Elena Comelli, CorrierEconomia 28/11/2016, 28 novembre 2016
PETROLIO, LA RIVOLUZIONE ARABA. RIAD SVELA LE RISERVE SEGRETE
Per ora sappiamo solo che le riserve di greggio saudite, le più grandi del mondo, basteranno per altri settant’anni. Ma nel giro di qualche mese la loro entità precisa, fino ad oggi il segreto meglio custodito dell’industria petrolifera, sarà svelata.
La promessa viene dal nuovo ministro saudita del petrolio, Khalid al-Falih, in vista della quotazione in Borsa del 5% della compagnia petrolifera Saudi Aramco, che potrebbe raggiungere un’astronomica capitalizzazione di Borsa di 2.500 miliardi di dollari, superando di gran lunga la sua omologa americana Exxon Mobil e giganti della tecnologia come Apple o Google, ora ai vertici di Wall Street.
Trasparenze
«Sarà la quotazione più trasparente di tutti i tempi di una compagnia petrolifera — ha annunciato Falih —. Condivideremo tutto di Saudi Aramco, tutto sarà verificato da terzi indipendenti», compresi i conti finanziari «le riserve, i costi, gli indici di redditività».
Dal 1980, quando l’Arabia Saudita ha nazionalizzato Saudi Aramco, che prima era controllata dai partner americani (Aramco è l’acronimo di Arabian-American oil company), l’entità delle riserve provate è sempre stata stimata a 260 miliardi di barili, ma gli esperti e gli investitori internazionali non hanno mai potuto verificare questi dati.
Ora che la monarchia wahabita si trova alle prese con un preoccupante buco di bilancio, aperto dai ribassi dell’oro nero, la missione del nuovo ministro non è più chiudere i dati nell’armadio per tenere stabile il mercato globale del greggio, ma al contrario diversificare l’economia saudita in modo da emancipare il suo Paese dalla variabile prezzo. E per fare questo, Riad ha bisogno del favore dei mercati.
Tetti
Le trattative bizantine dell’Opec, che si appresta a comunicare dopodomani un accordo ormai già fatto per imporre un tetto di 33 milioni di barili al giorno alla produzione del cartello, passano così in secondo piano per il regno saudita e l’obiettivo diventa invece sganciare, almeno parzialmente, i destini del Paese dall’oro nero, monetizzando le risorse presenti e diversificando gli investimenti futuri.
L’idea parte dal giovane principe Mohamed bin Salman, secondo in linea di successione a re Salman, che considera il business del petrolio sempre più rischioso, mano a mano che nei Paesi industrializzati crescono le tecnologie alternative per la produzione di energia e la consapevolezza dei danni che le fonti fossili causano all’ambiente. Da qui nasce il suo ambizioso piano Vision 2030, che mira a trasformare la società saudita da un regno medievale dipendente dal petrolio in un bastione delle fonti pulite, aperto all’impresa privata, con un target di 9,5 gigawatt di potenza rinnovabile, principalmente solare com’è logico data la posizione geografica.
Scetticismi
Gli analisti sono scettici sulla possibilità che il principe trentenne sia in grado di portare nel giro di una generazione un cambiamento così radicale in un’economia fortemente sussidiata dallo Stato. Ma i primi passi sono già stati fatti. Per la prima volta, Riad ha deciso di lanciare sul mercato un bond sovrano, raccogliendo 17,5 miliardi di dollari il mese scorso, in un’emissione diventata subito la più ricca di tutti i tempi fra quelle delle economie emergenti, con ordini arrivati fino a 67 miliardi di dollari. Il Fondo monetario internazionale ha applaudito alla mossa di Riad e ha speso parole di grande incoraggiamento per il piano del principe Mohamed: «L’Arabia Saudita starà sul mercato per molti anni a venire e quindi è un bene per gli investitori sapere in che direzione sta andando», ha commentato Masood Ahmed, numero uno dell’Fmi per il Medio Oriente. L’apertura al mercato è considerata l’unica strada per arginare il deficit, che quest’anno sarà del 13% del Pil, contro il 16% dell’anno scorso, mentre il debito pubblico, ora al 5% del Pil, dovrebbe arrivare al 20% l’anno prossimo.
Il piano sembra anche un modo per allentare la presa dello Stato sull’economia e depoliticizzare la gestione del petrolio nel Paese, mettendo Saudi Aramco sotto la lente diretta del mercato.
Crescite
Al momento a Riad si sta discutendo sulla quotazione del 5% della società, ma nel tempo questa quota potrebbe aumentare. Il principe Mohamed, il cui mandato si estende dall’Economia alla Difesa, prevede di trasferire il controllo del colosso petrolifero al fondo sovrano saudita Public investment fund e ha già fatto entrare il capo del fondo, Yasir al-Rumayyan, nel board della società. Dopo la quotazione, il Pif sarà il fondo sovrano più grande del mondo, oltre il doppio del potente Norway Global Pension Fund, e diventerà lo strumento principale di questa transizione, investendo in settori ad alta intensità di capitale, per stimolare gli investimenti stranieri nel Paese. Svezzare un Paese viziato come l’Arabia Saudita dall’abbondanza di greggio a buon mercato non sarà semplice, ma ne va della stabilità economica del regno. Per quanto Riad non sia abituata a negoziare le sue mosse con il mercato, a questo punto Re Salman non ha altra scelta.