CDF, Il Fatto Quotidiano 27/11/2016, 27 novembre 2016
IL PD SBRAITA MA NON HA LETTO BENE IL DISPOSITIVO
Matteo Renzi, Marianna Madia e il Pd hanno perso le staffe perché la Corte costituzionale ha bocciato una buona fetta della riforma della Pubblica amministrazione (che porta il nome del ministro incaricato), accogliendo il ricorso del Veneto. “E poi mi dicono che non devo cambiare il titolo V. Un Paese bloccato”, è sbottato il premier. “Col Sì nessuna Regione potrà più bloccare il Paese”, ha attaccato la Madia. E ancora: “È un motivo in più per rimettere mano al titolo V” (Luca Lotti); “stiamo procedendo benissimo con il questo referendario perché questa storia delle competenze tra Stato e Regioni ce la trasciniamo da molti anni” (Davide Faraone) etc.
La riforma del titolo V fatta dal ddl Boschi, però, non c’entra niente. Basta leggere la sentenza. La Consulta boccia la legge delega (su cui si basano i decreti attuativi) perché non ha previsto un’intesa piena da raggiungere nella Conferenza Stato-Regioni: per i decreti attuativi ci si è limitati a prevedere solo un “parere”, mentre invece va cercata “un’intesa”. Già oggi, infatti, lo Stato può intervenire in libertà proprio sui temi su cui la Consulta accoglie l’incostituzionalità della legge Madia, ma si tratta – avvisano i giudici – di materie concorrenti “legate in un intreccio inestricabile, dove è necessario che il legislatore statale rispetti il principio di leale collaborazione e preveda adeguati strumenti di coinvolgimento delle Regioni (e degli enti locali), a difesa delle loro competenze”. Su organizzazione, proprietà, dirigenti, partecipate, insomma, le Regioni avranno ancora voce in capitolo e potranno impugnare gli atti imposti senza concerto. Anche perché i 4 decreti attuativi colpiti dalla sentenza non riguardano competenze che la riforma attribuisce esclusivamente allo Stato (infrastrutture, energia etc.). La “leale collaborazione” tra Stato, Regioni ed Enti locali andrà perseguita anche con la nuova costituzione.