno 2012, banche e operatori devono definire le regole generali di questa riduzione dei costi. Rispetto alla versione originaria del decreto liberalizzazioni, si elimina il tetto dell’1,5% sulle commissioni a carico degli esercenti sui pagamenti effettuati con strumenti di pagamento elettronico, comprese le carte di pagamento, di credito o di debito. In ogni caso la riduzione delle commissioni sarà sotto il controllo del ministero dello sviluppo economico, che deve emanare un decreto di recepimento delle misure. E se non ci sarà autoregolamentazione, allora sarà quest’ultimo ministero a dettare le regole. Nelle more, fino alla pubblicazione del decreto le transazioni regolate con carte di pagamento presso gli impianti di distribuzione di carburanti, di importo inferiore ai 100 , continuano a essere gratuite sia per l’acquirente che per il venditore (legge183/2011, art. 34, c. 7).
Conti pensionati. Dovrà essere garantita la gratuità delle spese di apertura e di gestione dei conti di pagamento di base destinati all’accredito e al prelievo della pensione del titolare per i titolare di pensione fino a 1.500 euro mensili. Altri servizi saranno a pagamento. Gli step prevedono tempo fino al 1° giugno per l’autoregolamentazione e l’operatività della novità da settembre 2012. Anche qui c’è monitoraggio e potere sostitutivo del ministero dello sviluppo economico.
Sconfinamenti. Da disciplinare (a cura del Cicr) entro il 31/5/2012, per diventare operativa dal 1° luglio 2012, la materia delle commissioni sugli sconfinamenti. A seguire dovranno essere adeguati i contratti di apertura di credito e di conto corrente. A tal proposito si ricorda che l’articolo 117 del TU Bancario prevede un tetto massimo per le commissioni sulle aperture di credito e sugli scoperti di conto.
Commissioni bancarie. L’art. 27-bis del decreto liberalizzazioni dichiara la nullità di tutte le clausole comunque denominate che prevedano commissioni a favore delle banche a fronte della concessione di linee di credito, della loro messa a disposizione, del loro mantenimento in essere, del loro utilizzo anche nel caso di sconfinamenti in assenza di affidamento ovvero oltre il limite del fido. Di conseguenza sono abrogate le disposizioni vigenti sul massimo scoperto.
Ipoteche. Si estinguono automaticamente non solo alla data di estinzione dell’obbligazione garantita, ma anche nel caso di mancata rinnovazione dell’iscrizione entro il termine di venti anni. Queste le modifiche apportate all’articolo 40-bis del TU bancario dall’articolo 27 ter del decreto. Con altra modifica si stabilisce la cancellazione d’ufficio in tutte le fattispecie di estinzione dell’ipoteca (art. 2878 cc).
Portabilità mutui. L’operazione di portabilità del mutuo deve concludersi entro 10 giorni. E se non si chiude in questo termine per colpa del finanziatore originario, quest’ultimo dovrà risarcire il cliente in misura pari all’1% del valore del finanziamento per ciascun mese o frazione di mese di ritardo. Resta ferma la possibilità per il finanziatore originario di rivalersi sulla banca subentrante, nel caso in cui il ritardo sia dovuto a quest’ultima. Si tratta di una norma più favorevole al debitore. L’art. 120 quater del TU Bancario prevedeva un termine di 390 giorni per il perfezionamento della surrogazione.
Assicurazione. L’articolo 28 del decreto liberalizzazioni prevede obbligo di due preventivi di assicurazioni non legate alla banca mutuo accessorio al mutuo immobiliare. In ogni caso vale la libertà di scelta del cliente, che è libero di scegliere sul mercato la polizza sulla vita più conveniente: la banca è obbligata ad accettare senza variare le condizioni offerte per l’erogazione del mutuo, o del credito al consumo.
Pratiche scorrette. Compie una pratica scorretta la banca che ai fini della stipula di un contratto di mutuo, obbliga il cliente all’apertura di un conto corrente presso la medesima banca, istituto o intermediario.
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«Siamo in balia di un establishment euroamericano guidato da mediocri. Ai vertici di istituzioni e imprese siedono politici, funzionari e manager fatti con lo stampino. Inutile combatterli: quelli che vengono dopo sono uguali, se non peggiori. Studiano tutti nelle stesse università, parlano tutti perfettamente l’inglese, hanno tutti frequentato un master, sono tutti telegenici, rilasciano tutti altisonanti interviste. Ma è solo fuffa: nelle loro aziende le cose vanno male. Perché i cinesi avanzano? Perché fanno quello che facevamo noi negli anni Cinquanta: lavorano di più, consumano di meno e investono. Noi invece consumiamo di più, lavoriamo di meno e non investiamo. Ergo, ci stiamo mangiando il patrimonio. Conosco un solo modo per fare sviluppo: si prendono dei materiali grezzi e ci si mette dentro il lavoro per ricavarne prodotti finiti. È questo il valore aggiunto. L’Occidente invece ha pensato di arricchirsi all’infinito sulle commissioni bancarie. Lei sa che cos’è l’Ice Trust?».
Mi coglie impreparato.
«È un club di New York formato da appena nove persone. Rappresentano le grandi banche d’affari. Si riuniscono il terzo mercoledì di ogni mese, in luoghi diversi, comunque sempre nel distretto finanziario di Manhattan. Secondo il ministero della Giustizia americano, gestiscono il mercato mondiale dei derivati con “metodi non pubblici”, per dirla nel linguaggio esoterico degli obamiani».
Il mercato mondiale dei titoli spazzatura.
«Titoli che possono diventare spazzatura, sì. I derivati ammontano a 300 trilioni di dollari. Un trilione equivale a 1.000 miliardi di dollari. Questi nove signori non sono dei Re Mida, bensì intermediari che gestiscono masse di denaro altrui applicando però con spietatezza regole loro. È la setta, neppure tanto segreta, che governa il mondo, anche se lascia il potere formale agli Obama, alle Merkel, ai Cameron e ai Sarkozy».
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Fonte: FEDERICO RAMPINI , la Repubblica 13/12/2010
Testo Frammento
IL CLUB SEGRETO DEI 9 BANCHIERI CHE DOMINA WALL STREET - Di nuovo loro: i Padroni dell´Universo. Stessi nomi, stessi vizi, una storia che sembra condannata a ripetersi e col finale che rischia di essere già scritto: l´impunità. Stavolta è l´intero mondo dei titoli derivati - finanza "tossica" che ebbe un ruolo cruciale nella crisi del 2008 - l´oggetto delle loro congiure. Una vera e propria "cupola" di grandi banchieri esercita un potere esclusivo di controllo su questo mercato. Fuori da ogni trasparenza, e al riparo da ogni concorrenza. «Il terzo mercoledì di ogni mese - rivela il New York Times - nove membri di una élite di Wall Street si riuniscono a Midtown Manhattan. I dettagli delle loro riunioni sono coperti dal segreto. Rappresentano Goldman Sachs, Morgan Stanley, JP Morgan, Citigroup, Bank of America, Deutsche Bank, Barclays, Ubs, Credit Suisse». Ufficialmente, i nove banchieri di questo potentissimo comitato d´affari hanno il compito di «salvaguardare la stabilità e l´integrità» su un mercato che muove ogni giorno migliaia di miliardi di dollari. Di fatto, il club dei nove «protegge gli interessi delle grandi banche che ne fanno parte, perpetua il loro dominio, contrasta ogni sforzo per rendere trasparenti i prezzi e le commissioni». La denuncia raccolta dal New York Times viene dal massimo organo di vigilanza. La fonte più autorevole all´origine dell´inchiesta è Gary Gensler, capo della Commodity Futures Trading Commission.
L´uomo a cui Barack Obama ha affidato il compito di fare pulizia in un mercato altamente speculativo. Ma Gensler è costretto ad ammettere la sua impotenza. «Il costo di quelle pratiche lo paga tutto il resto dell´economia, lo pagano tutti gli americani», lamenta Gensler. E naturalmente anche gli europei, visto che Wall Street è il centro della finanza globale. I derivati infatti hanno innumerevoli usi, una parte dei quali sono "virtuosi" e più vicini a noi di quanto possiamo immaginare. I fondi pensione li utilizzano per ridurre il rischio di perdite sui loro investimenti nel caso che le tendenze di mercato abbiano improvvisi rovesci (per esempio un futuro rialzo dei rendimenti sui buoni del Tesoro che deprime il valore di quelli in portafoglio). Le compagnie aeree e navali comprano derivati per attutire il colpo di un rincaro del petrolio. L´industria agroalimentare si protegge da aumenti nel costi dei raccolti. Perfino il consumatore, l´automobilista, è vittima di manovre speculative che attraverso i derivati accentuano il boom delle materie prime. Nessuno dei protagonisti dell´economia reale è veramente tutelato dalle manipolazioni su questi strumenti. Nessuno sa cosa decidono i nove membri del club esclusivo che si riunisce il terzo mercoledì del mese. Il Dipartimento di Giustizia ha aperto un´inchiesta «sulla possibilità di pratiche anti-concorrenziali nel clearing e nel trading sui derivati». I sospetti di collusione e di un vero e proprio cartello non sono nuovi. Ma trovare le prove è difficile. E´ vecchia di nove mesi la notizia di un´altra inchiesta del Dipartimento di Giustizia che aveva fatto scalpore: quella che accusava i più importanti hedge fund (Soros, Paulson, Greenlight, Sac Capital) di aver concordato un attacco simultaneo all´euro, in una cena segreta l´8 febbraio a Wall Street. Il giorno dopo, 9 febbraio, al Chicago Mercantile Exchange i contratti futures che scommettevano su un tracollo dell´euro erano schizzati oltre 54.000, un record storico. Goldman Sachs e Barclays furono coinvolte nelle cronache su quelle grandi manovre. Ma da allora l´inchiesta sulla congiura ai danni dell´euro non ha avuto sviluppi di rilievo. Estrarre prove dal club dei Padroni dell´Universo è complicato, almeno se si seguono i metodi "normali". Di qui la grande attesa per le rivelazioni annunciate da WikiLeaks sulla Bank of America: chissà che non riesca Julian Assange dove la magistratura non arriva…
Per quanto riguarda il mercato dei derivati, paradossalmente è proprio per effetto della grande crisi del 2008 che i Padroni dell´Universo hanno assunto un ruolo ancora maggiore. Uno dei momenti più drammatici di quella crisi fu il crac dell´American International Group (Aig), la compagnia assicurativa affondata dalle perdite su un particolare tipo di titoli derivati, i credit default swaps. In quel frangente il Tesoro e le autorità di vigilanza si accorsero che nessuno riusciva a capire veramente le interconnessioni sul mercato dei derivati, esposto all´effetto-domino: una bancarotta di Aig avrebbe travolto decine di altre istituzioni e forse l´intero sistema bancario. Perciò fu il Tesoro a spingere per la creazione di una "clearing house" o camera di compensazione, affinché le grandi banche si facessero carico di garantire la stabilità del mercato dei derivati. A questo però si accompagnava la riforma Obama delle regole della finanza, che doveva aumentare i poteri delle autorità di vigilanza, e rafforzare la trasparenza. Quella riforma oggi è sotto tiro da parte della nuova maggioranza repubblicana al Congresso, vittoriosa alle elezioni di novembre e beneficiata dai generosi finanziamenti di Wall Street. Nell´applicazione della riforma i repubblicani stanno cercando di svuotarla: giovedì il Congresso ha bocciato la richiesta di Gensler per nuove regole sulla trasparenza. "I derivati - spiega il giurista Robert Litan che per il Dipartimento di Giustizia diresse un´analoga battaglia contro le collusioni al Nasdaq - sono un mercato molto concentrato, e quando il governo di una simile entità è in poche mani, possono succedere brutte cose".
Una certezza è che i Padroni dell´Universo usano il loro potere oligopolistico per estrarre dal resto dell´economia dei profitti esorbitanti. Esempio: su un solo contratto derivato di credit default swap - che protegge l´acquirente dall´eventualità di fallimento di uno Stato sovrano come la Grecia, o di una società quotata - il banchiere intermediario incassa una commissione di 25.000 dollari. Contratti simili se ne fanno migliaia ogni giorno, rimpinguando i profitti delle varie Goldman Sachs, JP Morgan, Morgan Stanley. Quando negli anni Novanta il Dipartimento di Giustizia riuscì a dimostrare che un´analoga collusione tra banchieri controllava gli scambi sul Nasdaq (la Borsa dei titoli tecnologici), in seguito al cambiamento delle regole le commissioni bancarie scesero a un ventesimo del livello precedente. Ma un rischio ancora superiore è che dentro il "club dei nove", grazie allo scambio di informazioni quotidiane possano maturare operazioni di cartello, manovre concertate, una manipolazione dei mercati. Quelli che dovrebbero "stabilizzare" i derivati, sono i primi a poter profittare delle prossime fiammate speculative.
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Fonte: Antonio Vanuzzo, Il Riformista 5/1/2010
Testo Frammento
I padroni dei consumatori
Presenzialisti, battaglieri, fantasiosi, anche troppo. Ex avvocati, politici di professione e sindacalisti, a volte editori, sono i monopolisti del movimento del consumerismo italiano, a cui il piccolo schermo dà, spesso per mancanza di fantasia, voce e programmi. Si riconoscono dagli acronimi criptici: Adusbef, Codacons, Adoc, Adiconsum. Sono le associazioni a tutela dei consumatori. In Italia sono 17 censite dal consiglio nazionale dei consumatori utenti. Solo per opere di sensibilizazione pro-consumatori nel 2008 hanno gestito 4,5 milioni di euro.
Quasi tutte superano di poco i 30mila iscritti, il requisito minimo fissato dal Codice del consumo (lo 0,5 per mille del totale della popolazione italiana). Di queste diciassette, un terzo ha una rete territoriale e degli sportelli, un terzo punta quasi esclusivamente su campagne mediatiche ed un terzo è emanazione di sigle sindacali e politiche.
La loro parola d’ordine è "stangata" (attribuita alle perfide azioni dei nemici dei consumatori), spesso gridata in comunicati battaglieri diffusi con veemenza nei periodi caldi dell’anno: dall’approvazione della Finanziaria al via della stagione dei saldi, quando i loro centri studi erogano cifre e percentuali spesso non verificabili.
In questi giorni sono tornate alla ribalta grazie ad uno strumento di cui possono disporre dal primo gennaio: la class action, ovvero la possibilità per i cittadini di organizzarsi allo scopo di promuovere un’azione collettiva risarcitoria. Un’arma che - denunciano - in realtà ha ben poche munizioni. La seconda stesura dell’articolo 140-bis del Codice del consumo, infatti, si limita a distinguere le azioni singolari da quelle collettive, affidando la competenza per queste ultime ai tribunali regionalì, eliminando il riferimento, presente nella Finanziaria 2008, all’esclusività di comitati ed associazioni come unici rappresentanti dei cittadini. Dall’altro lato della barricata, quello degli studi legali indipendenti, la nuova normativa viene invece vista come una necessaria liberalizzazione della materia, prima appannaggio solo delle associazioni dei consumatori, le uniche tuttora dotate di struttura organizzativa, finanziamenti e know how adatti a fronteggiare gli agguerriti avvocati delle multinazionali e degli istituti di credito. E della necessaria motivazione: l’unica forma di finanziamento erogata dal Ministero dello Sviluppo Economico alle associazioni rappresentative a livello nazionale, che possiedono cioè i requisiti fissati dal d.lgs 146/2007 e dall’art 137 del Codice del consumo, deriva - a partire dalla Finanziaria 2001 - dalle multe comminate alle aziende dall’Antitrust, che vengono destinate ad iniziative a vantaggio dei consumatori, ripartendole tra le varie organizzazioni via bando.
In altre parole, più le organizzazioni hanno le antenne vigili, più guadagnano. Secondo gli ultimi dati disponibili presso il ministero, nel 2008 sono stati allocati complessivamente 4 milioni e mezzo di euro per la realizzazione di interventi di sensibilizzazione in materia di pratiche scorrette e dell’educazione nell’ambito credito al consumo. Generalmente, ulteriori risorse arrivano dalla partecipazione alle loro campagne di Regioni, Comuni e Camere di Commercio. Insomma, una lobby potente.
La capostipite delle associazioni consumeriste è l’Unione nazionale dei consumatori, fondata nel 1955 ed attualmente presieduta da Massimiliano Dona, figlio di Vincenzo Dona, segretario dell’associazione negli anni ’70 accusato di avere avuto rapporti troppo generosi con le aziende che lo finanziavano quando era componente della commissione di vigilanza sui prezzi. Alla fine del 2009 conta 52mila iscritti, per una quota pro capite di 35 euro l’anno, e ha ricevuto finanziamenti per 200mila euro. Sul fronte class action, Massimiliano Dona, che di recente ha lanciato il sito classaction.it, prevede un 2010 in cui «dato lo svuotamento di contenuti e di significato della nuova norma, che non è retroattiva ma consente di perseguire solo gli illeciti a partire dal 16 agosto 2009, la nostra azione
sarà caratterizzata da cause numericamente più contenute rispetto al passato, caratterizzate dall’accessibilità in termini di tempi, risolvibili in breve».
L’ex Intesa dei consumatori, capitanata da Codacons, Adusbef e Federconsumatori oltre a sigle minori come Adoc e Codici, si è invece concentrata, in questo inizio d’anno, sulle rilevazioni dell’Antitrust, secondo cui le banche avrebbero compensato l’eliminazione della commissione di massimo scoperto introducendo nuove commissioni a carico dei correntisti, anche 15 volte più care. La prima, guidata dal "rompiscatole" Carlo Rienzi, come egli stesso si definisce, ha aperto le danze già il primo gennaio con l’annuncio di tre diverse class action: oltre agli istituti di credito, sono finiti nel mirino le case farmaceutiche produttrici del vaccino contro l’influenza H1N1 e il Comune di Milano per lo smog. Gli avversari riconoscono a Rienzi fantasia ed opportunismo: dopo una campagna condotta assieme a Federconsumatori contro i costi dei numeri 144 dell’allora Sip, con una mossa a sorpresa accettò una transazione dell’ex monopolista appannaggio del solo Codacons. Il quale, fondato nel 1986, conta 35mila iscritti, una quota di 50 euro - la più alta nell’ex Intesa - e un finanziamento 2009 pari a circa 250mila euro, derivante da uno stanziamento di 1 milione e mezzo di euro equamente ripartito tra i capofila dell’ex Intesa, relativo ad una campagna di sensibilizzazione proprio nei
confronti delle commissioni bancarie.
L’offensiva di Rienzi non è piaciuta troppo né ad Adusbef, fondata nel 1987 e divenuta punto di riferimento nel settore bancario, assicurativo e dei prezzi, che alla fine del 2009 poteva contare su 68mila iscritti per una quota pro capite di 25 euro, né alla Federconsumatori, da sempre emanazione della Cgil. Quest’ultima è l’associazione più numerosa, con 120mila iscritti nel solo 2009 e un contributo annuale di 35 euro, che scende a 15 se si è iscritti al sindacato guidato da Epifani. La lotta è per la paternità dell’opera: tanto Elio Lannutti, presidente Adusbef e senatore Dipietrista, quanto Rosario Trefiletti, numero uno di Federconsumatori con un passato da tuta blu, precisano all’unisono: «l’attenzione sul fenomeno del massimo scoperto bancario l’abbiamo portata noi per primi». Oltretutto, osserva Trefiletti, ci vuole tempo per analizzare i termini del provvedimento, in quanto «la class action nei confronti di Ca’ de Sass e Piazza Cordusio la si fa per vincere, e non per darla in pasto ai media». Anche perché, sottolinea Lannutti: «la prima class action in Italia l’abbiamo presentata noi nel 2007 con gli On. Bordon e Manzione», a tutela degli italiani all’epoca danneggiati dai tango bond argentini.
Nel panorama dei tutori del portafoglio degli italiani una posizione particolare è quella di Altroconsumo. Forte di 330mila iscritti nel 2009 per una quota pro capite di 95 euro annuali, che comprende l’abbonamento alle pubblicazioni "Altroconsumo" e "Soldi & Diritti", l’associazione ha ricevuto dal ministero alcune decine di migliaia di euro per il progetto "Rendiamoci conto", redatto con Adiconsum per sensibilizzare l’opinione pubblica sulle pratiche commerciali
scorrette. Ma il grosso dei ricavi arriva dall’editoria, con quasi 30 milioni di euro nell’anno appena trascorso. Sulla class action, il presidente Paolo Martinello è possibilista: «La sperimenteremo», dichiara, «anche se rispetto alla versione del 2007 quello attuale è un provvedimento completamente svuotato di senso, perché si declina solo al futuro».
Antonio Vanuzzo
IL RIFORMISTA
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Fonte: Giovanni Parente, Il Sole-24 Ore 30/12/2009;
Testo Frammento
L’ANTITRUST BACCHETTA LE BANCHE - Costi troppo elevati per i correntisti. L’Antitrust lo ha messo nero su bianco e ha inviato una segnalazione a governo, parlamento e Banca d’Italia. Nell’oggetto della missiva, le commissioni bancarie che hanno preso il posto di quella di massimo scoperto. L’autorità guidata da Antonio Catricalà ha monitorato le condizioni applicate alla clientela da sette istituti di credito, valide anche per le banche dei rispettivi gruppi. Una panoramica che, come sottolineano dall’organismo preposto alla tutela della concorrenza e del mercato, «può considerarsi rappresentativa dell’intero sistema bancario, in quanto ha coinvolto tutti i maggiori operatori del settore». I risultati? In cinque casi su sette peggiorativi, in un altro è stato registrato un "pareggio" rispetto al contesto delineato dalle norme precedentemente in vigore e solo in una circostanza sono state riscontrate condizioni più vantaggiose. Il problema è che, laddove è stato verificato un andamento negativo, i costi sono aumentati dal doppio fino a quindici volte. Questo per quanto riguarda lo scoperto considerando, però, il comportamento medio dei correntisti privi di fido.
L’Authority ha, però, preso anche in considerazione i clienti che possono contare su un fido: «La situazione ha subito un sostanziale peggioramento rispetto alla semplice applicazione della commissione di massimo scoperto fino all’entrata in vigore della legge 3 agosto 2009 n. 102». In pratica, con la conversione della manovra estiva da parte del Parlamento, è stato fissato un tetto: l’ammontare del corrispettivo per il servizio di messa a disposizione delle somme non può superare lo 0,5% per trimestre dell’importo dell’affidamento. Prima dell’ultima modifica, le aliquote variavano dallo 0,9% al 1,5% nel trimestre, oppure tra il 3,6% e il 6% nell’anno. Percentuali che, secondo le verifiche dell’Antitrust, risultavano sempre peggiorative della commissione di massimo scoperto quando l’impiego delle somme era contenuto entro il fido. Mentre diventavano più favorevoli solo con uno sconfinamento rispetto all’importo concesso. Con l’effetto di generare il paradosso di una penalizzazione per i clienti virtuosi.
Lo scenario è mutato con le norme della scorsa estate. Le nuove commissioni sono diventate più vantaggiose «ma solo a partire - rileva la nota dell’Antitrust-da un ammontare di utilizzo del fido stesso superiore alla metà».
A conti fatti, quindi, la segnalazione firmata da Catricalà si conclude con una invito al legislatore a considerare le criticità evidenziate per poter trovare una soluzione.
L’Abi (associazione bancaria italiana) esprime perplessità nel metodo e nel merito dell’indagine, spiegando che «il metodo dell’intervento e della proposta unilaterale a scapito della dialettica e del confronto rischi di generare confusione e soprattutto di non portare a soluzioni praticabili e coerenti con l’operatività e il mercato». Del resto, aggiungono, la normativa sulla messa a disposizione di fondi è pienamente operativa da pochi mesi ed è stata recentemente integrata dalle norme in tema di trasparenza.Ecco perché l’associazione «chiede un confronto con l’Antitrust, teso a conoscere nel dettaglio l’analisi svolta, nell’ambito della piena collaborazione con tutte le autorità e le istituzioni». Sul versante politico, il capogruppo della Lega in commissione Finanze alla Camera, Massimo Fugatti, ricorda che erano stati già presentati in Finanziaria «alcuni emendamenti che poi non sono passati ma nel primo provvedimento in materia bancaria o fiscale li ripresenteremo » e in particolare l’intenzione è di riproporre la riduzione del tetto dello 0,50% per il corrispettivo omnicomprensivo per il fido. Nell’opposizione, Roberto Occhiuto (Udc) rimarca la necessità di affrontare la questione dell’accesso e del costo del credito «con la giusta determinazione e non solo con degli spot».
Sul piede di guerra le associazioni dei consumatori. Adusbef e Federconsumatori annunciano che avvieranno una class action nei confronti degli istituti di credito. Il Codacons chiede invece che sia inflitta alle banche una maxi- sanzione non inferiore a un miliardo di euro.
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Fonte: Corriere della Sera 10 febbraio 2008, Paolo Foschi
Testo Frammento
I negozianti alle banche: troppo costose. Corriere della Sera 10 febbraio 2008.
«Avete mai visto un installatore di antenne, un idraulico o un tecnico degli elettrodomestici con la macchinetta per i pagamenti con carta di credito? Se la utilizzassero, dovrebbero emettere fattura. E poi dovrebbero pagarci sopra le tasse. Per non parlare di quei medici che accettano solo contanti in cambio di uno sconto sull’onorario, ovviamente senza ricevuta...»: parla uno dei superispettori del fisco. E l’Abi, l’Associazione bancaria italiana, indirettamente conferma: «Fra artigiani e professionisti la diffusione dei Pos (gli apparecchi per i pagamenti con moneta elettronica) è molto bassa anche in confronto ad altri Paesi europei».
Voglia di nero, dunque. questo, secondo la Guardia di finanza, uno dei fattori che spinge molti operatori economici a non utilizzare carte di credito e bancomat per incassare i ricavi delle attività, anche quando il giro d’affari reali è consistente. E nell’esercito degli affezionati al cash, c’è un po’ di tutto. Piccoli commercianti. Ristoratori. Medici. Avvocati. Tecnici riparatori. Tassisti. Parrucchieri. Chi vuole ingannare il fisco, sceglie il contante. «O al limite gli assegni girati a "me medesimo" dal cliente stesso, perché poi si trova sempre un modo per incassarli, magari tramite un amico compiacente, senza correre il rischio di essere rintracciati – aggiunge l’ispettore delle finanze ”. Persino i tabaccai, che sono esposti al rischio delle rapine proprio perché maneggiano molti contanti, preferiscono evitare le carte di credito, pur di non dover rendere conto di tutti i movimenti di soldi».
Secondo le associazioni di categoria, però, l’uso delle carte è ostacolato in realtà da un altro problema. «Ci sarà pure chi non le vuole per poter aggirare il fisco, ma sicuramente si tratta di una piccolissima minoranza – ribatte Ernesto Ghidinelli, responsabile per il credito di Confcommercio ”. La maggior parte degli esercizi commerciali è comunque attrezzata per il pagamento elettronico, in particolare nella grande distribuzione. Certo, non sempre fa piacere perché i costi sono altissimi: le commissioni bancarie (la cosiddetta merchant fee) arrivano anche al 4% dell’importo totale dello scontrino. E per le merci su cui c’è un margine basso, come l’elettronica, è una spesa insostenibile, soprattutto per i piccoli esercenti ». Tanto che durante i saldi in molti negozi le carte di credito non sono accettate. Le commissioni per i bancomat invece sono decisamente meno care: variano da un istituto all’altro, a partire da abbonamenti a forfait da pochi euro al mese. Il problema dei costi però è molto sentito e si intreccia con altri fattori. «C’è prima di tutto una diffidenza dei consumatori, perché anche per loro spesso ci sono costi da sostenere: i canoni annuali, per esempio – sostiene Mauro Bussoni, vicedirettore generale di Confesercenti ”. Molti clienti inoltre hanno paura della clonazione delle carte. E i negozianti, se possono scegliere, preferiscono il contante: perché dare il 3-4% degli incassi a una banca?». Secondo i commercianti, fra l’altro, non ci sono molte possibilità di scelta sul mercato. «Anche l’Antitrust a dicembre ha rilevato un deficit di concorrenza in questo settore», sottolinea Ernesto Ghidinelli. «Non è vero – ribatte l’Abi ”. Le banche offrono un servizio su un mercato libero. In Italia ci sono otto operatori che forniscono il pagamento con carte di credito, mentre nell’Unione europea ci sono Paesi con due o tre operatori». E i costi? «Oscillano in relazione alla banca e ai movimenti operati dai clienti. Per i bancomat sono comunque molto bassi. Per le carte di credito sono più alti». Ed è vero che arrivano al 4%? «Sì, ma il negoziante può scegliere un altro circuito, se reputa la spesa eccessiva».
E i consumatori? Secondo Elio Lannutti, dell’Adusbef, «non si fidano né delle banche, né dei negozianti. E finché non avranno garanzie, continueranno a usare i soldi in contanti ».
Paolo Foschi
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Fine 2016, foto di gruppo alle banche italiane: pesantissimi aumenti di capitale, maxi cessioni di crediti, piani industriali come se piovesse, ristrutturazioni al ciardiopalma, decine di migliaia di esodi, milioni di clienti con il fiato sospeso. Perché siamo arrivati a questo punto? È facile, rispondono: in questi anni una serie di eventi spesso concatenati che adesso non stiamo a ripetere hanno di fatto azzerato la redditività degli istituti. Si riferiscono alla struttura dei ricavi e dei costi, ovvero a come la banca fa il suo mestiere. Rifornendosi di capitali presso i finanziatori (primi fra tutti azionisti, obbligazionisti e correntisti) e impiegando tali disponibilità nelle più svariate maniere (credito ai privati, crediti alle aziende, portafoglio titoli, eccetera). Non passa giorno che i vari Draghi (Bce), Visco (Banca d’Italia), Patuelli (Abi) e compagnia non dichiarino la loro assoluta innocenza per tutta la macelleria sociale che sta avvenendo a causa della crisi delle banche, addossando le colpe alla scarsa redditività derivante – a loro dire – da margini troppo bassi e costi operativi troppo alti (quelli del personale, of course).
TARTASSATI Ma davvero sono le banche i soggetti più tartassati in questa difficile epoca finanziaria? Per rispondere alla domanda ci viene in aiuto un recente studio della Cgia di Mestre dal criptico titolo “Banche: i clienti italiani sono i più tartassati d’Europa”. Quelli della Cgia fanno notare molto chiaramente come dal 2008 a oggi, mentre il “margine di interesse” scendeva, le “commissioni nette” e “altri ricavi netti” siano andati ad aumentare e incidere sempre di più sul “margine di intermediazione” degli istituti.
MODI Breve e semplice ripasso sui tre modi in cui guadagna una banca.
Margine di interesse. È la differenza tra il tasso di interesse che la banca paga per raccogliere i soldi e il tasso di interesse che la banca ottiene prestandoli. Esempio. Mario deposita in banca 10.000 euro al tasso dell’1% e la banca fa un prestito a Luigi al tasso del 5%. La differenza tra quello che la banca ottiene da Luigi (500 euro) e quello che paga a Mario (100 euro) è il suo margine di interesse (400 euro).
Commissioni nette. Sono tutti quei costi che i clienti delle banche sostengono per avere conti correnti, servizi di pagamento (bancomat e carte di credito), servizi di incasso (pos). Le commissioni che si pagano per la compravendita dei titoli (azioni e btp, per esempio), per la sottoscrizione e la gestione di fondi comuni di investimento, per acquistare in filiale uno dei tanti prodotti assicurativi in vendita (polizze di investimento, sulla vita, rc auto, ecc.). Ancora: le commissioni pagate per l’intermediazione nell’acquisto dei più recenti diamanti, elettrodomestici, contratti luce e gas, biciclette, eccetera.
Altri ricavi netti. Sono i ricavi ottenuti dall’attività di investimento che la banca fa a suo nome in titoli di stato, obbligazioni, azioni, valute, derivati, eccetera. Fino a quache anno fa era una voce molto piccola dei bilanci degli istituti perché quasi tutto il denaro raccolto veniva impiegato in prestiti. Da quando quest’ultimi sono diventati poco remunerativi e pericolosi la parte degli attivi dedicata al trading finanziario si è fatta sempre più rilevante.
Margine di intermediazione. È semplicemente la somma delle tre voci predenti, quindi il totale dei ricavi.
COMMISSIONI Nel 2008, allo scoppio della crisi, il “margine di intermediazione” del sistema bancario italiano era così composto: “margine di interesse” 51,6 miliardi, “commissioni nette” 24,7 miliardi, “altri ricavi netti” 2 miliardi. Totale 78,3 miliardi di euro di ricavi. Dal 2008 però tante cose sono successe e anche queste tre voci sono cambiate. L’aumento dei prestiti in malora (gli Npl, le sofferenze, chiamateli come volete) ha portato nel 2015 il “margine di interesse” a scendere a 38,5 miliardi (dai 51,6 del 2008), però le “commissioni nette” sono salite a 29,7 miliardi (da 24,8), e gli “altri ricavi netti” a 13 miliardi (da 2). Totale 81,2 miliardi di euro di ricavi. Dunque, dal 2008 al 2015, in questo terribile periodo di crisi, i ricavi delle banche non solo non sono scesi ma sono anche aumentati di 2,9 miliardi.
SPOSTARE Ma come hanno fatto ad aumentare i ricavi se, nello stesso periodo, i prestiti si sono ridotti di oltre due terzi, i tassi sono scesi a zero e la crisi ha fatto sparire e prosciugato decine di migliaia di conti correnti? Rispondono alla domanda, in tutta semplicità, i numeri appena elencati. Le banche italiane negli ultimi anni, avendo avuto problemi di incasso nella loro allegra gestione operativa del credito, hanno cominciato a spostare la propria redditività sul trading titoli e sulle spese rimesse alla clientela, tartassando i clienti con balzelli, spese e commissioni sempre più alte e sempre più frequenti.
ALTRI Ma forse anche gli altri paesi europei sono stati costretti a fare così per correre ai ripari? Per nulla. Nel 2015 l’incidenza delle commissioni sul totale dei ricavi delle banche italiane (36,5%) è stata la più alta fra gli stati europei, essendo, ad esempio, più che doppia rispetto ai Paesi Bassi (17,0%) e di oltre 40% più alta rispetto a Germania (26,2%) e Spagna (22,8%).
SALVATAGGI E il caso di pochi giorni fa in cui alcuni istituti italiani hanno scelto di aumentare le spese di conto corrente, al fine di rientrare parzialmente dei costi legati ai salvataggi bancari imposti al sistema del credito, è solo un esempio di chi siano veramente i tartassati. Esempio neanche dei più significativi, perché almeno, in questo caso, si tratta di un’una tantum e ne è stata data comunicazione un maniera trasparente, mentre generalmente sono altri i modi e le pratiche cui si ripuliscono i clienti (vedi articolo sotto).
SOLUZIONE Il vero problema della redditività delle banche è semmai il modo dissennato con cui è stata fatta banca fino a ora e che la crisi economica ha semplicemente acuito e fatto venire a galla. Però si raccomanda di credere che le colpe non siano le governance inefficienti, gli insufficienti controlli, la poca moralità di molti consigli d’amministrazione, le dissennate politiche del credito, le scelte scellerate in materia di finanza strutturata, le scarse performance dei sistemi informatici e informativi, e via andare. Continuare invece a dare la colpa all’eccessivo costo del personale e ai margini troppo bassi perché così i banchieri hanno già la soluzione pronta: meno dipendenti e più commissioni per tutti. Contenti?
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Chiunque ha un conto corrente sa cosa sono le commissioni bancarie. I clienti sostengono che sono troppo onerose («gli do i miei soldi e mi tocca pure pagarli»). Le banche rispondono che offrono un servizio e pagare un servizio è normale. Bene, ma dove stanno e a quando ammontano queste commissioni? Qui la cosa diventa più complicata. Facciamo l’esempio degli investimenti e parliamo di quei milioni di italiani, spesso anziani, che non vogliono speculare, ma vorrebbero guadagnare qualcosina dai propri risparmi, quel tanto che basta per non vedersi erodere il capitale. Potrebbero fare dei conti di deposito o compare dei titoli di stato (i Btp), per esempio. È difficile però, perché in banca nessuno li propone più e appena nominati vengono immediatamente sconsigliati dall’impiegato o dal promotore. All’unisono però sono tutti pronti a consigliare fondi comuni di investimento, vari tipi di polizze e obbligazioni strutturate. Li consigliano perché sono più adatti al cliente, alla sua proponsione al rischio e al suo orizzonte temporale di investimento? Niente di tutto ciò. Li raccomandano perché acquistando un btp si paga alla banca una commissione dello 0,2-0,30% una tantum e poi più nulla (i conti deposito generalmente non hanno spese), mentre sottoscrivendo una polizza o un fondo si entra in un fantasioso mondo di costi tutti da scoprire. Commissioni di ingresso, di gestione, di uscita, di intermediazione, di cambio, di secondo livello... Voci di spesa che generalmente trattengono al momento della sottoscrizione una quota che varia dal 3% all’8% dell’importo investito, più un prelievo annuo tra il 2% e il 3% del controvalore effettivo. Esempio. Compro 100.000 euro di Btp (commissioni dello 0,20%) e lo tengo in portafoglio 10 anni: costo totale 200 euro. Compro una polizza o un fondo, tra quelli che hanno un costo medio (commissione di sottoscrizione 4%, commissione di gestione annuale 2%): costo totale 22.000 euro circa. Tradotto in termini ancora più pratici: se i prodotti finanziari all’interno del fondo o della polizza in 10 anni perdono il 10% avrò indietro 68.000 euro, se non guadagnano né perdono avrò indietro 78.000 euro, se salgono del 22% avrò indietro 100.000 euro, ovvero l’importo investito. Mentre dal 23% in su si comincia a vedere qualcosa. Ma nessuno farà comunque in tempo perché, nel fattempo, la l’impiegato vi avrà convinto a vendere la polizza appena sottoscritta, anche perdendoci, perché adesso non va più bene, facciamo la polizza nuova, che è molto meglio (e il mio responsabile commerciale non mi stressa più).
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Parliamo di quei milioni di cittadini che non vogliono speculare, ma vorrebbero insomma guadagnare qualcosina, quel tanto che basta per non vedersi erodere il capitale; anche perché tenere i soldi in banca ha un costo di gestione e se ti va bene, con gli interessi che sono così bassi , riesci, insomma, ad andare in pari con le spese. R icordiamo poi che non esistono investimenti a rischio zero. E allora analizziamo quelle che vengono proposte ai risparmiatori come i più sicuri.
Potrei fare dei conti di deposito, oppure comprare dei titoli di stato, delle obbligazioni sicure (non subordinate!). Eppure in banca propongono solo fondi comuni di investimento (aperti, chiusi, con cedola, senza cedola), vari tipi di polizze (unit, multilaramo, polizze di fondi, gestione separata), adesso pure dei diamanti da invstimento, che sono delle cose alcune volte si capiscono altre meno. Una cosa è però certo che non capirete mai. Quanto costano.
Cominciamo con i diamanti: le banche stanno facendo una grande campagna di promozione, ma il prezzo chi lo fa? Anche perché no n è come l’oro o il petro lio. Quando si va in banca a discutere di investimenti il consulente menziona questa nuova, nuovissima possibilità di un investimento in diamanti. Non è niente di rischioso, piano piano accumula il suo bravo 4 per cento più o meno tutti gli anni, i diamanti per qualche magica ragione salgono indipendentemente da fattori socioeconomici. É un investimento assolutamente interessante, ma abbiamo scoperto che abbiamo pagato letteralmente il do ppio del valore della pietra.
Un grammo d’oro vale 40 euro, un diamante puro da un grammo vale circa 50 .000 euro. Ma non è considerato un bene finanziario: perché? MARCELLO MANNA - INVESTMENT DIAMOND COMPANY Non esiste uno strumento che replichi l’andamento dei prezzi del diamant e. Esiste per l’oro, esiste per il caffè, esiste per il cacao, esiste per il petrolio, esiste per tantissime materie prime, ma non esiste nulla del genere per i diamanti.
Chi acquista è convinto di fare un investimento con la banca. In realtà di mezzo spunta una società. EMANUELE BELLANO Diamond Private Investment. FUNZIONARIA BANCA INTESA SANPAOLO È la nostra società di Intesa SanPaolo che investe in diamanti. EMANUELE BELLANO FUORI CAMPO La DPI, Diamond Private Investment non è di Intesa SanPaolo, è una società privata, come lo è la IDB, Intermarket Diamond Business che vende con UniCredit , Banco Popolare e Carige. L’interesse della banca sta nella commissio ne che incassa ogni volta che piazza i loro diamanti. Consigliato da Intesa, il signor Grieco ha comprato diamanti dalla DPI.
Consigliato da Intesa, il signor Grieco ha comprato diamanti dalla DPI. RAFFAELE GRIECO In quel momento tu indichi un valore, no? Voglio comprare, voglio fare un acquisto di 10 .000 euro in diamanti. Dopo qualche settimana ci dicon o che i diamanti sono pronti, andiamo e finalmente arrivano i diamanti nelle nostre mani. Allora in quel momento a noi ci viene dato un blister con la pietra dentro, e all’interno... e attorno alla pietra, ogni pietra ha il suo certificato dove per la prima volta scopri le effettive qualità della pietra. EMANUELE BELLANO FUORI CAMPO Il diamante lo paga 7.016 euro. È da mezzo carato. RAFFAELE GRIECO La prima cosa che fai cos’è? Vai a cercare su internet se effettivamente quello che hai pagato si avvicina ai valori di mercato della pietra. EMANUELE BELLANO FUORI CAMPO Prende il certificato con le caratteristiche del diamante e consulta l’ I dex, un portale che confronta i prezzi in tutto il mondo. E scopre che lo prezzano 2.700 euro. Meno della metà di quello che l’ha pagato lui. RAFFAELE GRIECO Non vogliamo crederci, andiamo a vedere quanto sono disposti i mercanti internazionali di diamanti, cioè gente che se gli dai i soldi con la carta di credito te la spediscono a casa, vediamo quanto sono disposti a pagarci la stessa pietra. EMANUELE BELLANO FUORI CAMPO Sul portale Blu e N ile. Il diamante con le nostre caratteristiche è valutato 2.200 euro. Quanto lo valuta invece uno dei più importanti gioiellieri di Roma? GIULIANO ANSUINI – GIOIELLERE È un buon brillante. EMANUELE BELLANO Il prezzo al quale lei me lo potrebbe acquistare qual è? GIULIANO ANSUINI – GIOIELLERE Non superiore ai 1.700 euro, penso il massimo.
Mettiamo a confronto i prezzi. Diamante da mezzo carato, stesse caratteristiche: prezzo DPI, la società a cui si appoggia Intesa, 11.438 euro; prezzo IDB, la società che vende attraverso UniCredit , 11.466 euro; listino Rapaport: 4.709 euro. Per ogni diamante che controlliamo il prezzo è almeno il doppio del listino internazionale
AD INTERMARKET DIAMOND BUSINESS Ma certamente, infatti noi nella nostra storia abbiamo venduto un miliardo e mezzo di diamanti, e abbiamo oltre 70mila clienti, non abbiamo mai avuto una causa su questioni di prodotto o di servizio. Questa è la più bella certificazione che le nostre quotazioni sono non accettate, di più.
Da questa società, 8mila risparmiatori acquistano ogni anno diamanti per circa 150 milioni di euro. Chi determina i prezzi? Ecco cosa dice proprio Giacobazzi intervistato dal Tg C om. Dal TgCom24
Dunque il meccanismo è questo: IDB e DPI decidono i prezzi dei loro diamanti. Comprano una pagina sul Sole 24 Ore e li pubblicano. Poi usano quei dati p er costruire il grafico che indica rendimenti sempre in crescita. E la banca dice all’investitore che quello è il listino di riferimento.
Mettiamo che io... che la pietra valga 50, io l’ho pagato 100. A chi lo rivendo a 100? A nessuno. EMANUELE BELLANO FUORI CAMPO Per non perdere la metà dell’investimento puoi solo affidarti a chi te l’ha venduto, che si impegna a piazzare le pietre al prezzo del suo listino in vigore in quel momento.
A vigilare sugli investimenti che le banche propongono ai risparmiatori è Consob, ma dopo una lunga analisi, ha stabilito che i diamanti non sono prodotti finanziari. E quindi le banche sono libere di venderl i
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Bene, stiamo parlando di investimenti. Abbi amo un po’ di risparmi, magari una liquidazione, non vogliamo prendere rischi, le strade più battute sono due: titoli di Stato, vale a dire ogni anno, a fine anno, mi prendo un interesse garantito, e a scadenza mi riprendo il capitale, se lo Stato non fallisce, cosa ch e al momento è poco probabile; oppure fondi comuni d’investimento o polizze vita.
La banca le propone fondi comuni d’investimento, polizze vita, obbligazioni strutturate. Prodotti che , risulta dai documenti , la signora ha comprato e venduto tantissime volte. Ogni quanto tempo venivano i funzionari della banca a proporle di cambiare l’investimento ? CLARA PEVARELLI Due volte, tre anche al mese. EMANUELE BELLANO Tre volte al mese? CLARA PEVARELLI È successo , sì. Ho fatto tante di quelle operazioni, ma tante che lei non ha neanche l’idea. Ogni settimana c’era sempre da firmare. EMANUELE BELLANO E che le dicevano, cioè perché deve firmare? CLARA PEVARELLI Perché non son più sicuri in quel posto lì, devo far ne in post i più sicuri. EMANUELE BELLANO FUORI CAMPO Ogni volta che acquista e vende , la signora Clara paga a UniCredit le commissioni : quindi più operazioni fai e più le commissioni si moltiplicano. Le ricevute delle operazioni formano un pacco alto 5 centimetri, che la signora ha fatto analizzare da un consulente.
80 .000 euro , inve stiti, commissione di sottoscrizione 2 .000 euro. Una sottoscrizione di un altro fondo , con 80 .000 euro, e... 1.600 euro di commissione , quindi 2 per cento, siamo a distanza di un mese dall’altra operazione. Poi, rimborso di un fondo, commissione di rimborso 302 euro. EMANUELE BELLANO Percentuale? GIORGIO CANELLA - CONS ULENTE FINANZIARIO INDIPENDENTE In questo caso è 1 per cento. Chiudono questo ed entrano con questo. EMANUELE BELLANO Nell o stesso... nella stessa data. GIORGIO CANELLA - CONS ULENTE FINANZIARIO INDIPENDENTE Sì. La liquidità... EMANUELE BELLANO Con la liquidità di questo entrano in quest’altro. GIORGIO CANELLA - CONS ULENTE FINANZIARIO INDIPENDENTE Di uno comprano l’altro. EMANUELE BELLANO E prendono l’1 per cento di commissione di qua , in uscita. GIORGIO CANELLA - CONS ULENTE FINANZIARIO INDIPENDENTE In uscita... E 2 pe r cento in entrata. C he fa 3 . EMANUELE BELLANO Reinvestendo i soldi. GIORGIO CANELLA - CONS ULENTE FINANZIARIO INDIPENDENTE Che fa 3 . EMANUELE BELLANO FUORI CAMPO In 5 anni 60.000 euro di commissioni, a cui si aggiungono quelle annue di gestione, pagate sempre a UniCredit . Invece , gli investimenti come sono andati? GIORGIO CANELLA - CONSULENTE FINANZIARIO INDIPENDENTE Le perdite, a spanne, sicuramente ammonta a di verse decine di migliaia di euro. Diverse decine di migliaia di euro. CLARA PEVARELLI Ma se andiamo in banca dobbiamo fidarci. EMANUELE BELLANO FUORI CAMPO È successo che una signora di 88 anni è stata classificata dalla banca come investitore esperto. Ma cosa aveva dichiarato a UniCredit al momento di investire i suoi soldi? GIORGIO CANELLA - CONSULENTE FINANZIARIO INDIPENDENTE I documenti di profilatura de l periodo che è stato più vivace, mettiamola così, non c’è. EMANUELE BELLANO Non c’è. GIORGIO CANELLA - CONSULENTE FINANZIARIO INDIPENDENTE Non c’è. EMANUELE BELLANO E come non c’è? GIORGIO CANELLA - CONSULENTE FINANZIARIO INDIPENDENTE Non c’è perché la banca prima ha detto che è stata smarrita, poi che non la trova.
Era nelle riunioni che ci dicevano : “Variat e i questionari ” . E siccome poi ci voleva la firma del cliente ovviamente a l cliente gli diceva : “G uardi dobbiamo dare una rinfrescatina ai contr atti...”, questo era il gergo “C ortesemente ci firma qui e qui ” . Il cliente firmava e la copia non gli era mai data. EMANUELE BELLANO FUORI CAMPO Questa è la corrispondenza interna inviata dai dirigenti ai funzionari di Banca Carime, gruppo UBI Banca. VOCE MASCHILE FUORI CAMPO – LETTURA DEL DOCUMENTO Il collocato ci ha fruttato commissioni per 12.145 euro. Ora avete ben chiaro perché insisto tanto sul Prestit o Obbligazionario in argomento. Dal 7 giugno verranno messi in collocamento i due nuovi prodotti obbligazionari. Hanno una commissione di entrata del 3,50 per cento. Vi invito a iniziare a trovare i clienti tenendo conto che le somme devono venire dal Risp armio Amministrato ” .
I nostri obiettivi dovrebbero ormai essere noti a tutti: raccolta assicurativa, raccolta gestita, mai e poi mai raccolta amministrata. EMANUELE BELLANO FUORI CAMPO In altre parole: collocate polizze, fondi di investimento, mai titoli di stato. EX FUNZIO NARIO DI BANCA E se quello aveva tutti titoli di stato cosa dovevi fare tu? Dovevi levare un titolo di stato: guardi, abbiamo una polizza, abbiamo un fondo comune.
Sapete cos’è un fondo comune d’investimento? UOMO 1 No. UOMO 2 No.
Un fondo d’investimento oggi contempla al suo interno obbligazioni, parliamo di un fondo di investimento obbligazionario, obbligazioni, l’obbliga zione A, l’obbligazione B, l’obbligazione C, in proporzioni diverse, dopodiché all’interno dello stesso fondo troviamo quote di altri fondi d’investimento obbligazionario. Ebbene, lì si apre un mondo che è molto differente, che è molto poliedrico, ha tante forme. EMANUELE BELLANO FUORI CAMPO Ha la forma delle scatole che contengono altri prodotti finanziari. A seconda di quel che metti dentro hai un maggiore o minore rischio. Il livello di rischio sembra fatto apposta per evitare di capire davvero in cosa si sta investendo.
Il rischio più noto è il cosiddetto rischio di mercato. Poi esiste un secondo rischio molto importante che si chiama rischio di credito. Poi abbiamo il cosiddetto ri schio di liquidità. Poi abbiamo i rischi operativi... Esistono anche rischi valutativi. Quindi è chiaro che il rischio che l’investitore sostiene, il rischio totale , è dato ovviamente dalla sommatoria di tutte queste componenti di singolo rischio.
E se invece volessimo investire in titoli di stato? FUNZIONARIO BANCA INTESA SANPAOLO È negativo. Lo stato oggi non dà più interessi. FUNZIONARIO BANCA POPOLARE DI MILANO I titoli di stato... siamo al minimo storico del rendimento. EMANUELE BELLANO FUORI CAMPO Vediamolo il rendimento. I B tp a 10 anni emessi a fine agosto rendono l’1,09 per cento netto all’anno. Quanto rende invece la polizza vita che il direttore di banca vuole venderci a tutti i costi? FUNZIONARIO BANCA INTESA SANPAOLO La media è del 2 per cento lordo, sarà intorno all’1 - 1,10 netto, meglio di niente. EMANUELE BELLANO FUORI CAMPO Meglio di niente, ma non meglio del titolo di stato che rende la stessa cifra. La differenza, tra i due, è altrove. EMANUELE BELLANO Qual è il costo a livello di commissioni di un titolo di stato? RAFFAELE ZENTI – ADVISEONLY 0,20 - 0,30, normalmente è que sto. A volte di più a volte di meno, c’è una discreta variabilità, però l’ordine di grandezza è quello. EMANUELE BELLANO FUORI CAM PO Cioè su 100 .000 euro investiti pagherò alla banca 200 euro per l’intermediazione. Per la polizza vita invece? FUNZIONARIO BANCA INTESA SANPAOLO C’è una commissione d’ingresso, in questo caso l’1 per cento, una tantum, basta, la tieni lì per 5 anni. EMANUELE BELLANO FUORI CAMPO Quindi se investo 100.000 euro nella polizza, che ha dentro i fondi d’investimento, pagherò subito alla banca 1.000 euro, solo per l’acquisto. Quello che il direttore non dice è che poi ogni anno bisogna aggiungere i costi dell e commissioni.
Questa è la nostra polizza, viene gestita da un gestore il quale supponiamo compra due fondi. Ogni fondo comune d’investimento supponiamo acquista titoli. Per fare questo servizio, il costo è l’1 per cento.
A sua volta , per l’attività di acquisto e vendita di ciascuno dei singoli strumenti finanziari si sostengono costi di intermediazione. Quindi, alla fine, ciò che grava l’investitore finale sono: costi per l’acquisizione della polizza, costi per il gestore di primo liv ello, costi per la gestione degli strumenti finanziari del gestore di secondo livello
Quindi se mantengo in portafoglio un B tp per 10 anni avrò pagato alla banca solo 200 euro. Con la polizza che vuole vendermi il direttore i nvece pagherò alla banca commissioni per almeno 17.000 euro. E molti dei prodotti venduti sono anche più costosi di questo.
Il costo di entrata di questo fondo è del 5,50 per cento. EMANUELE BELLANO Poi? GIANANDREA ARTIDORO GASPAR – CONSULENTE FIN A NZIARIO INDIPENDENTE Poi, durante l’anno, o meglio durante tutti gli anni di permanenza all’interno di questo fondo, il costo, cioè le spese correnti, sono pari al 3,18 per cento. EMANUELE BELLANO Quindi il primo anno che io sottoscrivo per esempio questo fondo ... GIANANDREA ARTIDORO GASPAR – CONSULENTE FIN A NZIARIO INDIPENDENTE Mi costerebbe l’8,68 per cento.
L’8,68 per cento. Se questo fondo av rà un rendimento dell’8 per cento , vuol dire che io star ò in pari. GIANANDREA ARTIDORO GASPAR - CONSULENTE FIN A NZIARIO INDIPENDENTE Praticamente è a zero. EMANUELE BELLANO Q uesto fondo nell’ultimo anno quanto ha reso? GIANANDREA ARTIDORO GASPAR – CONSULENTE FIN A NZIARIO INDIPENDENTE Al 30 di giugno 2016 questo fondo ha reso meno 6,60 per cento.
Ma chi tutela i risparmiatori dal rischio che le banche antepongano il proprio interesse a quello dei clienti allo sportello? ENRICO ZANETTI – VICEMINISTRO ECONOMIA E FINANZ E Beh, questo è un rischio possibile come del resto c’è credo in ogni settore economico. Il tema è che ci sia trasparenza su quelli che sono i costi. Una volta che i costi sono c hiari, il risparmiatore ha la possibilità di fare le sue decisioni .
Quello che accade è che queste commissioni spingono i promotori finanziari a raccomandare prodotti che generano alti guadagni per loro ma non necessariamente buoni guadagni per voi. C’è una parte dell’industria del risparmio oggi che opera come i pistoleri del selvaggio west. Oggi noi non abbiamo norme e le ggi per proteggere coloro che devono essere protetti.
L’amministrazione Obama ha preso molto sul serio il problema. È emerso che ogni anno in America il danno prodotto ai risparmiatori è di 17 miliardi di dollari. Hanno studiato una legge e lo scorso aprile l’hanno approvata. TOM PEREZ – SEGRETARIO DEL LAVORO USA Questo significa che l’interesse del consumatore deve ora venire prima degli interessi dei promotori finanziari. EMANUELE BELLANO FUORI CAMPO La legge obbliga le banche a firmare un contratto con cui garantiscono che la commissione richiesta rappresenta un ragionevole guadagno. E se il risparmiatore ritiene inv ece che la commissione è troppo alta può portare il contratto in tribunale. Ma provvedimenti li hanno presi anche nel Regno Unito nel 2013, con una legge che vieta alle banche di ricevere commissioni quando sono loro stesse a consigliare al risparmiatore c ome investire.
DOCENTE DIRITTO BANCARIO UNIVERSIT À DI TRENTO È una riforma che ha avuto per altro un effetto epidemico. In particolare in Olanda è stata introdotta una riforma analoga a partire dal dicembre sempre del 2013, è previsto un generale divieto di percepire direttamente o indirettamente una commissione a prescindere da quella che è la natura e la tipologia del servizio. EMANUELE BELLANO FUORI CAMPO Provvedimenti simili li ha presi anche il Belgio. In Italia ancora nulla.
Provvedimenti simili li ha presi anche il Belgio. In Italia ancora nulla. In comp enso la società Advise O nly ha calcolato il valore delle commissioni intascate dalle banche in una posizione di conflitto di interessi. RAFFAELE ZENTI – ADVISEONLY Per difetto è intorno ai 20 miliardi all’anno. l’1,2 - 1,4 per cento del PIL. Venti miliardi sottratti agli investitori ogni anno. E il Parlamento cosa fa?
della normativa europea che obbliga le banche a scrivere quali sono i costi a partir e dal 2018. Mezza Europa ha deciso di adottarla subito, noi aspettiamo il 2018. Eppure secondo il rapporto del World Economic Forum , l’Italia nello sv iluppo dei mercati finanziari è 117 a su 140. I cittadini non si fidano, il costo dei servizi finanziari è il più elevato d’Europa, la CGIA di Mestre ci c lassifica come i più tartassati in commissioni bancarie.
secondo uno studio di Corriere Economia, dal 2001 al 2012, i fondi comuni di investimento hanno generato 142 miliardi di rendimento lordo. Cinquantase tte sono andati nelle tasche dei risparmiatori. Gli altri ottantacinque nelle tasche di chi li ha costruiti e venduti. Vale a dire , promotori e banche. Che è giusto che ci guadagnino per carità, però quando il divario è così ampio si chiama furto.
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Torniamo ad occuparci di un tema attualissimo che sta focalizzando l’attenzione e le preoccupazioni di tutto il mondo finanziario: la redditività degli istituti bancari italiani. Lo facciamo andando a puntualizzare ciò che tanta parte degli alti vertici delle banche sembra aver "dimenticato" e che, invece, un interessante documento dell’Ufficio Studi della CGIA (l’Associazione Artigiani e Piccole Imprese di Mestre) di inizio ottobre - dal significativo titolo Banche: i clienti italiani sono i più tartassati d’Europa - ci ricorda.
Ci riferiamo alla struttura dei ricavi e dei costi ovvero, in altre parole, a come la banca fa il suo mestiere, approvvigionandosi di capitali presso i finanziatori (in primis azionisti, obbligazionisti e correntisti) e dall’altra impiegando tali disponibilità nelle più svariate maniere (credito ai privati, crediti alle aziende, portafoglio titoli, etc.). Non passa giorno che i vari Draghi (presidente BCE), Visco (Governatore Banca d’Italia), Patuelli (presidente ABI) e compagnia bella non si "straccino le vesti" dichiarando ai quattro venti la loro assoluta incolpevolezza in tutta la macelleria sociale che sta avvenendo a causa della crisi delle banche (basti pensare a Banca Popolare Vicenza, Veneto Banca, le 4 banche risolte, etc.) e nello stesso tempo addossando tutte le colpe di tale catastrofe alla scarsa redditività, derivante - a loro dire - dalla curva dei tassi d’interesse appiattita intorno allo zero e da costi operativi troppo alti (in primis il personale).
sono davvero le banche i soggetti tartassati in questa triste vicenda, come vanno affermando i banchieri? O forse i veri tartassati sono i loro clienti (in primis obbligazionisti e correntisti)?
Nello studio dell’Associazione di Mestre sono riportate alcune tabelle, fra cui la numero 1 è molto interessante al riguardo. Essa riporta come la voce "commissioni nette" incida, nell’anno fiscale 2015, sul "margine di intermediazione" delle banche italiane. Ricordiamo che le commissioni nette sono costituite dalla differenza tra ricavi/entrate (commissioni attive su servizi erogati, prezzi di vendita di titoli e di valute ecc.) e costi/uscite (commissioni passive per servizi ricevuti, prezzi di acquisto di titoli e di valute ecc), laddove i servizi bancari più noti riguardano, fra le altre cose, i conti correnti, i servizi bancomat/carte di credito, i servizi di incasso/pagamento, le gestioni patrimoniali, l’intermediazione e il collocamento di titoli.
La Tabella di cui sopra evidenzia, quindi, un primo importante dato di fatto: in Italia l’incidenza delle commissioni nette sui ricavi netti del banche è la più alta fra gli Stati Europei, essendo, ad esempio, più che doppia rispetto ai Paesi Bassi e del 40% più alta rispetto alla Germania. In altra tabella dello studio della CGIA (la numero 2) è presentato l’andamento storico delle varie componenti reddituali del conto economico del sistema banche italiane, nel periodo che va dal 2008 al 2015. Anche qui le banche italiane sono prime nella graduatoria, essendo riuscite ad aumentare in percentuale (1° posto) ed in valore assoluto (2° posto dietro alla Francia) l’incidenza delle commissioni nette nell’arco di 7 anni, a fronte, ad es., del Regno Unito e dell’Austria in cui addirittura sono diminuite.
Nel report dell’Associazione di Mestre si dimostra, poi, numeri alla mano (tabella numero 3), un terzo ed ultimo fatto incontestabile: a livelli di ricavi netti - checché ne dicano i banchieri -, il "fatturato" complessivo delle banche italiane dal 2008 al 2015 è cresciuto di un significativo 3,7%, passando da 78,322 a 81,234 miliardi di euro.
Cosa ci dicono tutti questi numeri considerati nella loro globalità? In tutta semplicità rispondono alla domanda che ci eravamo posti in precedenza in merito a chi fosse il vero "tartassato" fra la banca ed il suo generico cliente: le banche negli ultimi anni, avendo avuto problemi di incasso nella loro gestione operativa creditizia (credito alle imprese, soprattutto le più grosse (vd. le considerazioni svolte in La crisi delle banche e la soluzione di buon senso: brevi note sul Modulo 253 ), hanno cominciato a spostare la propria redditività sul trading titoli e sulle spese rimesse alla clientela, "tartassando", quindi, l’incolpevole cliente bancario (specialmente il normale correntista) con balzelli, spese e commissioni sempre più alte.
Il caso di pochi giorni fa in cui giorni alcune banche hanno scelto di addebitare ulteriori costi ai servizi di conto corrente al fine di rientrare parzialmente dei costi legati ai salvataggi bancari imposti al sistema del credito è un’altra di quelle "prove provate" (senza possibilità d’appello) di chi siano veramente i tartassati in questa difficile epoca finanziaria.
A conclusione di questa breve analisi sembra di poter ribadire che il vero problema non è la redditività delle banche, ma semmai il modo dissennato con cui è "stata fatta banca" fino ad adesso. La scarsa redditività, quindi, - diciamo una volta per tutte! - è frutto delle scelte operative sbagliate delle banche (concentrazione del rischio di credito su pochi soggetti, garanzie richieste alla clientela non sufficienti, politiche di credito ai vari "compagni di merenda" a scapito di clienti più affidabili, per non parlare di finanza "creativa", operazioni speculative sbagliate, etc.), che la crisi economica ha semplicemente acuito e fatto venire a galla.
il problema più importante del malfunzionamento delle banche non sono le regole inefficienti, gli insufficienti controlli sulle banche, la scarsa moralità di molti consigli d’amministrazione, le dissennate politiche del credito di molti istituti bancari, le scelte scellerate in materia di finanza strutturata (in primis derivati, ma non solo), le scarse performances del sistema informatico bancario, etc.. Il vero problema delle banche sono i dipendenti ed il loro numero eccessivo.
l prossimo 31 dicembre i correntisti del Banco Popolare, privati cittadini e imprese, si ritroveranno un’una tantum di 25 euro da pagare: «La manovra si giustifica come parziale recupero dei contributi versati dal Banco Popolare al neo costituito “Fondo Nazionale di Risoluzione”. Contributi che, per il quarto gruppo bancario italiano, sono quantificati in 152,1 milioni di euro per l’anno 2015. I correntisti si ritroveranno questa “tassa” sotto la voce ”Spese fisse di liquidazione”.
Facciamo due conti, però. Perché sommando le tre banche arriviamo a circa 12,4 milioni di famiglie e imprese clienti. Più o meno il 20% della popolazione italiana che si è trovata o si troverà, sull’estratto conto, una tassa in più da pagare. E poco importa, in fondo, che di questo balzello non si trovi traccia nella dichiarazione dei redditi. Quel che importa, semmai, è che alcuni grandi gruppi bancari italiani abbiano scaricato sui clienti finali parte del costo dei salvataggi bancari di questi ultimi mesi.
Come secondo punto mi soffermerei sull’opacità dei prodotti finanziari che i promotori delle banche propongono alla loro clientela (la maggior parte delle persone non è al corrente nel dettaglio su dove sta mettendo i suoi risparmi). Mai sentito un promotore bancario suggerire titoli di Stato.
Il sistema bancario europeo sta vivendo una fase di grande crisi. I motivi sono differenti. Innanzitutto ci sono stati dei grossi problemi di governance che, conditi con una crisi economica ed una fase di stagnazione che dura da tempo , hanno contribuito alla creazione di una quantità notevole di sofferenze bancarie, i famigerati NPL o non performinig loans.
Tutto questo ha generato non solo violenti “sell off” che hanno abbattuto il prezzo in borsa delle banche, ma ha anche obbligato i vari istituti di credito a forti “cure dimagranti”, costringendo a tagliare costi, personale, vendere asset non strategici e ripensare ai vari modelli di business.
Oltre a quanto detto sopra poi, c’è la BCE. L’intervento di Draghi concretizzato con una politica monetaria non convenzionale che ha portato i tassi a zero e addirittura negativi, ha sicuramente salvato i paesi più deboli, ed ha anche incentivato il canale del credito. Ma ha anche abbattuto la redditività delle banche le quali, come dicevo prima, hanno dovuto rivedere il loro modello di business. Più servizi e meno raccolta ed impieghi. Però adesso il “tasso zero” sta diventando un serio problema per il sistema.
Questa cosa preoccupa tutti, le banche in primis, le quali si stanno ingegnando anche in business alternativi (tipo la vendita di servizi diversi come l’intermediazione immobiliare oppure la negoziazione di beni ad alto contenuto tecnologico). E come ciliegina sulla torta, le banche hanno pensato bene di fare la cosa più semplice: aumentare i costi e le commissioni per i clienti.
Già, le commissioni, cresciute a dismisura fino a portare le banche italiane ad essere tra le più care in Europa e quindi i risparmiatori ad essere tra i più tartassati. La mitica CGIA di Mestre ha messo il becco anche in questa vicenda uscendo fuori con numeri e dati abbastanza imbarazzanti.
(…) “Se teniamo conto che con la crisi economica sono cresciute a dismisura le sofferenze in capo alla clientela e la contrazione dei tassi di interesse ha ridotto ai minimi termini i margini di redditività delle nostre banche, queste ultime, appesantite da costi fissi ancora troppo elevati hanno ritenuto più conveniente ridurre gli impieghi, e quindi i rischi, e aumentare i ricavi dalle commissioni sui conti correnti, sui servizi bancomat/carte di credito, i servizi di incasso/pagamento e dalle attività extra creditizie, come la vendita di titoli, valute e strumenti di capitale”.(…) Sebbene in questi ultimi anni siano in costante diminuzione, l’Ufficio studi della CGIA segnala che anche i costi strutturali del nostro sistema bancario rimangono i più elevati d’Europa. (CGIA)
(…) Di fronte a tassi d’interesse così bassi che intaccano i bilanci, le banche devono cambiare modello di business e trovare fonti alternative di entrate. Tra queste – secondo Danièle Nouy, presidente del Consiglio di vigilanza bancaria della Bce – ci sono anche «le commissioni bancarie». In ogni caso «i margini per ridurre i costi» ci sono e le banche «dovrebbero diventare meno dipendenti dai margini d’interesse». (…)
E brava te! Hai scoperto l’acqua calda! Grazie per la tua ricetta miracolosa che salverà il sistema finanziario. Credi che le banche non stiano operando in quella direzione? Ma solo tagliare i costi ed alzare le spese in modo indiscriminato può diventare autolesionistico. Ma queste cose, chi è nelle cabine di regia alle altissime sfere, non le capisce. E forse non capisce nemmeno cosa hanno fatto con gli stress test.
Chiunque abbia almeno un semplice conto corrente in un istituto di credito sa cosa sono le commissioni bancarie. Tutti sappiamo che sono più onerose di quando saremo disposti a spendere. La classica frase: gli do i miei soldi e mi tocca anche pagarli. Loro risponderanno che come tutte le aziende, anche le banche offrono un servizio e quindi pagare un servizio è naturale. Anche se con quei soldi a loro volta loro fanno business (quando va bene).
Negli ultimi 7 anni i costi dei conti correnti, delle carte di credito e degli altri servizi bancari in Italia sono aumentati del 20%
Nel 2015 l’incidenza percentuale delle commissioni nette sui ricavi delle banche italiane (pari al 36,5%) è stata la più elevata d’Europa. In Francia la quota si è attestata al 32,9%, in Austria al 27,5%, in Germania al 26,2% e nei Paesi Bassi al 17%. Lo afferma la Cgia di Mestre, spiegando che l’anno scorso i ricavi netti derivanti dalle commissioni bancarie hanno sfiorato i 30 miliardi di euro, quasi 5 miliardi in più rispetto al 2008.
Boom delle commissioni negli ultimi sette anni - In particolare, l’Ufficio studi della Cgia, segnala che negli ultimi 7 anni (2008-2015) la crescita dei costi dei conti correnti, delle carte di credito e degli altri servizi bancari ha subito in Italia un’impennata che non ha avuto eguali nel resto d’Europa. Se l’incremento è stato del 20% in Italia, nel Regno Unito si è fermato all’11,5%, in Francia all’ 11,1%, in Spagna al 6,5%, mentre in Germania (-4,6%), in Belgio (-7%) e soprattutto nei Paesi Bassi (-27%) c’è stata una forte diminuzione.
Cgia: "Banche hanno ridotto i rischi e puntato sulla sicurezza dei costi dei servizi" - "Se teniamo conto - spiega Paolo Zabeo dell’Ufficio studi della Cgia - che con la crisi economica sono cresciute a dismisura le sofferenze in capo alla clientela e la contrazione dei tassi di interesse ha ridotto ai minimi termini i margini di redditività delle nostre banche, queste ultime, appesantite da costi fissi ancora troppo elevati hanno ritenuto più conveniente ridurre gli impieghi, e quindi i rischi, e aumentare i ricavi dalle commissioni sui conti correnti, sui servizi bancomat/carte di credito, i servizi di incasso/pagamento e dalle attività extra creditizie, come la vendita di titoli, valute e strumenti di capitale".
Come sono cambiati dal 2008 i ricavi delle banche - Dall’inizio della crisi (2008) al 2015, per la Cgia, i ricavi netti degli istituti di credito italiani da operazioni di prestito sono diminuiti di 13 miliardi (-25,3%), per contro l’incasso ascrivibile alle commissioni nette è aumentato di 4,9 miliardi (+20%) e quello relativo alla voce altri ricavi netti (costituito prevalentemente da attività assicurative o di negoziazione di titoli, valute e strumenti di capitale) è salito di 11 miliardi (+556,5%).
Il m argine di interesse è dato dalla la differenza tra tassi di interesse attivi e passivi per la banca e registra gli interessi maturati su attività e passività, in contropartita con la clientela ordinaria ma anche con altre banche e altri operatori dei mercati finanziari. In particolare, il margine di interesse è determinato prevalentemente dai ricavi netti più prossimi all’attività caratteristica delle banche, ovvero derivanti dall’intermediazione creditiz ia. Il margine di interesse è sceso sia per la minore redditività derivante dall’appiattimento dei tassi sia per la stretta creditizia che ha accompagnato, ciclicamente, la fase di recessione. Tra il 2008 e il 2014 è sceso di 12,3 punti percentuali attesta ndosi, in termini assoluti , a 39,3 miliardi di euro. Se calcoliamo l’incidenza percentuale del margine di interesse su quello di intermediazione, l’Italia è al penultimo posto tra i principali paesi europei presi in esame in questa analisi.
Le commission i nette , invece, sono un aggregato costruito come differenza tra ricavi/entrate (commissioni attive su servizi erogati, prezzi di vendita di titoli e di valute ecc.) e costi/uscite (commissioni passive per servizi ricevuti, prezzi di acquisto di titoli e d i valute ecc). I servizi bancari più noti riguardano i conto correnti, i servizi bancomat/carte di credito, i servizi di incasso/pagamento, le gestioni patrimoniali, l’intermediazione e il collocamento di titoli. Sempre t ra il 2008 e il 2014 sono aumentate di 2,8 punti percentuali salendo a quota 27,6 miliardi di euro.
Altri ricavi netti: categoria che comprende tutta una serie di ricavi derivanti da attività extra - creditizie o di trading finanziario ; queste riguardano prevalentemente attività di negoziaz ione (vendita di titoli, valute, strumenti di capitale) o assicurative . Nell’arco temporale preso in esame (2008 - 2014) l’incremento è stato del 471,1 per cento, raggiungendo, in termini assoluti, il valore di 11,4 miliardi di euro