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 2016  novembre 28 Lunedì calendario

POKER, ALBA, POLITICA E AMICI: I MIEI 50 ANNI DI VITA DA ATTORE– [Flavio Bucci] Ogni suo sorriso è un film in miniatura, una perfetta sintesi di emozioni, ideali, provocazioni, sberleffi, una sorta di “non mi avrete mai”

POKER, ALBA, POLITICA E AMICI: I MIEI 50 ANNI DI VITA DA ATTORE– [Flavio Bucci] Ogni suo sorriso è un film in miniatura, una perfetta sintesi di emozioni, ideali, provocazioni, sberleffi, una sorta di “non mi avrete mai”. Il “film” è con una bocca semichiusa, leggermente storta, un sussurro roco, e immediatamente uno ritrova Flavio Bucci, il Ligabue della televisione italiana, il don Bastiano nel Marchese del Grillo, lo stesso che sul patibolo, poco prima di morire, gridava al popolo: “Massa di pecoroni invigliacchiti, sempre pronti a inginocchiarvi, a chinare la testa davanti ai potenti. Adesso inginocchiatevi e chinate la testa davanti a uno che la testa non l’ha chinata mai se non davanti a questo strummolo qua”. Ghigliottina. Addio. Classe 1947, qualche problema fisico, “diciamo acciacchi. Ma sopravvivo. E comunque sono stato, e sono, un uomo fortunato; sono uno con la mia vita, quella che volevo, la mia famiglia, le soddisfazioni professionali, il denaro non è mai stato un problema, non mi ha mai interessato particolarmente…” Alessandro Haber parla di lei come una delle persone più generose mai conosciute. Con lui è fin troppo facile ricevere questi attestati, ci conosciamo da sempre, siamo cresciuti insieme sia umanamente che professionalmente, e non da “ieri”: parliamo di cinquant’anni di condivisione. Vuole una sintesi? Alessandro per me è un fratello di sangue. Haber aggiunge: “Talmente generoso da risultare autodistruttivo” No, no, per favore non costruitemi addosso un monumento: nella mia vita sono stato sempre contraccambiato, e poi nel nostro lavoro, tutto sommato, non c’è bisogno di recare male a nessuno. Si è quel che si è senza tanta enfasi. Sembra chiaro che non è una persona troppo attaccata al denaro. Non ho mai accumulato nulla, non mi è mai interessato. Non ho mai pensato: ecco compro questo; ecco investo lì; ecco questo tot lo metto da parte. Mi è sempre bastato il minimo per la sopravvivenza, e sia ben chiaro: nel nostro lavoro spesso sono girate, a volte ancora girano, cifre per me esorbitanti. Per lei quasi immorali… Non mi interessano. Sono passati quarant’anni, ma Flavio Bucci è “Ligabue”. Eppure è stato uno sceneggiato di appena tre puntate. E ne sono orgoglioso. Sarebbe da idioti tentare di cancellare ciò che ti ha portato al successo, e poi di quel lavoro amo ancora il messaggio rivolto al pubblico. Quale? Ligabue era un grande artista, ma semianalfabeta, ed è andato in onda nell’Italia degli anni Settanta, non in quella di oggi. Vuol dire parlare al pubblico per spronarlo a far emergere le qualità che sono in ognuno di noi. Il suo don Bastiano nel “Marchese” era tutto frutto di un copione o c’era dell’improvvisazione? Guardi che lei sta parlando di Monicelli. Cosa vuol dire? Le racconto come è andata. Ricevo il copione, lo leggo, ovviamente il personaggio mi piace tantissimo, ma con un “però”: il prete doveva parlare in dialetto romano, quando io sono un mix tra Puglia, Molise e Piemonte. Insomma, impossibile. Così lo chiamo e gli dico: “Buonasera, la ringrazio per la possibilità, ma c’è una questione difficile da superare con il dialetto”… E lui? “A Fla’, ma fai come cazzo te pare”. E mi attacca il telefono in faccia. Alla Monicelli. Sa cosa mi sconvolge se ripenso a Mario? Non solo non l’ho mai visto ridere, ma neanche sorridere. Mai! Lei ha sempre indicato in Elio Petri e Gian Maria Volontè come i suoi maestri. Sono i riferimenti che hanno dato un senso alla mia carriera, la giusta direzione. Insomma, grazie a loro tutto non si è ridotto a una semplice rappresentazione. Ci spiega la “direzione”? Non uscire mai dalla base civile e democratica, non chiudersi nelle famose prigioni dorate, ma guardare alla società, restare nei binari del vivere comune. Avevamo una responsabilità. E da questa non possibile sottrarsi. E lo rivendica. Sono nato nel 1947, i miei maestri la guerra l’hanno fatta, io no. E sono loro ad avermi insegnato un’ideologia. Lei non era un attore da Fellini… No, a lui preferivo Visconti. Però lei continua a parlarmi di cinema, mentre io sono un teatrante. Cos’ è per lei un teatrante? Il cinema l’ho sempre sofferto, soprattutto psicologicamente, non amo i suoi tempi e alcune liturgie, in particolare gli orari di lavorazione. Lei vive di notte. Esatto, infatti l’unico film nel quale sono stato realmente a mio agio è quello di Petri, La proprietà non è più un furto, girato quasi tutto di notte. La sua giornata-tipo. Quasi nulla durante il giorno, tra sonno, cibo, divano, televisione, magari un libro, poi iniziava l’auto-violenza per salire sul palco. Non ne aveva voglia? Tanti anni fa, oltre al camerino, mi sono fatto piazzare un letto dietro il palco. Arrivavo quattro ore prima dello spettacolo, e tutti pensavano: “Mamma mia che professionista, quanto è bravo Bucci, viene prima di tutti per trovare la giusta concentrazione”. E invece? Avevo bisogno di un lungo percorso per convincermi ad andare in scena, non mi andava, ogni giorno mi concentravo per scovare la giusta scusa per sottrarmi. L’ha mai trovata? Purtroppo no. Mai. Sono sempre andato in scena, in qualunque modo e condizione, non ho mai mollato. Ma è sempre andata così o solo in quel momento della sua vita? In particolare in quella fase, anche perché il mio era un monologo lungo due ore, una fatica e uno stress non facilmente spiegabili. Non volevo farlo. Il suo “segreto dell’attore”. Uno in particolare, e me lo disse una sera Eduardo De Filippo: la salute. Non solo per l’attore. Anche questo è vero. Ancora Haber racconta della vostra passione per il poker. Le carte fanno parte della vita di un attore, è uno dei tanti mezzi per tirare fino all’alba. O l’alba o niente. Sceso dal palco non puoi andare a letto, devi scaricare l’adrenalina che è come una droga. Quindi sono chiacchiere, carte, feste, alcol e tutto il resto. Anche con Volontè? Certo. Ma con Gian Maria tocchiamo un personaggio non inquadrabile con niente e nessuno. Lui era altro. Lei è religioso? Come diceva Ligabue: “A volte ci credo a volte non ci credo”. Però mi hanno insegnato il valore del segno della croce. Ha rimpianti? Ancora no, ma se ci vediamo tra qualche tempo magari ne ho maturato qualcuno. E scoppia in una delle sue risate. Breve. Secca. Senza malinconia. Di chi vive e sa come ha vissuto.